Il vulcano Marsili, un gigante assopito


Nelle profondità del Mar Tirreno meridionale giace il più grande vulcano sottomarino europeo, disteso nei fondali tra la Calabria e la Sicilia. Un gigante assopito che nasconde ancora molti segreti ed ha l’attenzione continua dei nostri vulcanologi per la sua potenziale pericolosità essendo di fatto un vulcano attivo come il vicino Stromboli, nelle isole Eolie. Contrariamente a quel che si pensa, il Marsili è un vulcano attivo, adagiato a circa tre chilometri di profondità, con la sua sommità a circa 500 metri sotto il livello del mare. Nel Tirreno esistono altri grandi vulcani ancora troppo poco studiati ma meritevoli di attenzione: dal Vavilov al Magnaghi, Palinuro, fino ai più piccoli Glauco, Eolo, Sisifo, Enarete. Le dimensioni del Marsili sono imponenti: circa 70 km di lunghezza e  30 di larghezza, coprendo un’area di circa 2.100 km quadrati.
Tutti i vulcani sottomarini attivi proiettano materiale lavico dai loro crateri sommersi … il materiale che si raffredda, scivola lungo le pareti esterne del vulcano e crea, in accumulo, pendenze con un’inclinazione  piuttosto accentuata. Per capire l’effetto, immaginate di far cadere della sabbia verticalmente su un piano, lentamente si formerà un cono che man mano diventerà sempre più alto per poi collassare lateralmente. Lo stesso fenomeno può accadere in fondo al mare in prossimità di un vulcano sottomarino. Il materiale, a seguito del collasso, franerebbe verso il basso e può generare delle forze che causerebbero eventi sismici e tsunami. Nel caso del Marsili, la quota massima del vulcano, rispetto al fondo, è mediamente di 900 metri. L’eventuale scivolamento del materiale causerebbe quindi un collasso di una parte dell’edificio vulcanico generando una frana di circa 20 km cubi di materiale, circa otto volte maggiore di quella spaventosa generata dall’esplosione del Mount St. Helen nel 1980. Questo movimento sismico potrebbe provocare uno tsunami con onde gigantesche che, nello spazio di dieci minuti, raggiungerebbero le isole Eolie con onde alte tra i 25 e i 35 metri. L’effetto raggiungerebbe quindi le coste della Calabria e della Sicilia con onde fino a venti metri di altezza, devastando la costa. Naturalmente questa ipotesi drammatica è basata sull’ipotesi teorica di un ipotetico collasso del vulcano. Ma quanto può essere reale? Per rispondere bisogna conoscere meglio questo gigante sommerso.
Ciò che sappiamo sul vulcano Marsili è legato ai dati geofisici e ai campioni di carotaggio prelevati dalla sua sommità. Sappiamo che possiede un’attività idrotermale attiva e presenta un’attività sismica legata ad eventi di fratturazione superficiale ed al degassamento nella zona centrale. Questa zona appare più leggera perché interessata dalle fratture superficiali e dalla circolazione di fluidi idrotermali. Dai carotaggi è emerso che le eruzioni più recenti avvennero in prossimità del settore centrale a circa 850 metri di profondità circa 5000 e 3000 anni fa, tra l’altro con un basso indice di esplosività. Considerando i dati raccolti, gli scienziati hanno valutato che se avvenisse una nuova eruzione vulcanica sottomarina a quella profondità (ovvero tra i 500-1000 metri) l’unico effetto in superficie sarebbe il ribollire dell’acqua a seguito del degassamento ed il galleggiamento in sospensione di materiale vulcanico sciolto (pomici). Per cui i vulcanologi ritengono che il rischio associato a possibili eruzioni sottomarine è da ritenersi al momento trascurabile ovvero estremamente basso. Nel caso, come misura preventiva, si potrebbe ipotizzare solo una modifica temporanea delle rotte del traffico navale. Quello che invece non è ancora noto è la ripetibilità storica delle eruzioni del Marsili perché i dati inerenti il numero e frequenza delle eruzioni sono ancora troppo limitati e non consentono valutazioni statistiche significative.
Ma quanto è alto il rischio di pericolosità di tsunami nel Tirreno meridionale  nel caso di collasso del vulcano Marsili? Il collasso laterale di vulcani sottomarini è un fenomeno conosciuto, relativamente frequente ma non è detto che possa produrre fenomeni sismici tali da provocare degli tsunami, sebbene in tempi geologicamente recenti metà dell’isola di La Palma, nelle canarie, abbia subito questa fine a causa di un’eruzione del vulcano Taburiente da una bocca laterale situata sotto al livello del mare. Tuttavia i geologi pensano che questi fenomeni sono generalmente più associati a terremoti ed a frane della scarpata continentale. Gli studi su questo grande vulcano sono ancora incompleti ma la sua morfologia, ricavata dai profili ecografici, non presenta evidenze di significativi collassi laterali negli ultimi 700.000 anni di attività. Vi sono solo evidenze di seafloor sliding superficiali limitate al settore centrale del vulcano.
Questi franamenti di materiale sembrano non essere in grado di produrre tsunami perché coinvolgono volumi irrisori di roccia disgregata e sono soliti verificarsi sui conoidi sommersi davanti alla foce di fiumi o sul tetto della scarpata continentale, lungo i canyon sottomarini. Inoltre, nei record storici e geologici degli tsunami lungo le coste tirreniche non vi sono evidenze di onde anomale ricollegabili al Marsili. Ovviamente il fatto che non sia mai avvenuto non significa che non possa mai accadere.
Gli scienziati stanno ora studiando questo enorme vulcano con periodiche campagne geologiche, iniziate dal 2006. Misurazioni acustiche e carotaggi sono stati effettuate impiegando un Research and Survey vessel, la Universitatis. Il dottor Mattia Vallefuoco dell’IAMC-CNR ha riferito che, sebbene l’ipotesi più accreditata dagli studiosi sia che l’attività eruttiva del vulcano sia cessata 100.000 anni fa,  nel corso della ricerca, tramite il prelievo di carote di sedimento ad una profondità di circa 840 metri, sono stati evidenziati due livelli di ceneri vulcaniche dello spessore di 15 e 60 centimetri la cui composizione chimica risulta coerente con quella delle lave del vulcano.
Quindi il vulcano appare essere ancora attivo come l’Etna, lo Stromboli ed il Vesuvio. Su base statistica non possiamo però prevedere molto e si possono fare solo modelli su i possibili effetti catastrofici che potrebbero essere causati da uno tsunami.
In ogni caso l’incertezza resta e l’unica azione da perseguire è il periodico monitoraggio dello stesso.


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Fonti:
NOAA
Oceans for future