Veri e cattivi maestri della sociologia.


Non è difficile capire, anzi è un dato di fatto, che viviamo in una “società”. Ritengo allora una naturale conseguenza che ognuno di noi per il semplice fatto di vivere, e di essere vissuto, insieme ad esseri umani, possa essersi fatto almeno qualche idea quanto nel linguaggio comune definiamo “società”. Non è dunque un paradosso considerare che ognuno sia un po’ “sociologo” senza sapere di esserlo.

Da qui possiamo facilmente avventurarci nello spazio ampio, quanto variegato, del senso comune riflesso sui termini della vita sociale. Un sapere che presenta inequivocabili vantaggi ma anche dei limiti. Gli aspetti del problema sono intuibili. Noi ci rifacciamo prevalentemente alla nostra esperienza diretta che, per quanto possa essere vasta, è comunque parziale ed ancora peggio soggettiva.

Inoltre, al di là del nostro vissuto, non ci resta che l’affidamento su quanto ci comunicano in varia forma gli altri, ossia l’esperienza altrui nella migliore delle ipotesi. Può quindi sorgere il dubbio sulla buona fede degli interlocutori, sulla possibilità da parte loro di affermazioni mendaci o millantatorie, e così via. Dunque, quale che sia, prima di essere trasferita a noi, la conoscenza mutuata dall’esperienza altrui è stata probabilmente soggetta a deformazioni che non siamo in grado di controllare. È esemplare il caso delle voci amplificate e distorte dal passaggio di orecchio in orecchio.

Tutto ciò premesso, non potrei restare oltremodo perplesso, se dovessi trovarmi dinnanzi all’incipit di un articolo nel quale l’autore dichiarasse ai lettori che stanno leggendo le parole di un sociologo vero, per poi lanciarsi nell’elencazione di tutta una serie di proprie referenze. E questo già per il fatto che qualcuno si autoproclamasse “vero”. Si noti la posizione dell’aggettivo, presumibilmente non casuale e sintomatica, nella misura in cui, in genere l’aggettivo che precede il nome ha una funzione descrittiva, mentre quello che segue il nome ha una funzione restrittiva.

In tal senso, parrebbe trasparire un giudizio che ad essere “falsi” siano altri. Un giudizio espresso in modo tale da evocare l’immagine di un moderno Narciso che si specchia, si conta le rughe (i segni di un tempo passato e come tale perduto), cerca nel suo medesimo sguardo la risposta alla domanda eterna (e irrisposta…differentemente non potrebbe essere: il tipo vede solo sé stesso…) “Chi sono io?” E, attorno a questa domanda auto-riferita, si inaridisce fino a consumarsi. Riguardo, poi, i contenuti esposti in questo ipotetico articolo: a mio avviso un simile approccio, comunque, li depotenzierebbe e non li suffragherebbe, nonostante ogni enfasi adoperata.

Orbene, quantunque possa avere buoni e cattivi maestri, “vero” è che la sociologia, come scienza sociale, dispone di qualche strumento in più per superare i limiti di quella sociologia ingenua derivante dal senso comune. Occorre rendersi conto che, se esiste un sapere sociologico diffuso che ci comporta soltanto le conoscenze minime necessarie ad affrontare al meglio i problemi quotidiani, la sociologia, come scienza sociale, formula quesiti sulla base di una riflessione teorica sedimentata e cerca risposte a questi quesiti sulla scorta di informazioni raccolte sistematicamente.

E, qui, occorre una ulteriore critica al modo di palesarsi di figure quali quella dell’autoaffermato sociologo “vero”. Figure spesso inclini ad arrogarsi il possesso esclusivo di qualche “verità”. La “vera” sociologia può aiutarci a capire meglio il mondo in cui viviamo, ma non ci può dare certezze assolute. Chi ha bisogno di certezze, dovrà rivolgersi a qualche fede religiosa, a qualche convinzione ideologica o al sociologo “vero”…

Ma non si tratterà mai di “vera” sociologia (preferisco l’aggettivo in posizione descrittiva, per evitare ogni sorta ingiustificata di presuntuosità…) , la quale (come tutte le scienze) può dare solo “ragionevoli certezze”, certamente più affidabili di quelle del senso comune, tuttavia provvisorie ed esposte a critica e revisione. Di conseguenza, conviene restare guardinghi rispetto alla sociologia “vera” del sociologo “vero”, in tutte le salse e tutti i nomi di fantasia con cui ci verrà da lui propinata, nella sua quasi assoluta convinzione di avere a che fare con un popolo con l’anello al naso e per forza plaudente.