La malattia dei carrarmati e la pelle dell’orso


Una invasione ogni 12 anni in media, sovietiche e post sovietiche, ma sempre russe. Ma guai a vendere la pelle dell’orso russo prima del tempo.

Ungheria, 1956.
Cecoslovacchia, 1968.
Afghanistan, 1980-89.
Georgia, 2008.
Ucraina, 2022.

Vediamo da dove viene questa malattia dell’invasione periodica.

Intanto, va detto che, storicamente, il problema della Russia era l’inverso: essere invasa e non invadere. Così coi mongoli dell’Orda d’oro, con gli svedesi, coi Polacchi-Lituani, con Napoleone, con gli occidentali nel primo dopoguerra e con Hitler.
Stalin, salito al potere alla morte di Lenin nel 1924, contraddisse la linea internazionalista del movimento comunista, che vedeva nelle regole economiche, e non nella dimensione di razza o di civiltà storica, l’elemento di promozione e miglioramento dell’umanità. Per Marx e Lenin, la proprietà dei mezzi di produzione era il tema centrale del conflitto interumano, e il destino era quello che ad appropriarsi di quegli strumenti fondamentali di benessere fosse la classa lavoratrice, i cosiddetti proletari (coloro che avevano la propria unica ricchezza nella prole), e che dunque il Comunismo sarebbe stato il destino del mondo intero. Per quanto riguarda poi i valori e la vita civile, dalle condizioni economiche sarebbero discese tutte le altre condizioni della vita dell’umanità. La struttura economica, i rapporti di produzione, mutati dalla lotta di classe, avrebbero generato così buone sovrastrutture culturali, civili, giuridiche, morali per la pacifica convivenza umana e il bene di tutti e di ciascuno.
Stalin affermò invece l’idea che il Socialismo avrebbe potuto esistere e prosperare anche in un solo Paese. Ed ecco che il modello internazionalista e antropologico marxista-leninista si ri-etnicizza e ri-culturalizza nello stalinismo, che poi prende una piega demagogico-dittatoriale. La dittatura del proletariato, istanza internazionalista, lascia il passo a una condizione di difesa delle conquiste popolari comuniste basata sull’arrocco istituzionale in un Paese soltanto, in uno Stato con le sue caratteristiche socio-culturali e istituzionali. La Russia, divenuta URSS, guida il mondo comunista uscito dalla vittoria nella seconda guerra mondiale, cui contribuì con un mare di sangue, dando poi ai Paesi neo-comunisti congiunti nel Patto di Varsavia copertura strategico-militare. In aggiunta, creò un circuito economico (il Comecon), basato sul respiro congiunto dei Paesi comunisti, guidato dal meccanismo dei Piani Economici Quinquennali sovietici e dal capitalismo di Stato, con la negazione innaturale della proprietà privata.
Quel meccanismo economico fu molto difficile da organizzare, e si mostrò abbastanza presto inadeguato alla natura umana, non pronta al collettivismo estremo. Inoltre, fu visto come pericolosa alternativa nel resto del mondo non comunista, guidato dal liberalismo borghese di cui era intrisa la rivoluzione industriale, già al suo sorgere: tant’è che la guerra civile russa 1918-1920, sostenuta dai Paesi occidentali conto i rivoluzionari comunisti affermatisi nel 1917, dimostrava già quanta avversione quel modello portava e quanto poco dialogico sarebbe poi stato a livello commerciale con l’Occidente.
Una partita difficilissima, dunque, che si sarebbe retta poi anche su fattori strategici (la disponibilità dell’arma totale che cambia l’antropologia umana) e su un gigantesco sforzo socio-economico industriale. Le risorse dell’Unione Sovietica furono messe tutte in gioco e l’opposizione straniera divenne talmente forte che nulla poteva complicare ulteriormente il quadro.
Così, quando nel 1956 l’Ungheria segnalò la sua non piena condivisione, furono carrarmati.
Quando nel 1968 lo fece la Cecoslovacchia, furono carrarmati.
Quando nel 1980 l’Afghanistan si destabilizzò e produsse turbolenza ai confini verso la URRS, furono carrarmati.
Ma la scommessa era stata troppo elevata. Stalin e i suoi successori al Politburo non riuscirono a tenere in piedi una baracca così audace. Ci fu una progressiva acquisizione diciamo così d’impossibilità filosofica, che arrivò fino a Gorbačëv e alla Perestroika. E fu detto addio a Soviet, Patto di Varsavia, Comecon, comunismo in un solo o più Paesi.
Uscita dalla crisi di identità socio-politico in modo anche grottesco (epoca Yeltsin) come Federazione Russa, e abbandonati i progetti ideologici per una più realistica e attuale condizione economica, la neonata Federazione Russa riprese a fare i conti con tutto il mondo e non soltanto con “il suo”, più o meno largo, di Paesi satelliti.
Si ritrovò forte strategicamente, con un settore bellico forse secondo soltanto a quello degli USA, estremamente ricco di materie prime ed energia, arretrato invece in quasi tutti gli altri settori della trasformazione industriale e della produzione del valore. Una condizione non facile di nuovo.
Intanto, a oriente cresceva il Drago cinese: il Drago ha bisogno di energia e materie prime, essendo decollato dopo la Rivoluzione Culturale come grande paese industriale. Ma anche l’Europa, storicamente industriale, ha lo stesso fabbisogno. La nuova Federazione Russa crea finalmente un suo leader di grande carisma popolare e visibilità personale internazionale, Vladimir Putin. Putin agisce sulle istituzioni ricreate su modello simil-democratico quasi occidentale nel dopo Yeltsin e si ricava uno spazio personale criptomonarchico, assolutista. Intorno a lui una corte di cosiddetti “oligarchi”, riconosciuti più o meno a livello russo e anche internazionale, che hanno dalla loro il controllo dei grandissimi giacimenti naturali, sui quali si basa la loro leggendaria ricchezza, esibita spesso nelle località più esclusive del turismo mondiale, anche con aneddoti coloriti.
Ma la Russia resta fragile, soprattutto per la dimensione molto contenuta del suo PIL (1.7 trilioni di dollari contro ad esempio 2.0 dell’Italia, che porta il PIL pro-capite addirittura a meno di un terzo di quello italiano, 11mila dollari contro 34mila). Non è concorrente economico, è fornitore. E difende le sue risorse, che sono specificamente territoriali, geografiche e in mano a pochi. A differenza del capitalismo occidentale, che si è sempre più liberato da geografia e politica locale degli Stati per creare un nuovo feudalesimo solo economico-finanziario, che vive nella catena del valore, il potere russo è legato alla terra, su cui viaggiano camion, treni, carri e, appunto, carrarmati.
E quindi così farà con la Georgia non molti anni fa.
E ora con la Ucraina.
Dunque, partire da qui, dal revanchismo e disperata difesa del popolo russo dalle invasioni millenarie, non è sbagliato per capire qualcosa di più di quanto sembra a noi inconcepibile e irrazionale nell’invasione dell’Ucraina di queste ore.
L’Ucraina è poi particolarmente interessante per le grandi estensioni, portatrici di materie prime e di grande agricoltura. In fondo, nasce come Stato autonomo solo nel 1991, non senza turbolenze. E nasce Paese con diverse vocazioni e tradizioni, diverse lingue in differenti aree. Il nuovo Stato ucraino si dice che abbia poi condotto azioni decise contro le minoranze, russe in particolare, che ricordavano la recentissima dipendenza dall’Unione Sovietica e che condividevano con la Russia cultura e storia. Non dimentichiamo poi che Kiev è stata la capitale della prima Russia, prima che i potentati moscoviti, alcuni secoli dopo, non reclamassero la loro potenza di mezzi e governo.
La sindrome dei carrarmati segue la Russia quindi da oltre 60 anni. Che la bandiera sia rossa con una falce e martello, come quella dell’URSS, oppure bianca azzurra e rossa, come quella della Federazione Russa, i suoi carrarmati si muovono lo stesso verso i Paesi confinanti, che da una parte non sentono molto forte la referenzialità del vicino, un po’ prepotente va detto, e dall’altra sono attratti da altre comunanze con altre civiltà vicine. È sempre stato così ed è così ora.
Secondo la medesima regola marxista-leninista, la struttura economica è sempre determinante e, che si sia, come i comunisti, illuminati nel percorso dal fulgido sole dell’avvenire, oppure, come i capitalisti, da edonismo e consumismo, comanda sempre lei. Oltretutto, gli Stati dalle enormi estensioni nati in Europa orientale e Asia nord occidentale, intorno alla Russia, hanno strutture istituzionali e civili soltanto imbastite, per dirla come in sartoria: questi Stati, per essere fatti e finiti, richiedono ancora prove e materiali, e anche la Russia è un po’ indietro sulla modernità della gestione della cosa pubblica e della società civile. Si tratta quindi di realtà soggette a grandi turbolenze, a una politica demagogica, grossolana e superficiale: anche quando onesta, se si vuole (oppure no…) e, nel regime attuale di fortissima integrazione globale, questa politica arretrata crea enormi turbolenze.
Il gigante Russia è grosso, molto dotato di tecnologie belliche, ma non di economia manifatturiera in generale. È grosso anche demograficamente e leader nelle materie prime; ha paura che lo riducano a puro bacino estrattivo, cosa che le tentazioni e comportamenti dei tanti feudatari intorno a Putin hanno già dimostrato, e non solo per la corruzione indotta dall’occidente ma per loro stessa disponibilità.
Noi in Europa Occidentale siamo in una epoca già cosiddetta post-industriale, nel senso che la crescita non è più guidata dalla manifattura, ma dalle attività ulteriori: a nuova economia, nuova società. La Russia è invece terra di materie prime e non di trasformazione: le sue alternative civili non sono determinate dall’ “essere” (in un modo o nell’altro, ad esempio nella manifattura) ma dall’ “avere” (le miniere, le fonti energetiche, ecc. ecc.).
È quindi altra mentalità e cultura.
Mentre noi viviamo anche economicamente nell’infosfera, là sono rimasti legati alla terra, ai corpi fisici e alle congiunzioni della antica tradizione. E quando si muovono sono rumorosi e sgraziati. Ma non sono matti. Sono semplicemente diversi. E questo è un problema. Non hanno alle spalle il lungo lavoro di coltivazione popolare corrente svolto bene o male dalle democrazie occidentali, ma riferimenti ideologici, forti organismi di rappresentanza cui appoggiarsi stremati (vedi il rilievo personale, da despota, del ruolo istituzionale che si è ritagliato Putin) e poco pensiero variamente societario, mentre viene tenuto alto il mito del Paese e dalla bandiera e delle forme originarie della società umana, come ad esempio la famiglia.
Con la Russia, quindi, i casi alla fine sono solo due.

Primo caso: la si conquista, ma la storia dice che è sempre stato soltanto per poco, che alla fine non c’è mai riuscito nessuno e che poi oggi col deterrente nucleare e il complessivo sistema tecnologico di difesa è probabilmente impossibile.

Secondo caso: la si coinvolge, ma senza fare i furbi, perché la società russa dell’ultimo secolo, una cosa l’ha ben imparata: a difendersi, ed è superattrezzata per farlo. Per il resto, non fa male a nessuno, mai è successo: salvo ai confini, per evitare, con primitivo furore carrarmatesco, che qualcuno venga a fare i fatti suoi in casa russa. Il ventre dell’Asia, la grande Cina e anche l’area indiana, l’hanno capita. E così l’Africa, che sembra preferirli all’occidente colonialista e subdolo.
L’Occidente e i suoi potentati ci provano ancora a crearsi dei vantaggi con le astuzie della evolutissima civiltà quaternaria, di cui i russi sono clienti, mentre lì in Russia sono a malapena in vista del secondario e non si muoveranno molto da dove sono. E così USA ed Europa operano sulla comunicazione di massa trascurando mille aspetti per ottenere effetti demagogici e opportunistici.
L’Orso non è pericoloso se lo si lascia vivere a modo suo.
Certo è pur sempre un orso e forse non sarà mai una colta e sensibile ballerina occidentale.
Ma attenti a venderne la pelle…!