Non solo in Italia


Noi italiani commemoriamo il 25 aprile 1945, come il significativo momento della liberazione dall’odiosa oppressione nazifascista. E’ diventata la festa della Nazione, perché quel giorno il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia diffuse, tramite “Radio Londra” ed altre emittenti clandestine, il messaggio cifrato con cui dava l’ordine di insurrezione generalizzata, per l’una della notte tra il 25 e il 26 aprile. Anche se i soldati della Wehrmacht non uscirono, tutti e subito, dai confini della nostra Patria, quella giornata venne vista da subito come il simbolo della rinascita, poiché coincise con l’inizio della ritirata dei crucchi e delle residue Milizie di Salò da Milano, dopo che la popolazione si era ribellata ed i partigiani avevano organizzato un piano coordinato per riprendere in mano la città, annientate le residue, nonché limitatissime, resistenze nemiche e catturato Benito Mussolini, in fuga verso Como. Gli alleati giunsero ufficialmente nel capoluogo lombardo il 1° maggio.
La decisione di indicare quella data come “Festa della Liberazione” fu presa il 22 aprile del 1946, quando il “Governo Italiano Provvisorio”, retto da Alcide De Gasperi, stabilì con un decreto “che il 25 aprile doveva essere inequivocabilmente considerato Festa Nazionale”. La ricorrenza fu poi definitivamente sancita con la legge n.269 del maggio 1949 e fu “Festa Nazionale” perché festa della sconfitta del fascismo.
Ieri, nonostante tutto, ognuno a modo proprio l’ha festeggiata sui balconi magari cantando, leggendo giornali, seguendo Tv e media o solamente riflettendo, nella rassegnazione di un momento così delicato e particolare, che porta più a sperare nel futuro che a guardare nel passato.
Proprio perché vi è ora una maggiore disponibilità di tempo per meditare ed imparare, potrebbe essere interessante sapere che il XX Secolo, il “secolo breve” (come lo storico britannico Eric Hobsbawn, scomparso a 95 anni nel 2012, considerato uno dei massimi storici contemporanei, definì in contrapposizione a quello precedente, il “secolo lungo”), ci ha donato altri due “25 aprile”, degni di essere conosciuti.
Durante la Prima Guerra Mondiale, nel 1915, una Divisione del Corpo d’Armata Australiano e Neozelandese (ANZAC, acronimo di Australian and New Zealand Corps), che faceva parte delle Forze di Spedizione britanniche nel Mediterraneo (Mediterranean Expeditionary Force), costituitasi pochi mesi prima in Egitto, sbarcò il 25 aprile sul versante egeo della penisola di Gallipoli, nella parte europea della Turchia. Con l’intento di assumere il controllo dei Dardanelli, una volta assicurata una testa di ponte, avrebbe dovuto infliggere all’impero ottomano una tale rovinosa disfatta da indurlo a sciogliere la propria alleanza con l’Austria-Ungheria e con la Germania. Soprattutto perché i precedenti tentativi di forzamento dello stretto, che collega il mar Egeo con il mar Nero, da parte del contingente anglo-francese, iniziati in febbraio, non avevano portato ad alcun risultato positivo. La speranza di una vittoria, riversata sulla freschezza e sulla baldanza del gagliardo contingente, nonostante il susseguirsi di ripetuti e massicci sforzi di opposizione, venne irrimediabilmente cancellata da una sconfitta sanguinosa e da una drammatica ritirata, lasciando sul terreno oltre 53.000 vittime (30.000 australiane e 23.000 neozelandesi). Le perdite turche furono stimate in circa 250.000 uomini, tra morti e feriti.
Quei giovani si guadagnarono comunque, agli occhi del mondo, la reputazione di valorosi combattenti. Impiegata successivamente in Francia ed in Medio Oriente, quando nel 1917 le due compagini vennero separate, l’ANZAC cessò di esistere.
Nel 1981, il regista australiano Peter Weir diresse il film “Gli anni spezzati”, che narrò il tragico episodio della Battaglia di Gallipoli. La storia fu incentrata sul valore della vita e la leggerezza con cui venne bruciata dalla crudeltà della guerra.
Ogni anno, da allora, quella ricorrenza è diventata, anche in Australia ed in Nuova Zelanda, una giornata di festa nazionale, con il nome di “ANZAC DAY”, per rievocare ed onorare il grande contributo dei propri soldati alla crescita di un vigoroso e determinato patriottismo. L’entusiastica partecipazione di quei ragazzi, giunti da così lontano, ai drammatici fatti d’arme della Grande Guerra, ebbe un’importanza fondamentale nel processo di affrancamento di quelle terre, dal passato di marginali colonie. In Australia, si giunse, tuttavia, ad un bassissimo punto di consonanza della festa con la nazione, quando i propri figli furono inviati in Vietnam, per combattere a fianco degli americani. E’ continuo il pellegrinaggio di generazioni di Aussies e Kiwis (nomignoli etnici per definire la due popolazioni) sulla costa e sulle spiagge di Gallipoli, spinte dal desiderio di calpestare quei luoghi, in memoria dei loro padri e nonni.
Lisbona 1974. A mezzanotte e dieci del 25 aprile, l’emittente portoghese “Radio Renascença” mandò in onda una canzone che, pur essendo in libera vendita, non veniva né trasmessa né eseguita in pubblico, perché severamente repressa durante il regime di Antonio de Oliveira Salazar, al potere dal 1932 al 1968 e, più larvatamente, anche dopo. Qualche censore, conservatore ed insonne, pensò che la mattina successiva sarebbe avvenuto il finimondo e sarebbero cadute parecchie teste, ma non andò così. “Grândola vila morena” (Grândola città dei Mori), composta e cantata dal musicista antifascista José Antonio, fu il segnale di inizio, dato quella notte dal Movimento delle Forze Armate, di un Colpo di Stato militare che rimarrà nei cuori lusitani come la “Rivoluzione dei Garofani”, la rivolta politica più veloce ed incruenta della storia, con “solo” cinque morti, uccisi dalla polizia del regime in due conflitti a fuoco, e durata in tutto meno di ventiquattro ore.
L’esercito portoghese, impegnato dal 1961 in un’inutile lotta contro le milizie irregolari indipendentiste africane nelle colonie dell’Angola, del Mozambico e della Guinea-Bissau, covava da tempo sentimenti di tangibile insofferenza per il continuo stillicidio di caduti, tra i soldati (8.289 morti e 15.507 feriti), senza intravvederne, peraltro, alcuna logica motivazione. Inoltre, quello stato di cose stava conducendo il Paese ad un’irreversibile crisi economica, dal momento che il mantenimento di un esercito di 150.000 uomini, di cui 87.000 dislocati in territorio coloniale, assorbiva più del 40% del reddito nazionale annuo. Senza contare che le sanguinose rappresaglie contro la popolazione civile di colore avevano portato il Portogallo ad un pesantissimo isolamento internazionale, appoggiato solo dai governi razzisti di Sudafrica e Rhodesia. Nacque così, in seno all’Esercito, un movimento di opposizione, detto “dei Capitani”, composto da giovani ufficiali dell’ala progressista, che volevano ad ogni costo ripristinare un’illusa e sospirata democrazia, dopo anni di transizione tormentati da aspre lotte politiche.
Subito dopo essere stato informato dello spostamento di soldati e di colonne blindate motorizzate, intenzionate a circondare le sedi istituzionali nella zona di Terreiro do Paço di Lisbona, il Governo di Marcelo Caetano, successore di Salazar dal 1968, si disciolse nell’arco di poche ore. Alla popolazione era stato rivolto l’appello di rimanere nelle proprie case, ma la gente scese ugualmente per strada.
Cosa che fece anche Celeste Martins Caerio, di 41 anni, la quale, nei presi di Praça do Comêrcio, si rivolse ad un sottufficiale chiedendogli cosa stesse davvero succedendo. “Stiamo andando a Carmo, a prendere Marcelo Caetano”, fu la sua secca risposta. La donna, ignorando ancora che il gesto del tutto spontaneo che stava per compiere avrebbe assunto un enorme significato simbolico e politico, gli donò un mazzo di garofani che aveva a sua volta ricevuto in regalo. Il resto accadde in fretta. I garofani si moltiplicarono velocemente, nei taschini delle uniformi mimetiche, sui berretti delle uniformi e perfino nelle canne dei fucili.
Così quella, divenne la strana rivoluzione “dei garofani” (Revolução dos Cravos). Il 25 aprile, anche in Portogallo, è festa nazionale e Celeste, suo malgrado, la famosa “Celeste dos Cravos”.
Maria de Medeiros, nel 2000, col film “I Capitani d’aprile”, il suo primo lungometraggio in veste di regista, volle rendere omaggio a quei giovani in armi che salvarono la Patria da troppo tempo oppressa. Aveva solo 9 anni all’epoca dei fatti.
A distanza di poco tempo dal triste evento militare in Cile, la Rivoluzione dei Garofani si distinse per il carattere avventuriero, pacifico e lirico del suo svolgimento.