X-MAS: ricorre l’impresa d’Alessandria d’Egitto


Nella notte tra il 18 e il 19 dicembre 1941 sei palombari della Regia Marina a bordo di tre mezzi d’assalto subacquei denominati familiarmente “maiali” e tecnicamente siluri a lenta corsa (SLC), penetrarono nel porto di Alessandria d’Egitto ed affondarono con testate esplosive le due navi da battaglia britanniche HMS Queen Elizabeth (33.550 t) da parte del TV Antonio Marceglia con Spartaco Schergat e HMS Valiant (27.500 t) da parte del TV Luigi Durand de la Penne con il palombaro 2^ capo Emilio Bianchi, danneggiando inoltre la nave cisterna Sagona (7.750 t) ed il cacciatorpediniere HMS Jervis (1.690 t) colpite dal TV Vincenzo Martellotta di Taranto con Mario Marino.
Furono tutti e 6 decorati di Medaglia d’ORO al Valor Militare e la loro ardita e rischiosa azione impressionò tutte le Marine Militari del Mondo.
Quella che è senz’altro la più celebre delle azioni della Xª Flottiglia MAS, denominata operazione G.A.3, venne effettuata nella notte tra il 18 ed il 19 dicembre 1941. Si trattò di una sorta di rivincita delle forze armate italiane per le gravi perdite navali subite nella notte di Taranto (novembre 1940) e proiettò nella leggenda gli “uomini-rana” italiani che furono imitati e dettero vita a quelle che sono le attuali “forze speciali” di tutte le Marine Militari del mondo. L’impresa dette lustro imperituro anche al sommergibile Scirè che condusse l’attacco al comando di Junio Valerio Borghese.
La preparazione dell’attacco, per quanto competeva agli operatori della Xª, venne attuata con la massima meticolosità. L’allenamento del personale era pesantissimo, i materiali sempre all’avanguardia. Non altrettanto valido risulterà invece il supporto informativo, soprattutto per quanto riguarda le informazioni fornite dal SIM (Servizio Informazioni Miliare) sulla situazione all’esterno del porto e per il piano di fuga.
La notte del 3 dicembre il sommergibile Sciré comandato dal tenente di vascello Junio Valerio Borghese lasciò La Spezia per la missione G.A.3. Dopo uno scalo a Lero, nell’Egeo, per imbarcare gli operatori dei mezzi d’assalto giunti sul posto dopo il trasferimento aereo dall’Italia, il 14 dicembre il sommergibile si diresse verso la costa egiziana per l’attacco previsto nella notte del 17. Una violenta mareggiata però fece ritardare l’azione di un giorno.
La notte del 18, con condizioni del mare ottimali, approfittando dell’arrivo di tre cacciatorpediniere che obbligarono i britannici ad aprire un varco nelle difese del porto, i tre SLC (Siluro a Lenta Corsa), pilotati ciascuno da due uomini (un ufficiale capo equipaggio ed il suo sezionario), penetrarono nella base per dirigersi verso i loro obiettivi. Gli incursori dovevano giungere sotto la chiglia del proprio bersaglio, piazzare la carica d’esplosivo e successivamente abbandonare la zona dirigendosi a terra e autonomamente cercare di raggiungere il sommergibile che li avrebbe attesi qualche giorno dopo al largo di Rosetta.

L’equipaggio Durand de la Penne – Bianchi sul maiale nº 221 puntò verso la nave da battaglia Valiant. Senza la collaborazione del secondo, colpito da un malore a causa di malfunzionamento al respiratore, de la Penne trascinò sul fondo il proprio mezzo, riuscendo a posizionarne la carica esplosiva sotto la carena della nave da battaglia prima di affiorare, essere avvistato, catturato e portato proprio sulla corazzata. Dopo poco, gli inglesi catturarono anche Bianchi, che era risalito alla superficie e si era aggrappato ad una boa di ormeggio della corazzata, e lo rinchiusero nello stesso compartimento sotto la linea di galleggiamento nel quale avevano portato Durand de la Penne, nella speranza di convincerli a rivelare il posizionamento delle cariche. Alle 05:30, a mezz’ora dallo scoppio, de la Penne chiamò il personale di sorveglianza per farsi condurre dal comandante della nave Morgan ed informarlo del rischio corso dall’equipaggio; ciò nonostante questi fece riportare l’ufficiale italiano dov’era. All’ora prevista l’esplosione squarciò la carena della corazzata provocando l’allagamento di diversi compartimenti mentre molti altri venivano invasi dal fumo; anche il compartimento che ospitava gli italiani venne interessato dall’esplosione e una catena smossa dall’esplosione ferì alla testa Durand De La Penne; ma i due italiani riuscirono ad uscire dal locale e ad andare in coperta da dove vennero evacuati insieme al resto dell’equipaggio
Martellotta e Marino, sul maiale nº 222, costretti a navigare in superficie a causa di un malore del primo, condussero il loro attacco alla petroliera Sagona. Questa nave era un obiettivo assegnato dal comandante Borghese in subordine, se constatata l’assenza in porto della portaerei in forza alla Mediterranean Fleet. Dopo aver preso terra vennero anch’essi catturati dagli egiziani. Intorno alle sei del mattino successivo ebbero luogo le esplosioni. Quattro navi furono gravemente danneggiate nell’impresa: oltre alle tre citate anche il cacciatorpediniere HMS Jervis, ormeggiato a fianco della Sagona, fu infatti vittima delle cariche posate dagli assaltatori italiani.
Antonio Marceglia e Spartaco Schergat sul maiale nº 223, in una missione perfetta, da manuale rispetto a quelle degli altri operatori, attaccarono invece la Queen Elizabeth (NDR: in foto prima dell’affondamento) circondata da reti parasiluri, alla quale agganciarono la testata esplosiva del loro maiale, quindi raggiunsero terra e riuscirono ad allontanarsi da Alessandria, per essere catturati il giorno successivo, a causa dell’approssimazione con la quale il servizio segreto militare italiano, il SIM, aveva preparato la fuga: vennero date ai palombari banconote che non avevano più corso legale in Egitto e per cercare di cambiare le quali l’equipaggio perse tempo. Nonostante il tentativo degli italiani di spacciarsi per marinai francesi appartenenti all’equipaggio di una delle navi presenti in rada, vennero riconosciuti e catturati.
Winston Churchill ebbe a dire: “… sei italiani equipaggiati con materiali di costo irrisorio hanno fatto vacillare l’equilibrio militare in Mediterraneo a vantaggio dell’Asse.”
Sebbene l’azione fosse stata un successo, le navi si adagiarono sul fondo, e non fu immediatamente possibile avere la certezza che non fossero in grado di riprendere il mare. Nonostante tutto, le perdite di vite umane furono molto contenute: solo 8 marinai persero la vita.
Antonio Marceglia e Spartaco Schergat sul maiale nº 223, in una «missione perfetta, «da manuale» rispetto a quelle degli altri operatori, attaccarono invece la Queen Elizabeth, alla quale agganciarono la testata esplosiva del loro maiale, quindi raggiunsero terra e riuscirono ad allontanarsi da Alessandria, per essere catturati il giorno successivo, a causa dell’approssimazione con la quale il servizio segreto militare italiano, il SIM, aveva preparato la fuga: vennero date ai palombari banconote che non avevano più corso legale in Egitto e per cercare di cambiare le quali l’equipaggio perse tempo. Nonostante il tentativo degli italiani di spacciarsi per marinai francesi appartenenti all’equipaggio di una delle navi internate in rada, vennero riconosciuti e catturati.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, tutti e sei gli operatori, ad eccezione di Emilio Bianchi che fu rilasciato più tardi, vennero rilasciati dai campi di prigionia alleati e rimpatriati in Italia, dove aderirono al Regno del Sud. Inquadrati in Mariassalto, nel marzo 1945 Luigi Durand de la Penne venne decorato a Taranto con la medaglia d’oro al valor militare appuntata, in segno di particolare onore, dal commodoro Sir Charles Morgan, ex comandante della HMS Valiant.
Eè interessante la storia di Emilio Bianchi, che nel dopoguerra fu assegnato dapprima al centro subacqueo di Varignano, poi al Nucleo Sminamento di Genova e per ultimo all’Accademia Navale di Livorno; fu infine posto in congedo con il grado di capitano di corvetta .
Il 18 dicembre 2004, nell’anniversario dell’attacco di Alessandria d’Egitto, presenziò al varo del nuovo sottomarino Scirè. In occasione del suo centesimo compleanno, nel 2012, venne omaggiato dal presidente della Repubblica con una medaglia commemorativa. Emilio Bianchi morì all’età di 103 anni a Torre del Lago nel 2015.