Liberismo o capitalismo: uguale libertà?


Il principio del liberismo filosofico è l’ asserzione che la libertà è il bene supremo dell’uomo, e come tale questa facoltà deve potersi esercitare senza alcun vincolo se non quello che trova in sé stessa: la mia libertà ha come vincolo solo la libertà altrui.
Viene subito da fare una considerazione: il bene supremo è per definizione un fine, è quella meta cui l’ uomo tende. Ora, la libertà non può essere un fine, ma un mezzo: è scelta, e come tale deve avere un oggetto. La libertà è uno strumento per raggiungere la felicità mediante scelte fatte con oculatezza. La felicità è la piena realizzazione della persona. Il liberismo sostiene invece che la felicità sta nello scegliere, indipendentemente da ciò che si sceglie: basta scegliere senza costrizioni per essere felici. È un’affermazione la cui falsità sperimentiamo quotidianamente. Non solo, ma se effettivamente il limite della libertà stesse soltanto nell’accordo tra la mia libertà e quella altrui, tutto sarebbe permesso: strozzinaggio, salario da fame, concubina, adulterio, pornografia, pedofilia. Tutto è lecito purché deciso di comune accordo.Il padrone che offre un salario da fame viola la libertà dell’operaio? Assolutamente no, poiché non esercita una costrizione sulla sua libertà. Ciò che esercita è una violazione alla dignità della sua persona: concetto quest’ultimo, che nel liberismo, così espresso, non sembra comparire.Non solo, ma chiunque osa protestare contro questa interpretazione riduttiva della libertà viene tacciato di intolleranza e ridotto al silenzio; viene così palesemente violato l’assunto che la libertà altrui finisce dove comincia la mia. È evidente che chi sostiene questa tesi presume di avere una libertà così illimitata da negare quella di chi non la pensa come lui.
Il liberismo economico o capitalismo selvaggio è l’esatta interpretazione di questa filosofia: poiché alla radice di ogni cosa c’è un accordo, tutto è lecito.
Non è questa la sede per trattare il problema dell’economia, ci limitiamo a buttare sul tappeto questa provocazione non per criticare il sistema economico occidentale, ma solo per invitare a riflettere sui frutti di questa interpretazione riduttiva della libertà. Nel capitalismo selvaggio, i concetti considerati propri di questo, quali “competitività” e “libero mercato”, vengono dunque a costituire principi validi, di fatto, soltanto per la classe media e la gente comune. L’élite dominante, lungi dal rispettare le regole, basa il suo potere sulle agevolazioni e le sovvenzioni dello Stato, e sulla possibilità di infrangere qualsiasi legge, valendosi dell’egemonia finanziaria ed economica. In un sistema siffatto, le grandi Corporation concludono accordi fra loro, rafforzando così il loro potere.
Il capitalismo teorico deve nascere nella libertà di azione dell’uomo, e deve tendere a dare benessere materiale in modo spontaneo, senza pressioni di alcun genere. Il solo limite consiste nel rispetto delle leggi e dei diritti umani universali. Il capitalismo selvaggio, invece, mette al primo posto la sopravvivenza dello stesso sistema economico iniquo, mentre le vite umane possono essere spezzate a milioni pur di salvaguardare lo status quo. Tale sistema è basato sull’esistenza di un’area demografica agiata, che lo rafforza attraverso il consenso ideologico e il consumismo. Ma per la sua sopravvivenza occorre anche un’area disagiata. Per abbassare il costo del lavoro occorre che essa sia quanto più possibile ampia. Il sistema del capitalismo selvaggio attua tecniche di vario genere per creare povertà ed eliminare la manodopera in sovrappiù, distruggendo le economie dei paesi più deboli. Esso si impone con la forza, e fa credere che l’economia sia una scienza esatta e quindi immune da ogni libera dissertazione. Ma l’economia non può essere una scienza esatta come la matematica, la fisica o la chimica, perché si basa sulle capacità d’arbitrio dell’uomo e possono esistere più sistemi economici. I capitalisti selvaggi impongono restrizioni di tipo culturale, economico e politico; il sistema che loro prediligono è la dittatura. La libertà è libertà per loro stessi di dettare le regole, di eliminare la competitività e di decidere chi deve andare avanti e chi deve essere portato al fallimento. Secondo questo modello deve dominare un’unica cultura, un unico gruppo e un unico potere politico. Per questo motivo le popolazioni devono essere tenute sotto controllo, anche nella loro crescita demografica. Thomas Robert Malthus (la sua teoria sarà ripresa da Lucas fondatore della scuola di Chicago) sosteneva che le carestie e le epidemie erano “salutari” rimedi all’aumento demografico, indicato come problema più grave del pianeta. L’élite anglo-americana è seguace di Malthus, ma si rifà anche alle idee di Charles Darwin, secondo il quale la specie più forte domina, e quella più debole si estingue. Lo scopo di queste teorie è quello di imporre il sistema creato dall’élite dominante anglo-americana, che non lascia libertà né accetta una vera competizione, ma impone un assetto favorevole soltanto a pochi. Un falso capitalismo spacciato per vero. Le scuole in cui nascono queste teorie sono finanziate dagli stessi personaggi che fanno parte dell’élite, come Rockefeller, finanziatore della scuola di Chicago (tutti mediocri economisti, i loro risultati sono visibili). Le industrie petrolifere, farmaceutiche, belliche ecc., oggi controllano le maggiori università del mondo. Possono dunque decidere ciò che è “scienza” e ciò che non lo è, ciò che va divulgato e ciò che va occultato. Persino il Premio Nobel per l’economia non è possibile conferirlo liberamente. Infatti, esso in realtà non è un vero Premio Nobel perché non viene dato dalla Fondazione Nobel ma da un gruppo di banchieri della Banca Centrale Svedese. Solo i banchieri si arrogano il potere di valutare i sistemi economici, per paura che le teorizzazioni umane possano spaziare liberamente, come avviene in qualsiasi altro campo. Il modello da loro premiato è quasi sempre quello liberale o neo liberale, che non mette in discussione lo strapotere delle banche e delle Corporation. Nella quarta satira di Giovenale viene attaccata ferocemente la stessa corte imperiale, che non è quella contemporanea del poeta, ma di Domiziano, un altrettanto crudele e feroce imperatore, soprannominato dal poeta come “calvo Nerone”. Il punto su cui si discute è come cucinare un enorme e gigantesco rombo, donato all’imperatore, che convoca il “consilium principis”, cioè i suoi consiglieri che insieme discutono sulla questione tanto importante e delicata. Viene allora da interrogarsi sui personaggi della sua satira e sulle scelte politiche di quanti gestiscono il potere, uomini che, ieri come oggi, senza far nomi o accuse, discutono su tematiche futili, non occupandosi di problemi molto importanti e decisivi anche per le sorti della nostra terra come quello sul capitalismo selvaggio, si preferisce discutere di omosessualità , teorie del gender e altri problemi inutili per il raggiungimento della felicità suprema di cui si parlava prima felicità che dia dignità all’essere umano.