Siria: una terra tra incudine e martello


Per gli USA Assad detiene armi chimiche che ha utilizzato recentemente su inermi civili. Per tale (allo stato presunto) motivo Trump, senza neppure sottoporre l’ipotesi di una rappresaglia militare al Congresso, ha ordinato una azione di rappresaglia a mezzo di un massiccio bombardamento di obiettivi strategici con una pioggia di ben 120 missili cruise Tomahawk lanciati da bombardieri B1.
Tutto nasce da relativamente lontano, nel marzo 2011, quando la popolazione manifestò contro il regime del presidente Bashar al-Assad che successe al padre, Presidente della Siria sin dagli anni 2000 (ma la famiglia Al-Assad, complessivamente, governa a Damasco dal 1971). Il regime cercò di reprimere con la forza le manifestazioni, causando centinaia di morti, ma le proteste si diffusero.
Dopo le repressioni una parte dei manifestanti è passata alla lotta armata e alcuni soldati siriani hanno disertato per unirsi alle proteste. Negli ultimi mesi del 2011 alcuni ufficiali disertori hanno proclamato la nascita dell’Esercito Siriano Libero (cioè l’FSA, Free Sirian Army). Da allora si è passati ad una vera e proprio guerra civile e data l’importanza strategica dell’area, un vero e proprio snodo nello scacchiere internazionale, si sono inserite quali paladini delle fazioni belligeranti la Russia e gli USA.
In tutto questo, con anche l’ISIS ha avuto la sua perte in quanto con la sua presenza nell’area ha consentito agli Stati Uniti di auto legittimarsi quali leader di una coalizione che, a partire dal settembre 2014, ha iniziato a bombardare i territori della Siria occupati dall’ISIS che nel frattempo aveva concentrato le sue azioni al confine con la Turchia.
La stessa Turchia, in effetti, é stata più volte accusata di sponsorizzare il terrorismo e non sembra una caso fortuito che le forze dell’ISIS si siano localizzate proprio a ridosso del confini con tale nazione.
Nel 2016 tale situazione di guerra é culminata con la battaglia di Aleppo, città situata a nord-ovest del Paese e capitale economica della Siria (Damasco è la capitale amministrativa), che é risultata divisa in due: la parte orientale sotto il controllo delle forze ribelli e la parte occidentale controllata dal regime.
Ad inizio aprile di quest’anno la popolazione civile sarebbe, il condizionale é d’obbligo, stata oggetto di attacchi chimici e gli americani hanno incolpato il regime di Assad di tali (presunte) atrocità al punto da far scattare la rappresaglia missilistica delle scorse ore.
Appoggio incondizionato (anche militare) da Francia e Inghilterra, alleati di sempre degli Stati Uniti ma ferma condanna da parte di Russia, Cina e Bolivia e a nulla sono valse le proteste russe in ambito ONU che nella serata di sabato ha bocciato una proposta di risoluzione di condanna agli USA proposta dalla Russia.
Insomma una situazione internazionale da guerra fredda, anche perché la Russia stessa, insoddisfatta dal non accoglimento in sede ONU della proposta condanna, ha promesso che ci saranno pesanti conseguenze.
Altre Nazioni, tra cui l’Italia, preferiscono non allinearsi né con gli USA né con la Russia e chiedono che non vi sia una escalation sul piano militare invocando una mediazione diplomatica.
Su questo aspetto, tuttavia, il premier inglese Teresa May ha già telefonato a Gentiloni tranquillizzandolo e l’azione fortemente voluta da Trump sembrerebbe effettivamente una sola dimostrazione che, a differenza di Obama, oggi alla Casa Bianca c’è un presidente capace di colpire e non solo minacciare.
Tuttavia, la situazione é ben altro che tranquilla e oltre al timore di una escalation militare USA-Russia, si teme il disastro umanitario per la popolazione civile della zona praticamente rimasta tra l’incudine e il martello.