Politica: Come ti frego con lo spread


Debbo fare una doverosa premessa: quanto segue è frutto dell’attento studio di parametri economici di pubblico dominio, nonché di dati statistici pubblicati da fonti ufficiali (ad esempio l’ISTAT) e delle registrazioni di interviste con accademici ed economisti, come Paolo Savona e Nando Ioppolo.
Il mio scopo nello scrivere questo articolo e quello di tentare di svegliare gli animi e gettare il seme dell’indignazione in mezzo a un popolo che è ormai tetragono a qualunque scudisciata riceva dai suoi governanti. Sarei felice di vedere almeno una parte dei lettori intenta – finalmente – a documentarsi su un tema scottante come questo, per scoprire quanto letame si nasconda sotto i tappeti dei salotti buoni della finanza internazionale.
Dai giorni che segnarono la fine del governo Berlusconi una nuova parola è entrata nel lessico degli italiani: lo spread. Tutti ne parlano, lo citano – a proposito o a sproposito – ma nessuno sa che cos’è in realtà lo spread, che cosa rappresenta. Infatti se chiedete al primo passante ignaro è probabile che otteniate, nel migliore dei casi, una risposta parziale o comunque imprecisa, anche se la maggioranza degli intervistati non saprebbe assolutamente rispondere. Eppure in ogni quotidiano e in ogni telegiornale lo spread è un termine ormai ricorrente.
Diciamo subito che il termine è inglese, e che come primo significato sul dizionario troverete qualcosa tipo ‘divario’, ‘allargamento’, ‘differenza’. Per chiarire, in inglese allargare le gambe si dice ‘to spread legs’.
Detto ciò, cerchiamo di capire il significato che si da al termine in campo economico e finanziario.
In pratica con questa parola si definisce lo scarto, ossia la differenza (espressa in ‘punti, ossia centesimi di percentile) tra il tasso d’interesse dei nostri titoli di stato e quelli tedeschi, i cosiddetti ‘Bund’.
Secondo i soloni della finanza, questa differenza dovrebbe darci una misura del divario reale tra le due economie. Se lo spread ha segno positivo significa che i nostri titoli rendono più dei Bund, ossia che il nostro Tesoro deve offrire un interesse maggiore per vendere il proprio debito agli investitori pubblici e privati. Ad esempio uno spread a 200 punti ci dice che i nostri BTP rendono un interesse annuo maggiore dei bund di due punti percentuali, ossia se i titoli tedeschi rendono, metti, lo 0,5% i nostri rendono il 2,5%.
Il che in soldoni (è proprio il caso di dirlo!) significa che se rivendo 1000 euro di BTP dopo un anno avrò avuto un guadagno lordo di 25 euro, mentre se avessi acquistato la stessa quantità di bund dopo un anno avrei avuto un margine lordo di soli cinque euro.
Il che, badate bene, non significa affatto che sia più conveniente acquistare BTP che bund, ma questo è un altro discorso e non vorrei andare fuori dal seminato, quindi fermiamoci a quanto detto e chiediamoci: “Tutto qui?” Beh, secondo quanto vogliono farci credere, sì. In realtà se la gente sapesse quale immenso imbroglio si cela dietro alla menzogna dello spread, forse scenderebbe in piazza.
Cercherò di spiegarlo con parole semplici.
Tutto parte dalla Banca Centrale Europea che presta denaro a tutte le banche dell’Unione ad un tasso dello 0,75%, per qualunque importo e per qualsiasi motivo esse chiedano il denaro in prestito. A questo punto una banca (ad esempio MPS, Intesa, ecc.) prende questo denaro e ci compra dei BTP.
Ma a che tasso li acquista? In teoria dovrebbero essere allo 0,76%. Diciamo pure allo 0,8%.
Perché invece le banche li acquistano al 5%? Ovviamente perché le banche sono libere di speculare. Quindi gli italiani si dissanguano perché qualcuno molto in alto permette alle banche di fare questo sporco gioco.
In pratica viene costruito un castello di parole, di informazioni, di paure basate sul fatto che il debito pubblico è alto (ma toh!), che l’Italia si deve salvare ecc. Vi sono politici che su questo argomento fanno grandi discorsi e ci costruiscono campagne elettorali (quando non colpi di stato) e tutto questo per permettere alle banche di speculare e portarsi a casa la differenza tra il tasso pagato e quello guadagnato!
Ma proviamo a scendere nei dettagli di questo meccanismo. Supponiamo che un BTP abbia valore nominale 100 e rendimento del 2%: lo dovremo dunque vendere a 98. A questo punto bisogna capire come arrivare al 5% di guadagno. Semplicissimo. Proviamo a domandarci: e se l’Italia fallisce? Ossia, se le agenzie internazionali di rating dicono che l’Italia non è in grado di rimborsarmi il valore dei BTP che ho acquistato? Qui sorge la necessità per le banche di dotarsi di un’assicurazione: una vera e propria polizza che mi garantisca contro il fallimento dell’Italia. Bene, questa polizza è in realtà un certificato, che si chiama CDS (Credit Default Swap) che si acquista sui mercati finanziari e che costa, poniamo, il 3% del valore nominale. Pertanto le banche chiederanno al Tesoro uno “sconto” sul prezzo di acquisto, pagando quindi 95 anziché 98, che gli consenta di acquistare un certificato assicurativo senza rimetterci. Quindi, se ad esempio lo spread è a 300 (ossia al 3%) una banca che vuole acquistare un BTP e si vuole assicurare contro il fallimento del sistema Italia teoricamente comprerà un certificato assicurativo sui mercati finanziari che costa il 3%.
Tutto chiaro fin qui? Bene, attenti che adesso viene il bello. Abbiamo detto che le banche che vogliono assicurarsi contro il rischio di default in teoria acquistano i CDS per non correre rischi, ottenendo uno sconto che porta, nell’esempio fatto qui sopra, il prezzo del titolo da 98 a 95. Peccato che nessuna banca compra i CDS, perché nessuna banca in realtà crede che l’Italia vada in default! Ci lasciano credere tutto questo, dopo non averci spiegato nei dettagli cos’è lo spread, e ci raccontano la balla dell’assicurazione che poi in realtà non pagano!
Qualcuno però potrebbe chiedersi come si può verificare se la banca ha acquistato i CDS. La risposta è piuttosto ovvia: controllando i bilanci. Il fatto è che chi dovrebbe vigilare (ABI, CONSOB, Bankitalia) in realtà non è stupido: più semplicemente è complice oppure è di una dabbenaggine sconfinata!
Quindi lo spauracchio dello spread viene utilizzato per molteplici ragioni. In primo luogo perché si vuole speculare su un Paese e spolparlo, come già accadde per Grecia, Portogallo e Irlanda. Dove c’è polpa, dove c’è la vacca da mungere, lì si attaccano come mignatte gli speculatori internazionali.
Ma l’arma dello spread viene utilizzata anche a fini politici, come è accaduto in Italia per far cadere il governo Berlusconi e instaurare il regime dei governi-non-eletti con la complicità di un presidente della Repubblica che – nel migliore dei casi – risulterebbe il più ingenuo tra gli ingenui. In pratica il trucco consiste nello scalzare chi mi fa resistenza e mettere al suo posto chi mi lascia campo libero e allo stesso tempo mi assicura quel famoso 5%!
Certo che vista sotto questa luce la famosa telefonata di Fassino (“Abbiamo una banca”) lascia poco spazio all’immaginazione. Ma andiamo avanti.
Abbiamo quindi visto che lo spread nella realtà è un puro meccanismo speculativo. Non sarete quindi stupiti di sapere che è anche peggio di così! Sappiamo, come detto, che nessun acquirente di BTP compra i CDS, però ci sono moltissimi acquirenti di CDS che non comprano i BTP. Come mai? Un po’ paradossale, no? E’ come se io volessi assicurare l’auto di mio cognato per paura che rubino la mia. Ovviamente ciò accade perché i CDS sono uno strumento speculativo, non uno strumento di copertura (un cosiddetto ‘vaniglia’) come ci vogliono far credere! Ma allora sarebbe facile dire agli acquirenti dei BTP: se li vuoi te li vendo a 98, se invece li vuoi a 95 devi comprare i CDS. Ma in tal caso gli acquirenti rinuncerebbero perché verrebbe meno il giochetto speculativo. Capito?
Ma se noi fossimo una banca che vuole speculare sui BTP, non saremmo invogliati a speculare anche sui CDS per far salire lo spread? Certo che sì! Perché se sale lo spread aumenta il guadagno. Chi ne soffre? Il popolo italiano? E chissenefrega? Facciamo una tempesta speculativa contro l’Italia (ma lo stesso può valere per qualsiasi altro Paese bersaglio), facciamo lievitare lo spread d’accordo con le agenzie di rating che diffondono allarmismo come se non ci fosse un domani, facciamo tirare la cinghia a un intero popolo all’unico scopo di speculare sui maledetti CDS, creando un disastro economico e politico, destabilizzando intere nazioni!
Ma, in cauda venenum, vediamo di che proporzioni è questo disastro, ossia di quanto denaro stiamo parlando. I dati ISTAT del lontano 2009 (prima che si iniziasse a parlare di spread) ci danno un quadro approssimato (per difetto) della situazione.
Dunque: il PIL ammontava a 1820 miliardi, da cui vanno dedotti 500 miliardi di spesa pubblica e 80 miliardi di interessi pagati sui BTP, mentre gli oneri finanziari sono computati con il segno positivo come “servizi finanziari”. E cosa sono questi servizi finanziari? Semplicemente i soldi che diamo alle banche! E li mettiamo a bilancio col segno più? Quindi più soldi diamo alle banche più siamo ricchi? Qui è evidente come la presa per i fondelli sia al suo apice. In pratica nel 2009 lo Stato pagava 80 + 130 = 210 miliardi alle banche(e negli anni successivi anche di più, ovviamente). Avete capito bene: noi ci facciamo un mazzo così per dare 210 miliardi su 1820 (ossia quasi il 12%) al sistema bancario!
Quale sistema potrebbe sopravvivere a un tale continuo dissanguamento?
E c’è di più: qualcuno di voi ne ha mai sentito parlare in televisione o sui giornali? No, vero? Eppure i dati sono pubblici. Ciò significa che c’è un ‘cartello’, una ‘cupola’ che opera attivamente perché queste cose non trapelino. Si parla di tutto e di più, si fanno fare sacrifici agli italiani, prima con l’Agenda Monti e poi via via con le varie leggi Fornero, decreto salva Italia, 80 euro e chi più ne ha più ne metta, ma nessuno parla di contenere gli interessi bancari o lo spread. Che sarebbe semplicissimo, a patto di adottare il ricollocamento alla giapponese. Come funziona? Così: si impone il collocamento forzoso presso le banche che intendono operare in territorio europeo a tasso ridotto, ad esempio obbligando la BCE a prestare il denaro allo 0,75 oppure obbligare le banche private ad acquistare titoli allo 0,76, come detto all’inizio. In questo modo risparmieremmo la ragguardevolissima somma di 70 miliardi l’anno!
Ovviamente ciò non permetterebbe agli speculatori di operare come meglio vogliono: la gallina dalle uova d’oro non si tocca, quindi si fa tirare la cinghia agli italiani, si tortura la gente creando recessione e disoccupazione senza fine per non toccare questi interessi.
Nel frattempo che fa la Germania? Beh, direte voi, con un rating così positivo che problemi dovrebbe avere? Ma siamo certi che anche il rating positivo della Germania non sia frutto di un accordo internazionale tra speculatori e agenzie di rating? Sapete che il debito pubblico tedesco, unito a quello dei Lander ha un rapporto di circa il 250 % rispetto al PIL? E se si aggiungesse anche il debito privato sarebbe anche molto peggio di così? Ma questo non si deve dire e non si deve sapere: la Germania è un Paese virtuoso e quindi va bene così! Infine, come già accennato in un precedente articolo, gli squilibri che si stanno generando nei rapporti economici e finanziari tra Stati iniziano a creare situazioni paradossali: infatti SEBBENE lo spread tra Bund e BTP sia cresciuto negli ultimi mesi, lo spread tra BTP e titoli della Federal Reserve è calato al punto che tra poco ci converrà cedere i nostri BTP in cambio di titoli della FED!
E’ pacifico che tutto questo sistema non potrà reggere ancora per molto: da qui la saggia proposta di Savona ai suoi colleghi tedeschi di rivedere la stessa struttura della moneta unica, per prevenirne un’implosione che non porterebbe vantaggi a nessuno. Naturalmente i tedeschi nicchiano, sebbene sappiano che il tempo gioca a loro sfavore, ma gli equilibri a quanto pare stanno cambiando: chissà che qualcosa di buono possa già vedersi nei prossimi anni.
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Fonti:
www.ilsovranista.it/la-morte-di-nando-ioppolo/
Paolo Savona: “J’accuse. Il dramma italiano di un’ennesima occasione perduta”.
Paolo Savona: “Che cos’è l’economia”.