La politica delle mancette elettorali


La campagna elettorale, che si chiuderà ufficialmente alla mezzanotte di venerdì prossimo per consentire il prescritto giorno di riflessione, é stata caratterizzata da veleni di ogni tipo in ossequio al celebre “Calunniate, calunniate, qualcosa resterà” (il filosofo Bacone aveva scritto: “Calunnia senza timore: qualcosa rimane sempre attaccato”).
Insomma, botte da orbi.
A questa prima strategia, essenzialmente rivolta a demolire l’avversario politico di turno piuttosto che proporre programmi seri per far ripartire il Paese, se ne è affiancata un’altra, quella della mancetta elettorale, tesa a riguadagnare consenso verso gli elettori.
Ed ecco che i contratti di alcune categorie di lavoratori statali dopo anni di stallo, ben dieci, improvvisamente sono stati rinnovati e in busta paga, guarda caso proprio da marzo, i dipendenti di quei comparti lavorativi riceveranno mediamente 85 euro in più.
Gli ultimi contratti ad essere stati rinnovati, alla data di redazione di questo articolo, sono stati quelli dei lavoratori della sanità ma chissà quali altre trovate elettorali saranno ancora poste in essere prima che i giochi propagandistici siano davvero chiusi.
Ovviamente non é tutto ora ciò che luccica in quanto, se bastasse il sopraggiungere delle elezioni politiche per rinnovare i contratti di lavoro, dovremmo auspicare competizioni elettorali almeno ogni sei mesi.
Anzi di oro non se ne intravede proprio.
Intanto gli aumenti concessi sono del tutto irrisori se paragonati al reale aumento del costo della vita occorso nell’ultimo decennio, ossia dal precedente rinnovo. Inoltre, ma sono i numeri che parlano, aumentare le spese causerà, a risultato elettorato oramai incassato, l’inevitabile aumento della pressione fiscale e/o nuove voragini nel già importante debito pubblico poiché i soldi necessari a coprire questi regali elettorali non si possono recuperare con la sola lotta all’evasione o grazie a una maggiore efficienza dell’apparato statale.
Inoltre molti aspetti accessori inerenti le contrattazioni sindacali, ma che non sono percepiti come secondari dai lavoratori, sono ancora in forse come la importante questione del maggiore riconoscimento del lavoro notturno.
Anche il tanto sbandierato dato sull’incremento degli occupati é, in effetti, falsato dalla semplice considerazione che l’aumento dei posti di lavoro é stato ottenuto grazie a un massiccio ricorso al precariato.
Dunque non un vero e proprio miglioramento strutturale ma una operazione di facciata. Un nascondere la polvere sotto il tappeto lasciando, ancora una volta, che il problema si evidenzi dopo le elezioni.
Se qualcuno considerasse quanto esposto come pensieri di parte o, addirittura, propaganda politica, illuminante è apprendere come la situazione italiana viene percepita dagli analisti esteri.
Un esempio per tutti lo offre l’autorevole “Financial Tribune” che fine gennaio scorso riportava, senza mezzi termini, che l’italia è seconda solo alla Grecia in termini di debito pubblico tra i diciannove paesi dell’eurozona e che non c’e stata riduzione del debito sotto l’attuale governo guidato dal PD.
Ancora più recentemente, solo ieri, il “Chicago Tribune”, per quanto critico con tutte le formazioni politiche, ha asserito che il partito democratico non ha saputo convertire la piccola ripresa dell’economia dell’eurozona degli ultimi periodi (in Italia comunque minore a quella conseguita da altri Stati) in un concreto miglioramento della economia reale del Paese che, sotto molti aspetti, è ancora ferma a una decade fa. Nella buona sostanza la gente non ha percepito alcun concreto miglioramento della propria condizione economica.
Un giudizio pesante che sembra del tutto allineato alle perplessità di chi si é visto rinnovare, inadeguatamente e in fretta e furia, un contratto di lavoro vecchio di dieci anni solo per una (evidente) questione di propaganda elettorale.
In realtà il vero problema è stato proprio l’incapacità di ridurre il debito pubblico da parte di chi ha governato durante l’intero arco del mandato a suo tempo ricevuto. Una voce passiva che, proprio in questi giorni, è giunta a pesare ben 215 miliardi di euro e che, come tutti i debiti, produce interessi che si ripercuotono negativamente sull’economia bloccando ogni opportunità di crescita che, invece, si è registrata in misura maggiore negli altri Paesi europei.
Nessuno ha certamente la bacchetta magica per problemi tanto seri ma la sensazione é che per iniziare a risolvere i problemi strutturali del nostro Bel Paese, e un buon esempio lo sono certamente i rinnovamenti dei contratti di lavoro delle varie categorie, non si puó farlo frettolosamente negli ultimi istanti delle campagne elettorali dopo anni di statico immobilismo.
Non serve granché sbandierare negli spot che si é impegnato tempo e risorse per la legge sulle unioni civili se poi, anche chi si é unito civilmente, non riesce egualmente a vivere dignitosamente ed avere prospettive per il futuro.

Riferimenti:

https://financialtribune.com/articles/world-economy/80729/italy-must-reduce-debt-burden

http://www.chicagotribune.com/business/sns-bc-eu–italy-election-economy-20180223-story.html