La parola di Cambronne


Chissà quante volte di questi tempi abbiamo pronunciato la parola che il generale Pierre Jacques Étienne, visconte di Cambronne sparò in faccia agli inglesi nel pomeriggio del 15 giugno 1815 nella piana di Waterloo, mentre era al comando del 2º Reggimento Cacciatori Appiedati. Abbiamo ogni giorno, ogni istante della nostra esistenza mille motivi per profferire quelle cinque lettere: stizza, livore, astio, delusione, amarezza, senso di rivalsa o di repulsione, sorpresa o incazzatura solenne. I francesi l’hanno addirittura eretta a giaculatoria, a “mot de bonnheur” prima di lanciarsi in qualsiasi azione rischiosa o temeraria.
Ma il senso più pieno, il significato più assoluto di questa esclamazione solo in apparenza triviale è descritto in modo perfetto da Victor Hugo nel capitolo XV de “I miserabili”, dedicato a Cambronne il quale, in piedi sul fronte del quadrato formato dai suoi soldati, accerchiato dagli inglesi e invitato ad arrendersi, gridò dapprima l’altrettanto famosa frase “La guardia muore ma non si arrende”, poi giù scariche di fucileria e quindi, nuovamente sollecitato alla resa lanciò molto più prosaicamente il grido rimasto nella storia: “Merde!”.
Lasciamo dunque che sia il grande scrittore francese a raccontare con una prosa che ha del meraviglioso.
«Dire queste parole, e poi morire. Cosa c’è di più grande? Poiché voler morire è morire e non fu colpa sua se quell’uomo, mitragliato, sopravvisse.
Colui che ha vinto la battaglia di Waterloo non è Napoleone sconfitto, non è Wellington, che alle quattro ripiega e alle cinque si dispera, non è Blücher, che non ha proprio combattuto; colui che ha vinto la battaglia di Waterloo è Cambronne. Poiché fulminare con una tale parola il nemico che vi annienta, vuol dire vincere.
Dare questa risposta alla catastrofe, dire questo al destino, dare questa base al futuro leone, gettar questa ultima battuta in faccia alla pioggia della notte, al muro traditore d’Hougomont, alla strada incassata d’Ohain, al ritardo di Grouchy e all’arrivo di Blücher.
Portare l’ironia nel sepolcro, fare in modo di restar levato sulle punte dopo che si sarà caduti, annegare in due sillabe la coalizione europea, offrire ai re le già note latrine dei cesari, fare dell’ultima delle parole la prima, mescolandovi lo splendore della Francia, chiudere insolentemente Waterloo col martedì grasso, completare Leonida con Rabelais, riassumere questa vittoria in una parola impossibile da ripetere, perdere il campo e conquistare la leggenda, aver dalla sua, dopo quel macello, la maggioranza, è una cosa che raggiunge la grandezza di Eschilo.
La parola di Cambronne fa l’effetto d’una frattura: la frattura di un petto per lo sdegno, l’irruzione dell’agonia che esplode!»