PsicologicaMente – La Leggerezza dell’Essere


“Non giudicare gli uomini dalla loro pura apparenza; perché la risata leggera che spumeggia sulle labbra spesso ammanta le profondità della tristezza, e lo sguardo serio può essere il sobrio velo che copre una pace divina e la gioia.” (H. F. Chapin)

Cari lettori,
Questa settimana approfondiremo un tema che investe in ogni momento prepotentemente e quotidianamente le nostre vite, oggi molto più di ieri, ma che spesso passa inosservato e non riceve la giusta attenzione.
Si tratta di un argomento poco trattato anche nel campo della psicologia, sto parlando dell’autenticità.
Nell’epoca dei social e della comunicazione virtuale essere autentici, mostrarsi ed accettarsi per come davvero si è, diventa un’impresa sempre più ardua, ci pieghiamo alla necessità di perdere gradualmente la nostra più intima e vera essenza e, viceversa, ci preoccupiamo di predisporre diverse maschere da indossare per affrontare la società ed il mondo in cui siamo immersi.
Accade così che, meglio ci adattiamo e ci insediamo nei diversi contesti sociali, più ci allontaniamo e perdiamo di vista la nostra identità, diventando sempre meno autentici e reali, nonché vittime di una vera e propria contraddizione.
Abbandonando ed allontanando la nostra essenza, mascherandola volontariamente e continuamente, ci disconnettiamo poco per volta dal nostro “io”, smettiamo di sentire e soddisfare le nostre reali esigenze e facciamo nostri obiettivi che probabilmente appartengono ad altri, suggestionandoci a tal punto da credere che realizzare i sogni altrui possa soddisfare anche i nostri desideri.
Tutto questo, in effetti, accade perché viviamo in un mondo di necessità inventate e globalizzate, una realtà in cui tutti hanno bisogno di uniformarsi, pensano allo stesso modo, si pongono gli stessi obiettivi, percepiscono le stesse necessità, ma nessuno si ferma mai a riflettere su cosa davvero desidera, cosa li renderebbe realmente felici o di cosa hanno effettivamente bisogno.
Alla luce di un simile modo di ragionare, non stupisce che una volta raggiunti gli “obiettivi” prefissati, ci si senta vuoti e insoddisfatti, non realizzati e piuttosto tristi.
Si cade nella depressione e nell’angoscia, fino a credere che la felicità sia una chimera o comunque un premio appannaggio di pochi, che la cattiva sorte ci perseguita o, ancor peggio, che non siamo capaci di raggiungere gli standard desiderati.
Una simile conclusione è in realtà del tutto sbagliata, non siamo né incapaci né sfortunati, e questo rappresenta una buona notizia, ma c’è anche la cattiva notizia e cioè che la felicità si costruisce mostrandoci al mondo per come siamo, limpidamente, lavorando duramente, giorno dopo giorno ma forti della nostra vera natura.
Un problema che potrebbe porsi riguarda il riuscire a riconoscere la nostra vera identità, distinguerla dalla maschera dietro cui ci celiamo.
Ebbene, la chiave per riconoscerci ed uscire dal circolo vizioso del “vero o falso” è quella di scoprire la nostra essenza ed autenticità guardando dentro di noi, attraverso l’introspezione ed il distacco.
Il primo passo è liberare, lasciar andare ciò che siamo, solo così avremo la possibilità di diventare ciò che potremmo realmente essere. E’ necessario svincolarsi dagli stereotipi, dalle credenze e dai preconcetti assunti nel corso degli anni su ciò che ci circonda e su noi stessi. Dobbiamo andare alla ricerca del nostro vero potenziale e solo quando quella voce interiore smette di dirci che ottenere quanto desideriamo non è possibile o che non siamo all’altezza di realizzarlo, allora potremo osare e fare ciò che veramente ci rende felici. Rompere le catene dei condizionamenti ci rende capaci di scoprire fin dove siamo in grado di arrivare, questo farà sì che potremo lasciarci alle spalle quei ruoli e quelle maschere che mortificavano la nostra essenza e, solo allora, diventeremo persone più integre e serene.
Ancora, un ulteriore step sarà quello di lasciar andare ciò che si possiede, così da renderci ricettivi di quanto abbiamo davvero bisogno. Viviamo in una società che ci induce a spendere soldi che non abbiamo per acquistare cose di cui non abbiamo bisogno, tutto per impressionare persone delle quali forse non ci importa nemmeno così tanto. Insomma, siamo coinvolti in una febbrile corsa al materialismo ed è lì che perdiamo la nostra essenza. Proviamo, dunque, a lasciar andare quanto ci necessita al sol fine di trasmettere un immagine di successo, assisteremo al miracolo di riacquistare finalmente la libertà perduta ed al contempo anche una pace psichica.
Dobbiamo, poi, renderci disponibili verso gli altri. Diversi studi psicologici confermano che impegnarsi nell’aiutare gli altri ci aiuta a crescere come persone e ci consente di giovare in primis a noi stessi. E’ stato studiato che prestare aiuto attraverso il volontariato, riduce notevolmente il rischio di sviluppare la depressione e aumenta la sensazione di benessere, la connessione diretta con gli altri è molto utile perché attiva la produzione di ossitocina, un ormone che aiuta a combattere lo stress. Inoltre, impegnarsi nel sociale ci fa sentire meglio, ci offre una visione ed una comprensione più ampia della vita: quanto più ci offriamo agli altri, tanto più conosceremo in profondità noi stessi.
Ancora, un passaggio importante è non fuggire la sofferenza. Certo, è normale fare di tutto per scongiurare ed evitare il dolore, tuttavia ci siamo preoccupati così tanto di vestire le difficoltà della vita di negatività che abbiamo perso la capacità di apprezzare quei lati positivi che in ogni caso la sofferenza offre. Guardiamo alla natura: non tutti sanno che una perla è pur sempre il risultato di una intrusione sofferta dalle ostriche, le quali hanno reagito coprendo il corpo estraneo con vari strati di una sostanza protettiva. Allo stesso modo dobbiamo comportarci noi: i problemi, i conflitti e gli errori, possono diventare incomparabili maestri di vita, insegnamenti unici e da cogliere al volo per fortificarci e raggiungere un maggior grado di saggezza. Per riuscire in questa impresa dobbiamo solo renderci consapevoli. Certo questo non ci renderà immuni dal dolore, ma sapremo che potremo utilizzarlo a nostro favore per migliorare ed evolverci. Pensiamo ad un attacco cardiaco, un simile evento può gettare la persona in una profonda depressione ma può essere anche quello stimolo che la spinge ad adottare abitudini più sane. Non abbiamo potere sugli eventi, ma ricordiamoci che possiamo sempre decidere come reagire difronte ad essi.
Un ultimo suggerimento è di non desiderare, nell’accezione negativa della parola, nulla. Se ciò accade, tutto verrà a noi. L’affanno per raggiungere determinati obiettivi serve solo a creare tensione e disperdere inutilmente energie. Questo status ci farà commettere errori, ci farà diventare irritabili e finirà per danneggiarci nella salute e nelle relazioni. Viceversa, pianificare un obiettivo senza viverlo con ansia, ci consente di godere a pieno del cammino da intraprendere, guadagneremo in ogni caso qualcosa di utile perché, anche se non dovessimo raggiungere la meta prevista, avremo comunque imparato tanto. Non si tratta di non avere obiettivi, ma di non lasciarsi abbagliare ed annientare da questi, si tratta di non perdere la rotta.

Notazioni Bibliografiche:
-“Verso una psicologia dell’essere”, A. H. Maslow, Astrolabio Ubaldini;
-“Il sé ritrovato”, A. Alberti, L’Uomo;
-“Il Controllo Cosciente e Costruttivo di Sè Stessi”, F. M. Alexander, Astrolabio.