Anche lui ha una storia!


Anche lui ha una storia!
L’arte di rappresentare il mistero della nascita di Gesù, in una dimensione fisica, non iconografica ma tridimensionale, in bilico tra realtà e misticismo, fa capolino, all’alba dell’XI Secolo, con l’intento di servire, sia come insegnamento religioso che come immediata e visiva comunicazione alle masse.
Si è lungamente sostenuto che il nostro amato “Presepe” sia stata una creazione del Santo di Assisi quando, nel 1223, di ritorno dalla Terra Santa, volle mettere in scena la natività nel piccolissimo borgo di Greccio (nel Lazio, ai confini con l’Umbria), per lui tanto simile alla cara Betlemme. Oggi, alla luce di nuovi studi e scoperte, si tende invece ad affermare che analoghe raffigurazioni erano già presenti a quei tempi, presso molte chiese cristiane. In ogni caso, non va certamente dimenticato che, anche se non fu San Francesco il primo ideatore di questo genere di rappresentazione cristiana, fu sicuramente lui che maggiormente contribuì a diffonderne la conoscenza, il culto, la devozione e la venerazione tra le genti. Tra i presepi più antichi pervenuti fino a noi, il più degno di nota è sicuramente quello custodito nella Basilica romana di Santa Maria Maggiore, un’opera scultorea in pietra, realizzata nel 1288 dal toscano Arnolfo di Cambio (1240-1310), su commissione di Papa Niccolò IV, primo pontefice francescano, incompleta a causa della dispersione delle figure della Vergine e del Bambino. Nel lungo periodo che va dagli inizi del ‘300 alla prima metà del ‘400, il tema della natività riscosse un’attenzione artistica esclusivamente pittorica. L’uso plastico del presepe ritornò ad imporsi nuovamente nella seconda metà del XV Secolo, in Italia e specialmente in Toscana, caratterizzato da poche, anche se monumentali, figure di personaggi sacri e di pastori, scolpite nel legno. Dal centro della nostra penisola, l’interesse e la tecnica del presepe iniziarono ad espandersi, soprattutto, nelle principali città del Regno di Napoli, come testimoniano scritti dell’epoca e numerosi resti delle realizzazioni giunte sino ai nostri giorni. Tra di esse, spiccano quella lignea, del 1484, ospitata nella Chiesa partenopea di San Giovanni a Carbonara ed alcune visibili a Matera e ad Altamura, che mettono in evidenza come questo particolare tipo di figurazione religiosa, legata alla nascita di Gesù, in queste zone sia stata originata da differenti scuole, con caratteristiche proprie ben definite, inquadrate in scenari articolati e ricchi di simulacri.
Presepi più raffinati, quindi, di chiara ispirazione bizantina, che incominciarono a rappresentare contesti ambientali villerecci e rurali, con atteggiamenti dinamici di figure, intente alle proprie attività domestiche e lavorative, tutte proiettate e da contorno ad una caverna o ad una stalla, divino sito della Vergine Maria, di San Giuseppe e del Bambinello, affiancati dal tradizionale binomio del bue e dall’asinello. Questo modello di composizione, più accurato ed elaborato, che andava quindi al di là di una disadorna immagine della Natività, fu quello che gradatamente si impose, restando invariato nel tempo. Anche perché, un paesaggio particolarmente frastagliato e misto, consentiva l’impianto di raffigurazioni complesse in uno spazio molto ristretto, offrendo l’opportunità di impreziosire il tutto, con una qualunque scena secondaria, senza che il concetto d’insieme ne venisse a soffrire. Col passare del tempo, sino alla fine del 1600, la sacra raffigurazione, così come descritta, non subì mutamenti sostanziali, conservando l’allestimento e la struttura precedenti, anche se con variazioni legate al mutare del gusto e del senso artistico. Il 1700, culla in Europa del diffondersi e dell’affermarsi del pensiero illuminista, volto a modernizzare la società in ogni suo aspetto, segnò, per il presepe, l’inizio di una felice fase ascendente ed innovativa. Oltre ad una maggiore attrazione tra le classi popolari, crebbe la richiesta, in tutto il continente europeo, di significative realizzazioni da collocare nei principali luoghi di culto cristiano. Divenne così possibile contemplare composizioni di gran lunga più complesse, composte sia da ampie rappresentazioni sceniche che da figure ad alto livello artistico, le quali, sicuramente, più che incutere solo sensazioni di commozione religiosa, suscitavano ammirazione per la pregevole elegante fattura. Il Portogallo e la Spagna si contesero inizialmente il primato di enormi strutture, riccamente dotate e finemente lavorate. Ma fu nel nostro meridione, soprattutto a Napoli ed in Sicilia, che il presepe conobbe la sua stagione più felice. In queste aree, già sul finire del ‘600, si era iniziato ad abbandonare il legno. Al suo posto, soprattutto per teste, animali, esseri umani di piccole dimensioni, cesti di frutta ed altri arredi domestici, aveva felicemente iniziato ad imporsi la lavorazione della terracotta. Tra i primi maestri che si cimentarono in questa nuova tecnica, va ricordato lo scultore e pittore napoletano Lorenzo Vaccaro (1655-1706), allievo di Cosimo Fanzago.
Nel 1734, Carlo di Borbone (1716-1788), designato dalla diplomazia europea ad occupare quel trono, fece solennemente ingresso a Napoli, consegnando nuovamente ai propri sudditi, dopo secoli di avvilente dominio vicereale, una nuova dignità di autonomia politica. Il sovrano, uomo profondamente religioso e pio, già noto per il suo amore verso le arti, in special modo per quelle a carattere artigianale, mostrò da subito una grande attenzione ed una particolare predilezione per le realizzazioni presepiali. La simpatia, la premura e la disponibilità del re, che venivano a fondersi con la naturale predisposizione, già da tempo esistente ed operante nel popolo, favorirono il proliferare di un gran numero di botteghe, ricche di maestranze specializzate. Veri e propri laboratori, ove artigiani, ceramisti ed intagliatori si dedicavano freneticamente alla realizzazione di oggetti in miniatura, che potessero servire alla composizione, nel presepe, di uno scenario di vita cittadina e campestre. Ad essi si unirono coloro che si occupavano dell’aspetto sartoriale, tra i quali anche la regina Maria Amalia di Sassonia (1724-1760), cucendo abiti ed accessori, finemente decorati con trine e ricami, per vestire figure umane o angeliche, non ambientate, come poteva sembrare logico, nell’antica Palestina, bensì nell’allora attuale realtà quotidiana. Quando quegli elaborati cominciarono ad assumere sempre più sembianze di vere e proprie opere d’arte, alla specialità vennero gradatamente ad accostarsi moltissimi artisti campani di grande fama. Essi, oltre a modellare mirabilmente le terrecotte, seppero impreziosirle, vivacizzarle ed animarle con eleganti coperture di smalto, conferendo loro, oltre al vigore ed alla vitalità, anche una particolare brillantezza, rimasta indelebile nel tempo. Nacquero così capolavori di alta scuola, realizzati con certosina pazienza e con una tale aderenza al vero, da suscitare, ovunque, stupore, sbalordimento ed ammirazione. Tra i maestri più famosi dell’epoca, è interessante citare Giuseppe Sanmartino (autore del Cristo Velato) e gli allievi della scuola di Salvatore Di Franco. Sono da annoverare alcuni figurinisti, come Lorenzo Mosca e Giuseppe De Luca, specializzati nella minuziosa e particolareggiata riproduzione di miniature raffiguranti animali da cortile. Il presepe, così come si impose nel corso del 1700, non prevedeva, solamente raffinati modellini di terracotta, ma anche un’ambientazione architettonica di variegati spazi aperti arredati, agglomerati di case, spaccati di interni, dipinti di sfondi e di scenari. Tranne un esemplare autentico di fattura settecentesca, donato nel 1800 al Museo di San Martino di Napoli e lì custodito, dall’Avvocato Michele Cuciniello, di tutta quella che doveva essere un’impressionante mole di produzione, nulla è sopravvissuto, se non, appunto, i pastori. Esistono solo testimonianze scritte, racconti isolati o inseriti in descrizioni di storie ambientate in periodi natalizi. Finito il Natale, le strutture dei presepi venivano generalmente distrutte, per crearne di nuove negli anni seguenti. Con la fine del XVIII Secolo, anche la felice stagione artistico-presepiale napoletana ed insulare, si avviò al tramonto.
L’Ottocento, malgrado alcuni spazzi di rifioritura, non generò un identico entusiasmo tra gli artisti, così come non riuscì ad uguagliare i tanti capolavori che erano stati creati in precedenza. Uno dei momenti più vivi di rinascita fu senz’altro quello legato alla sontuosità dello sfarzoso “Décennie”, dal 1806 al 1815, allorquando quell’arte così particolare venne favorita e sorretta dalla stessa Corte francese regnante a Napoli, quella di Gioacchino Murat. Finito quel “Decennio”, non tornarono straordinari momenti di fulgore. Composizioni di particolare estro e maestosità vennero realizzate, come ovunque in Europa, solamente nelle chiese più importanti delle capitali, pur rimanendo viva la tradizione nell’ambito domestico che, peraltro, non si affievolì mai. L’usanza di realizzare presepi, grandi, piccoli o solo simbolici, si è continuata a diffondere presso quasi tutti i popoli della cristianità nel mondo. Nella notte di Natale infatti, non vi è chiesa che non ne esponga uno, così come non vi è casa che, per la gioia dei componenti, non abbia la propria greppia, la mangiatoia contornata dalle classiche eterne simboliche sacre figure, pronta ad accogliere il nascente Bambinello.
I presepi dei tempi moderni, pur non eguagliando la magnificenza dei passati capolavori, sono altrettanto finemente realizzati, ben rifiniti, sempre pronti a trasmettere quei piacere visivi e quei personalissimi intimi messaggi ai quali, malgrado il trascorrere del tempo, nessuno riesce a rinunciare.