Ucraina: fine della globalizzazione?


Ucraina e Russia a muso duro e le conseguenze sul mondo.
La guerra in Ucraina mette in luce il solco che si è aperto tra “Occidente” e “Resto del Mondo”.
Sono forse le prime crepe di una fine annunciata della globalizzazione.

Diverse grandi potenze hanno scelto di mettere Russia e Ucraina muso contro muso. Lo testimonia la verve propagandistica in occasione delle celebrazioni dell’8 e 9 maggio a Kiev e Mosca: la guerra in Ucraina sta sprofondando in una fase di inasprimento, sinonimo di conflitto prolungato, con certezza di ulteriori morti e devastazioni.

Da come le parti definiscono essenziali le proprie opposte ragioni, il conflitto difficilmente potrà presentare spunti di negoziazione e di compromesso. Ciò è tanto più vero in quanto l’irrigidimento non riguarda solo i due protagonisti, ma si estende anche agli attori periferici.

E’ una guerra che si svolge economicamente e finanziariamente, ma non solo. Mentre le città ucraine sono bombardate, in tutta Europa il prezzo delle materie prime, dei carburanti e dell’elettricità sale alle stelle. La Russia inizia a soffrire la durezza delle sanzioni economiche con cui hanno risposto UE, USA e Regno Unito.

La guerra scatenata nell’Est Europa, di fatto la più grande crisi geopolitica dal secondo dopoguerra, sta raggiungendo una dimensione tale da segnare una profonda svolta. Non solo causerà una minore crescita economica e una maggiore inflazione, ma lascerà ulteriori cambiamenti drastici a medio e lungo termine. Ad esempio, l’invasione dell’Ucraina ha interrotto molti dei legami accademici e scientifici che la Russia aveva consolidato con l’Occidente negli ultimi tre decenni. L’impatto sarà di vasta portata, non solo a breve termine, e potrebbe estendersi ben oltre la Russia e le repubbliche di lingua russa dell’ex Unione Sovietica. Ciò completerà la ritirata globale dalla globalizzazione indotta dalla Brexit, proseguita dall’amministrazione Trump e, infine, accelerata dalla pandemia.

Gli Stati Uniti e l’estrema lotta per mantenere la leadership globale.

Certo per mantenere la propria supremazia mondiale, gli Stati Uniti hanno scelto di impegnarsi pienamente in una guerra per procura, aggiungendo l’obiettivo di una Russia “indebolita” all’obiettivo iniziale di sostenere l’integrità territoriale dell’Ucraina. Lo dimostra un’entità degli aiuti di Washington all’Ucraina che addirittura fa temere all’industria militare americana un surriscaldamento della produzione e carenze di scorte. Dall’inizio del conflitto, secondo fonti del Pentagono risalenti all’11 maggio, gli Stati Uniti hanno infatti fornito all’Ucraina più di 5.500 missili Javelin, armi portatili capaci di perforare le lamiere, devastando i carri armati russi. Per questo sono state impegnate più di un terzo delle scorte americane; allo stesso modo, sono stati inviati a Kiev più di 1.400 missili antiaerei Stinger, un quarto delle riserve del paese.

E dietro c’è un fiume in piena di denaro. Lo stesso Joe Biden probabilmente non si aspettava tanto. Lo scorso 10 maggio, la Camera dei rappresentanti USA ha votato per concedere aiuti all’Ucraina per oltre 40 miliardi di dollari (38 miliardi di euro). Una cifra superiore a quella sperata dal presidente americano, che aveva richiesto “soltanto” 33 miliardi. Se nel corso di una votazione di fine settimana, questo provvedimento verrà pure ratificato dal Senato – come è scontato visto il consenso tra Democratici e Repubblicani sull’argomento -, gli Stati Uniti avranno complessivamente erogato ad oggi oltre 50 miliardi di dollari di aiuti bellici, di cui 13,6 miliardi già svincolati dall’inizio dell’anno.

Questa nuova destinazione di fondi è anche a fini civili o umanitari, ma sono previsti circa 6 miliardi di dollari di forniture di veicoli corazzati e difese antiaeree. Una cifra colossale – l’equivalente del bilancio annuale della difesa ucraina – che corrisponde alle esigenze di un conflitto ad alta intensità: secondo una fonti francesi, gli ucraini stanno attualmente “divorando” in un solo giorno di guerra l’equivalente di dieci giorni di consegne occidentale di armi.

Resta quindi da vedere se gli Stati Uniti saranno in grado di consegnare all’Ucraina tutte le armi che promettono. Le scorte militari statunitensi non sono espandibili e sono soggette, come quelle delle loro controparti europee, a crisi negli approvvigionamenti di parti costituenti, tanto per gli armamenti semplici, in particolare le munizioni, quanto per quelle ancor più problematiche di sistemi più complessi, quali droni o missili guidati.

Alle porte del conflitto, Un’Europa in cerca di un’identità.

La posta in gioco è dunque alta. Mentre in Ucraina si combatte una guerra che ogni giorno sconvolge sempre più il mondo intero, nel Vecchio Continente a loro modo, più contorti a causa delle loro esitazioni o divisioni, gli europei hanno fatto scelte simili.

Ad esempio, fortissimo è l’attivismo del premier britannico, ma forse per mascherare all’opinione pubblica le magagne della Brexit e certi misfatti che lo coinvolgono. Come ultimo atto, mentre la Svezia e la Finlandia attendono di formalizzare le loro domande di adesione alla NATO nei prossimi giorni, Boris Johnson si è recato viaggio ad Harpsund – la residenza estiva del primo ministro svedese Magdalena Andersson, situata a ovest di Stoccolma – e ad Helsinki, mercoledì, 11 maggio, per firmare un accordo di difesa e protezione reciproca con i due paesi nordici. Un’iniziativa vista come un’assicurazione da Svezia e Finlandia, preoccupate per le reazioni della Russia, e che permette a Boris Johnson di ricordare che il suo Paese ha un ruolo di primo piano nella difesa europea.

Sempre nei giorni passati, il nostro presidente del Consiglio, Mario Draghi, è stato a Washington per un incontro con il Presidente degli Stati Uniti d’America, Joe Biden alla Casa Bianca. Si è parlato di come intraprendere il percorso di pace ma anche di energia, armi, rapporti Europa-Usa, quadro economico. E’ stata confermata una storica alleanza, con soltanto qualche timido accenno a diversi interessi geopolitici. A parte le note telefonate del presidente francese Macron a Putin, anche altri membri di quel club occidentale, che è il G7, sono in movimento, tanto il Giappone come il Canada, il cui Primo Ministro, Justin Trudeau, a sua volta ha fatto visita a Kiev, accampandosi su una stessa linea, salvo marginali differenze.

I molteplici disegni contrapposti del “Resto del Mondo”.

Intanto gli uomini del presidente Biden stanno facendo pressing all over the world, cercando di fare campagna acquisti fra i Paesi che hanno fatto la scelta del non allineamento. Tra questi, l’ex presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva, che spera in una forte rimonta in ottobre alle prossime elezioni presidenziali. E’ stato l’ultimo personaggio a bollare di pari responsabilità tanto l’aggressore e l’aggredito, il boia e la vittima, durante un’intervista alla rivista Time.

Nondimeno, altri capi di colossi globali hanno fatto lo stesso. Cyril Ramaphosa, in Sud Africa, ha rimarcato a marzo una presunta responsabilità della Nato. Anche l’indiano Narendra Modi conserva una posizione di equidistanza, come il messicano Andres Manuel Lopez Obrador. In Indonesia, quarto Paese al mondo per popolazione e futuro ospite del G20, il presidente Joko Widodo ha annunciato il 29 aprile di aver invitato ad un incontro sia il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, proprio come il suo omologo russo Vladimir Putin.

E che combina la Cina? Di sicuro mercanteggia con la Russia. Ma ancora, come da notizie del 9 maggio, invia da mesi potenti missili anti-aereo FK-3 alla Serbia: preoccupati per una simile minaccia la stabilità sul Vecchio Continente, la Nato e l’UE chiedono spiegazioni.

Alla fine, si riscontra che né il rispetto per la sovranità di un Paese, né i ripetuti bombardamenti di aree residenziali, né le scoperte di atrocità qualificabili come crimini di guerra stanno facendo piegare un nutrito stuolo di riluttanti. Al contrario, essi riaffermano la loro posizione quando i loro Paesi sono già colpiti dalle scosse di assestamento, in campo energetico o alimentare, del terremoto innescato dall’aggressione russa.

Ognuno corre per sé, con conseguenze facilmente comprensibili. Troppi i segni che lo contemporaneamente testimoniano, inutile rincorrerli ad uno ad uno. C’è stato un periodo nella storia in cui pensavamo che il mondo potesse diventare un’unica comunità? Quando le idee dei tempi moderni sono diventate popolari, in Occidente si è pensato che il concetto di globalizzazione fosse ovunque esportabile. Tuttavia, questa convinzione si è dimostrata totalmente sbagliata.