Il valore educativo del ceffone


Un bel ceffone, dato a tempo debito e con giusta causa, e forse non leggeremmo più di avvenimenti di bullismo scolastico come quello accaduto a Lucca in settimana. Oddio, cosa ho detto! Sarò tacciato per sempre di arretratezza culturale, forse di fascismo, e manderanno i Servizi Sociali a casa mia. Ma ogni volta ci si meraviglia e fa scalpore le notizie di ragazzi, più o meno adolescenti, sicuramente turbolenti, che si comportano male a scuola. Li chiamano “bulli”.
Il bullismo, dicono gli esperti, è una forma di comportamento sociale di tipo violento e intenzionale, di natura sia fisica che psicologica, oppressivo e vessatorio, ripetuto nel corso del tempo e attuato nei confronti di persone considerate dal soggetto che perpetra l’atto in questione come bersagli facili e/o incapaci di difendersi.
L’accezione è principalmente utilizzata per riferirsi a fenomeni di violenza tipici degli ambienti scolastici e, più in generale, di contesti sociali riservati ai più giovani dove la presenza di un elemento debole, tende a instaurare e rendere persistente il fenomeno.
Ed è proprio quanto avvenuto a Lucca solo un paio di giorni fa dove l’elemento debole, a quanto pare, era il professore d’italiano, visto che alcuni studenti dell’Istituto Francesco Carrara proprio lui avevano preso di mira intimandogli di mettersi in ginocchio, di concedere la sufficienza a chi non la meritasse (ricorda l’imposizione il famoso “sei politico” di sessantottina memoria … su cui ritorneremo) e avevano postato la umiliante scena sui social.
Un caso assurto prima agli onori del web, poi a quelli della cronaca con perquisizioni effettuate dalle Forze dell’Ordine nelle abitazioni dei soggetti coinvolti e il sequestro dei telefonini e che, infine, ha visto schierarsi le istituzioni scolastiche con la paventata bocciatura come unico rimedio a queste forme di violenza sociale.
Ma la scuola, dal canto suo, istituzione sempre più svuotata di contenuti didattici e di strumenti educativi, basti pensare alla soppressione di materie “inutili”come l’educazione civica, può fare ben poco ed il problema non è come reprimere il bullismo adolescenziale a forza di sospensioni ma come prevenire tale fenomeno di modo che non giunga proprio nelle aule scolastiche delle scuole medie inferiori e superiori.
Del resto lo Stato ha rinunciato da tempo al suo ruolo di educatore e anche la soppressione del servizio di leva che costringeva taluni, volenti o nolenti, ossia senza la rete protettiva di mammà e papà, a cambiare i propri atteggiamenti sociali, oggi risulta sospesa.
Non si può non riconoscere che questi atteggiamenti di bullismo, oggi addirittura proposti contro gli stessi docenti resi deboli da normative sempre più restrittive che impediscono loro di proporsi con autorevolezza (e, quando occorre, con autorità), sono figli di un progressivo allentamento educativo che si registra a partire dalle famiglie.
I genitori di oggi sono i figli dei sessantottini (non a caso più sopra si era già accennato al “6” politico), ossia di quei ragazzi che sull’onda di un pretesa libertà dei costumi, vollero rinunciare al valore aggiunto dato dal rispetto per l’autorità contestando prima l’autorità genitoriale e poi quella verso i rappresentanti delle istituzioni e, tra questi, gli stessi professori a cui era imposto di non bocciare (e neppure di premiare con voti elevati), sulla base di una pretesa uguaglianza sociale di stampo comunista. In poche parole, si trattava di un voto minimo garantito a tutti, indipendentemente dallo studio, dai risultati e dal rendimento ma, di fatto, era la negazione del significato della scuola, che dovrebbe servire a istruire e formare, e del voto che non è affatto un elemento di frattura sociale ma solo uno strumento di riscontro della qualità del lavoro svolto.
Analogamente fanno quei genitori che, per lassismo e mollezza, hanno rinunciato al loro ruolo genitoriale trovando più facile (loro direbbero più giusto) instaurare un rapporto completamente paritetico coi loro figli in nome di un preteso modernismo ma, così facendo, precludendosi ogni possibilità di essere loro precettori ed inculcare i principi del rispetto degli altri.
Un rispetto che non si può insegnare se non con piccole imposizioni impartite in età infantile ed adolescenziale ma che, poi, restituisce uomini e donne che hanno bene impresso il concetto che la propria libertà termina laddove si intacca quella degli altri.
In realtà ogni volta che non si educa un figlio al rispetto di talune regole ritenendo che sia inutilmente costrittivo infliggere anche lievi ma mirate punizioni all’occorrenza, non si fa altro che esporlo al rischio di rimanere invischiato in fattacci come quello di Lucca (o peggio) e comunque, anche se ciò non avvenisse, alimentando il progressivo degrado della società.
Oggi, purtroppo, non è raro vedere genitori, e la cosa interessa qualunque ceto sociale ossia è un fenomeno che interessa trasversalmente la società, completamente disinteressati alla vita dei propri figli. Questi adulti, con la scusante morale di vite lavorative molto assorbenti e con l’alibi che non si è più ai tempi delle famiglie patriarcali ove il padre era l’autorità assoluta e la madre l’angelo della casa, delegano alla scuola ogni onere educativo salvo poi a essere prontissimi a contestare con veemenza (e spesso platealmente) eventuali provvedimenti disciplinari inflitti ai propri rampolli con un atteggiamento che, ovviamente, destituisce di ogni autorevolezza gli stessi docenti a cui hanno affidato i figli.
Insomma un vero e proprio circolo vizioso e un controsenso costituito dall’affidare i figli a una istituzione perché li educhi ma che si contesta per i provvedimenti che intraprende per educarli.
Un tempo, invece, se un ragazzo mancava gravemente di rispetto a un professore, rischiava di prendere un ceffone dallo stesso e poi, una volta convocati i genitori a scuola e informati dei fatti, di buscarle anche da questi ultimi.
Oggi, invece, sembra sia sufficiente un tono di maggiore rimprovero da parte del docente che è il professore a rischiare il posto o, quanto meno, a doversi attendere una reazione più o meno risentita da parte dei genitori.
E, allora, non possiamo essere molto sicuri che il professore di lettere del liceo di Lucca sia davvero stato inadeguato nella tenuta della disciplina della classe (NDR: Pare che, dopo i fatti, sia finito addirittura sotto valutazione) se si riflette che gli unici strumenti repressivi del docente sono costituiti dal rapporto e dalla sospensione, provvedimenti disciplinari inutili, anzi dileggiati dagli stessi ragazzi, se poi ad essi non seguono adeguate misure educative da parte delle famiglie.
A causa della totale mancanza di qualunque imprinting educativo familiare, se non addirittura nella convinzione di essere autorizzati a tutto riscuotendo sempre e comunque la protezione della famiglia, non possiamo quindi meravigliarci che alcuni ragazzi, nemmeno con storie particolarmente “difficili” alle spalle, possano incorrere in situazioni spiacevoli come quelle accadute a Lucca.
Bisognerebbe invece rivalutare il valore di una educazione seria, che origini in seno alle stesse famiglie sin dall’età più tenera, impartita con l’autorevolezza del caso. Ciò significa innanzitutto la non confusione dei rispettivi ruoli di genitori e figli nonché, ove occorra, e senza che si gridi allo scandalo perché non si vuole invocare un sistema educativo basato sulla prassi di pene corporali (sicuramente un metodo non condivisibile, anzi deprecabile), anche il ricorso a qualche (lieve) ceffone educativo, cosa per la quale molti ringraziano ancora i loro anziani genitori, con buona pace delle dame di carità e dei pedagoghi da strapazzo che subito additerebbero i genitori “mostri” ai Servizi Sociali (a questi benpensanti si dovrebbe spiegare che i maltrattamenti sono ben altra cosa).
Insomma, facciamoci un sereno esame di coscienza e chiediamoci, con onestà, che tipo di genitori siamo voluti diventare in nome della modernità e se davvero, con questo modo di fare, stiamo rendendo migliore la società dove vivranno i nostri figli.