Il muflone del Giglio: la specie sbagliata nel posto sbagliato


È di questi giorni la notizia che all’isola del Giglio sarà messo in attto un piano d’abbattimento straordinario volto a eliminare la maggior parte del Muflone del Giglio, immesso sull’isola negli anni cinquanta del secolo scorso da pseudo scienziati che pensavano così di salvare una specie in via d’estinzione. Il muflone si è invece così talmente moltiplicato in un ambiente praticamente privo di specie antagoniste e di predatori che è diventato una vera e propria calamità per la popolazione dell’isoletta toscana. Per di più, il muflone non fa parte dei cosiddetti ‘nocivi’ (come la cornacchia, la volpe, il ratto, ecc.) e pertanto ne è solitamente proibita la caccia fuori stagione nel modo più assoluto.
Quanto detto qui sopra evidenzia due fatti importanti. Il primo è che non basta occupare una scrivania in un ministero per definirsi esperto nella materia di cui il ministero stesso è depositario del controllo. Il secondo è che, pur cercando di mettere una pezza con settant’anni di ritardo al danno fatto a suo tempo, anche oggi non si è riusciti a evitare di incappare nelle reti degli animalisti, sempre pronti alla difesa dell’animale anche se a danno dell’uomo.
È ben vero infatti che il muflone nella biodiversità del Giglio è una specie “aliena e invasiva”, come sottolinea Giampiero Sammuri, presidente del Parco dell’Arcipelago Toscano e pertanto è giusto eradicarla. Ma dei circa 80 esemplari censiti la maggior parte sarà catturata e portata in parchi sulla terraferma dove la specie è stanziale. Solo alcuni esemplari, più elusivi e difficilmente catturabili, verranno abbattuti. Invece per i soliti esagitati questo è un vero e proprio genocidio. Sia la LAV che l’OIPA (Organizzazione Internazionale Protezione Animali) hanno criticato aspramente l’operazione dichiarando che “la mattanza dei mufloni dell’isola del Giglio servirà ai cacciatori per accumulare punti come ‘selecontrollori’ e a utilizzare il carnaio per l’autoconsumo”.
A parte che il muflone del Giglio – come razza – non esiste. È un ovis musimon qualunque, anche se con accento toscano. Dire muflone del Giglio in pratica è come dire pantegana di Pantelleria.
Poi non mangia le arselle e questo depone del tutto a suo sfavore.
Poi il fatto che il cacciatore pratichi “autoconsumo del carnaio”, che tradotto dal latino significa mangiare ciò che si è cacciato, oserei dire che è la conseguenza più nobile dell’arte venatoria: io sono sempre andato a caccia per portare a casa cibo. Mai per un semplice trofeo. È ovvio che se abbatto un camoscio le corna magari me le appendo in salotto, a ricordo di una bella giornata di caccia, ma cosa mi fa più piacere è affettare una bella mocetta da mangiare con la Raclette!
Inoltre ci sono razze all’interno di quella specie ben più degne di essere ‘attenzionate’ (come dicono gli ufficiali della Benemerita quando intervistati, per far vedere che non si sono fermati alla terza media ma hanno scolato tutto il pub): ad esempio il muflone del Monte Bianco (Muflo Nivalis L.), quello sì sull’orlo del baratro, è proprio il caso di dirlo!
Per non parlare di altre specie prossime all’estinzione come l’ukupno o l’uglindugia.
Pertanto mi sento di consigliare di vero cuore agli animalisti di documentarsi prima di mettersi a urlare e se l’obiettivo delle loro battaglie è sbagliato, abbiano almeno il coraggio di cambiare obiettivo se non addirittura di cambiare mestiere.