PsicologicaMente – Paura dell’abbandono. Un’altra forma di dipendenza affettiva


“C’è un silenzio forte dopo un abbandono.
C’è un silenzio che ti spegne fino al sonno.”
(B. Antonacci – “C’è silenzio”)

Cari lettori,
Questa settimana, per l’articolo odierno, mi sono lasciato nuovamente “ispirare” dai miei figli, in particolare l’ultimo nato che da qualche mese richiama l’attenzione di noi tutti.
Ebbene il nuovo piccolo membro della famiglia è già molto attivo e socievole, particolarmente legato alla mamma tanto da manifestare in più occasioni i primi segni della classica sindrome dell’abbandono, tipica di tantissimi neonati.
Osservando questo suo comportamento, il parallelo con la vita da adulti è venuto da sé e mi son detto che, sì, certamente questo sarebbe potuto essere un argomento coinvolgente ed interessante per molti.
Non poche persone vivono il timore di essere abbandonate e questa sensazione non è davvero facile da gestire, tanto che spesso finisce con l’influenzare anche le relazioni affettive.
Coloro che vivono questa angoscia costante, infatti, si convincono che, prima o poi, finiranno col perdere i propri cari e che le loro relazioni non sono destinate a durare.
Per istinto tra i bisogni primari dell’uomo c’è quello di vivere insieme ai propri simili, confrontarsi ed organizzarsi all’interno della società. Dunque la disposizione ad intessere e mantenere relazioni affettive significative è insita nel patrimonio genetico della specie umana ed è presente fin dai primi giorni di vita. Pertanto, ne consegue che il timore di essere abbandonati da coloro che sono parte di queste relazioni è una delle ansie più frequenti che si manifestano nell’arco dell’intera vita delle persone.
Si parte, come dicevo all’inizio, dall’ansia di abbandono del bambino piccolo quando la sua mamma si allontana, si passa poi al dolore di un adulto alle prese con una perdita o una separazione, per giungere magari all’angoscia dell’anziano che viene condotto presso una struttura di riposo o un ospedale, lasciando la propria casa e tutto ciò che fino a quel momento aveva rappresentato il suo mondo sicuro.
La paura dell’abbandono si accompagna sempre al timore di essere tralasciati, rinnegati, dimenticati, di non aver più riferimenti, nessuno che si prenda cura di noi, di perdere davvero i “pezzi” della propria esistenza.
Tuttavia, pur essendo qualcosa di connaturato all’essere umano, se nel corso dell’infanzia, quindi da bambini, i processi di separazione dalla madre e dalle figure fondamentali di riferimento sono stati vissuti con tranquillità, senza traumi o esperienze particolari, in età adulta si riuscirà a gestire nella maniera corretta i vari distacchi, fisici e psichici, cui si potrà incorrere e ci si renderà capaci di costruire legami affettivi sani e solidi.
Viceversa tutto cambia se l’adulto ha vissuto esperienze infantili traumatiche e/o conflittuali con le figure di riferimento e non è riuscito, quindi, ad interiorizzare l’altro come base sicura, come una presenza interna stabile, positiva e duratura.
Se l’ansia maturata a seguito di tali vissuti non viene riconosciuta, affrontata e risolta durante il periodo infantile, crescerà un adulto insicuro, con una identità e personalità molto fragili, che farà fatica a costruire ed a gestire le relazioni affettive.
Coloro che manifestano segnali di sofferenza dovuti alla sindrome d’abbandono si trovano a vivere le relazioni affettive non come un’occasione di arricchimento, di scambio e di crescita, ma come conflitto, come luogo in cui annullare se stessi in favore dell’altro e questo a causa di una profonda e “patologica” paura di perderlo.
In altri casi può accadere che la persona che soffre di questo malessere assuma, all’interno delle relazioni affettive, il ruolo di persecutore del partner, spinto dall’obiettivo di non perdere la persona amata e, dunque legato a questa da un attaccamento eccessivo ed accecato da una gelosia irrazionale e morbosa.
La paura di essere abbandonati può esplicitarsi anche nella incapacità di svincolarsi da relazioni nocive siano esse di amicizia, di amore, ma anche di lavoro e tutto per la paura di restare soli.
Pertanto, possiamo certamente affermare che la paura dell’abbandono è un sentimento naturale e che coinvolge ogni essere umano, essa però può sfociare nella patologia vera e propria laddove non si riesca, nell’infanzia, ad introiettare un sano e valido legame con le figure di accudimento. In questi casi le separazioni o le perdite vissute poi da adulti potrebbero far emergere profonde ferite passate che generano a loro volta ansie e frustrazioni. Si viene assaliti dall’angoscia di subire un tradimento, di non essere accettati, di sentirsi insignificanti o, peggio, invisibili.
In tal modo separazione e perdita vengono vissute come un venir meno non solo dell’altro, ma anche di sé stessi come individui degni di considerazione ed amore.
Quando la paura dell’abbandono assume i tratti della “patologia” si parla di “sindrome abbandonica” ed ha enormi ripercussioni in molti ambiti della vita quotidiana.
La sindrome dell’abbandono è accompagnata da diverse manifestazioni fisiche ed anche psichiche. Per quanto riguarda l’aspetto del fisico, si manifesta con spossatezza, disturbi del sonno, dell’alimentazione, della digestione, abbassamento delle difese immunitarie, disturbi nella sfera neurovegetativa.
Dal punto di vista psicologico questo malessere porta angoscia e senso di vuoto come se ogni cosa fosse chiusa e conclusa, come se tutto avesse perso senso e stabilità, si percepisce la sensazione di non farcela, di non essere sufficienti, di aver perso lo scopo, di non essere più quelli di un tempo. In effetti, chi vive un episodio di abbandono sente proprio di perdere una “pezzo” di sé, pertanto inizia a credere che la sua esistenza sia, da quel momento, povera di senso e significato.
Non di rado si assiste a fenomeni di abulia, cioè persone totalmente inermi, del tutto incapaci di condurre a termine le proprie azioni e intenzioni, ovvero di assumere decisioni o prendere posizione rispetto a circostanze importanti.
Si può, ancora, assistere all’insorgere di status depressivi, attacchi di panico, crisi di identità, ma sono altrettanto sintomi comuni manifestazioni di forte aggressività, di gelosia e ovviamente frequentissime crisi di ansia.
Ma, allora, che fare per fronteggiare e guarire questo timore?
Senza dubbio quando la paura dell’abbandono ostacola il vivere quotidiano, complica la costruzione del proprio universo affettivo e crea importanti malesseri e disagi è necessario rivolgersi ad un terapeuta. Solo attraverso un percorso di psicoterapia orientata all’analisi profonda di se, si potrà ottenere il giusto supporto ed essere accompagnati verso la rigenerazione e la rinascita. Il terapeuta dovrà spronare la persona ad individuare e, quindi, dare un senso alle cause scatenanti l’ansia abbandonica, ad elaborare quei conflitti irrisolti che certamente originano nell’infanzia e rimarginare ferite ancora non guarite. Si dovrà, quindi, rivivere il dolore e la sofferenza del passato per metabolizzare e distruggere tutto ciò che costituisce una fonte di nutrimento per la paura costante di essere abbandonati.

Notazioni Bibliografiche:
– “Clinica dell’abbandono”, A. Merini, Einaudi;
• “Incontrare l’assenza. Il trauma della perdita e la sua soggettivazione ”, M. Recalcati, Asmepa.