Grilli ed efficienza energetica: le cantonate dell’UE


L’insolenza della Comunità Europea diventa ogni giorno più insopportabile. Prima la farina di grilli, adesso l’adeguamento energetico di circa 11 milioni di abitazioni totalmente a carico dei cittadini. Francamente non se ne può più e forse chi grida a un’Italexit non sbaglia poi tanto.
Intendiamoci, io non ho nulla in contrario a che il mio prossimo si nutra d’insetti, ci mancherebbe, ma ritengo immorale la leggerezza con cui il semplice “permesso” di commercializzare larve e farine di insetti nel territorio dell’Unione è stato concesso a società private (non italiane) senza considerare gli aspetti collaterali. Anche se oltre un miliardo di esseri umani già si cibano di tali prelibatezze, ciò non significa che anche i restanti sette miliardi debbano subire la stessa dieta. Io personalmente mangio volentieri il Casu Marzu, prelibatezza sarda che sul continente è assai poco apprezzata, ma pensare di ingoiare larve e insetti di altro tipo non mi garba punto. D’altronde quando apriamo un pacchetto di gallette vecchie e vediamo volar fuori le tarme della farina, mica le mangiamo! Invece il rischio che oggi si corre è che – data la convenienza di questi ingredienti rispetto ad altri più nobili e costosi – prima o poi qualche spudorato produttore di alimenti inserisca questi ingredienti nella composizione di, che so, biscotti, polpette o qualsiasi altro cibo che poi ci viene venduto con una microscopica composizione indicata sulla confezione che nessuno leggerà prendendo le confezioni dallo scaffale di un supermercato.
In pratica saremo involontari consumatori di grilli sfarinati, perché i nostri governanti europei, tanto bravi a prendere mazzette dagli arabi e a scrivere direttive insulse sulla lunghezza delle zucchine. Saranno stati convinti a legiferare in tal senso dalla lobby degli insettivori.
L’unica speranza è che almeno l’Italia imponga l’obbligo di indicare con scritte giganti sulle confezioni quei prodotti contaminati (uso il termine appositamente) da insetti, come gli avvisi sui pacchetti di sigarette. D’altro canto ci siamo appena liberati di un Grillo fastidioso, non è il caso di portarcene in casa altri.
Non si era ancora chetata la buriana sugli ortotteri che già un’altra alzata d’ingegno dei geni di Bruxelles ha iniziato a far tremare i polsi agli italiani. Entro il 2030, cioè in soli otto anni, tutti gli edifici residenziali dovranno essere classificati in classe “E” con tanto di APE (Attestato di Prestazione Energetica) rilasciata da un professionista abilitato, pena l’impossibilità di poter vendere l’immobile. Non basta: dopo altri tre anni l’asticella dovrà essere alzata alla classe “D”.
Tutto ciò comporta un onere medio per ciascun appartamento stimato per difetto in oltre 20 mila euro, il che significa, su un patrimonio di oltre 11 milioni di edifici, una spesa complessiva non inferiore a 220 miliardi di euro, circa un decimo del PIL nazionale.
Davvero c’è da chiedersi cosa fumano gli europarlamentari. Anche perché come molte altre direttive questa accomuna situazioni troppo dissimili tra loro e fa una media che alla fine si rivela essere quella di Trilussa. Non è possibile, infatti, paragonare il patrimonio immobiliare residenziale italiano o spagnolo a quello svedese o a quello danese, e anche Paesi come la Germania e la Francia hanno situazioni troppo differenti per essere accomunate in un’unica norma.
Ma al di là di tutte le diatribe e delle polemiche che sono sorte, che saranno ancora numerose e che speriamo portino a una correzione di rotta o almeno a una separazione delle situazioni dei singoli Stati, vi immaginate cosa accadrà quando il proprietario di una casa la cui facciata è protetta da un vincolo della Soprintendenza alle Belle Arti? Non solo otto anni è il tempo minimo per istituire una pratica, figuriamoci poi se si tratta di ottenere un benestare. Che nella maggior parte dei casi non arriverà.