A proposito di Inglesi


Scusatemi se per una volta parlo di un calcio che non è quello che rifilerei volentieri nelle terga di molti uomini (e donne per par condicio) influenti del nostro Paese.
Dopo una settimana dal trionfo di Wembley non si odono ancora commenti da oltre Manica. A quanto pare la batosta è stata così forte da lasciare tramortita l’intera platea degli albionici supporters. Staranno già meditando vendetta per il prossimo appuntamento mondiale nel rovente inferno di Dubai? Non è dato a sapersi. Nel frattempo, a distanza di sette giorni qui da noi c’è ancora (me compreso) chi gode come un majale per il meritato successo ma soprattutto per la legnata meritata alla sussiegosa aria di superiorità di un popolo che – come ben dice Corrado Guzzanti – quando ancora viveva nelle grotte e mangiava carne cruda noi a Roma già si accoltellava un Giulio Cesare.
A tal proposito ho recentemente letto il racconto di un militare italiano che ben riassume l’eterno conflitto tra la partigianeria inglese e quella di qualsivoglia altra nazionalità.
Il racconto è del Contrammiraglio Rudy Guastadisegni, Sommergibilista della Marina Militare Italiana, e già direttore del Museo Navale dell’Arsenale di Venezia. Ecco quanto scrive.

“:Fin dalla costituzione della NATO tutte le marine che ne fanno parte usano scambiarsi ufficiali con lo scopo di raggiungere la maggior integrazione possibile, cosa di fondamentale importanza per poter operare in formazioni e flotte composte da navi di tutte le nazioni alleate. Così, come poteva capitare di dover imbarcare un nostro ufficiale su una portaerei americana o una fregata inglese, così poteva capitare che una nostra nave dovesse ospitare ufficiali delle stesse marine.
Una di queste occasioni si verificò agli inizi di questo secolo a bordo di un nostro caccia.
Un baldo capitano di fregata della Royal Navy fu destinato per qualche settimana su una nostra nave per prendere parte ad esercitazioni interalleate. Conosceva poche parole di italiano dato che nella prosopopea anglosassone presupponeva che tutti capissero la sua lingua. Per sua fortuna la nostra gente di mare non solo è abituata a mettere a proprio agio qualsiasi ospite ma mastica anche molto bene l’inglese e così con lui si parlava solo nella sua lingua.
L’ospite, per quanto cordiale si volesse dimostrare, non riusciva a nascondere completamente il suo complesso di superiorità nei confronti degli italiani.
Così, la sera dell’11 novembre di quell’anno si presentò in quadrato ufficiali per la cena in perfetta alta uniforme. Fu in quell’occasione che tutti seppero delle sue origini scozzesi. Nessuno riusciva a capire il perché di quella tenuta da grande cerimonia.
Mentre tutti sorseggiavano il rituale aperitivo lanciando occhiate curiose all’inglese, il Comandante della nostra nave finalmente gli chiese il motivo di quella tenuta.
“Questa sera la Royal Navy festeggia una delle più gloriose vittorie della Seconda Guerra Mondiale” … seguirono attimi di silenzio mentre tutti aspettavano di sapere di quale grande vittoria stesse parlando visto che la sua marina era uscita dalla guerra vincitrice solo per merito degli americani ed aveva perduto un sacco di navi in innumerevoli rovesci alternati da qualche sporadica vittoria in Mediterraneo: “l’operazione Judgement … la mitica notte di Taranto !!”.
I nostri strabuzzarono gli occhi per la sorpresa. Nessuno si aspettava che un ospite pretendesse così sfacciatamente di festeggiare in casa delle proprie vittime. Nessuno vedeva cosa ci fosse da festeggiare per la morte di decine di marinai sorpresi nel sonno.
Ma siccome l’ospitalità è sacra, durante la cena nessuno ebbe il coraggio di interrompere lo scozzese che celebrava l’avvenimento:
Una portaerei scortata da un’intera flotta di navi e sommergibili, decine di aerei, un gran numero di piloti e qualche migliaio di marinai degli equipaggi. Un enorme dispiegamento di forze e risorse molto bene impiegate (grazie ai servizi segreti) ed anche molto fortunate (condizioni meteo favorevoli e falle nel sistema difensivo italiano) quella notte avevano sorpreso la flotta italiana all’ancora riuscendo a danneggiare seriamente una nave da battaglia e altre due in modo meno grave. Una specie di facile Pearl Harbour. Bravi !
La serata terminò con un brindisi lanciato dal nostro Comandante a ricordo dei 58 marinai italiani periti nell’attacco. La cosa non fu digerita molto bene dai nostri e il Comandante aveva in serbo una sorpresa per il suo ospite.
Dopo qualche settimana l’inglese, entrando in quadrato per la solita cena si ritrovò in mezzo ad una quindicina di ufficiali italiani in perfetta alta uniforme: sciarpa, sciabola, decorazioni metalliche ed un calice di champagne in mano. All’apparire dell’ospite tutti lo accolsero con un gran sorriso ed un corale “hip hip hurrà”.
L’espressione flemmatica britannica era sparita dal viso dell’ospite che rimase interdetto per qualche attimo. Poi, con un sorriso forzato chiese cosa mai potessimo festeggiare di cosi importante da giustificare l’alta uniforme per tutti.
“Questa sera i marinai italiani festeggiano una delle più gloriose vittorie della Seconda Guerra Mondiale“ chiosò il Comandante ripetendo esattamente le stesse parole usate con spocchia britannica per annunciare la celebrazione della notte di Taranto nella precedente occasione.
“L’operazione G.A.3 … La notte di Alessandria !!”.
Era il 18 dicembre.
L’ospite sbiancò in viso conscio dello smacco subito non tanto da lui quanto dalla sua celebrata Royal Navy. Scolò rapidamente il suo aperitivo mentre tutti intorno lo guardavano sogghignando e, durante la cena fu il suo turno di ascoltare la celebrazione dell’evento.
“Un solo sommergibile (lo “Scirè”, N.d.R.), tre vecchi siluri modificati e cavalcati da soli sei uomini coraggiosi in grado di penetrare la più munita base navale inglese e far saltare in aria le due più potenti corazzate della flotta nemica. Un risultato eccezionale raggiunto con risorse insignificanti e che nessuna altra marina del mondo è mai stata capace di eguagliare; frutto non della potenza economica o militare ma soltanto della grande fantasia italiana e dell’ardimento della nostra gente. E pensi che i nostri sei eroi hanno anche consentito di salvare la vita di tutti i marinai inglesi della nave da battaglia da lui minata. Un’autentica leggenda riconosciuta come tale in tutto il mondo.”
E per rincarare la dose: “Si figuri, caro commander, che in Italia non c’era l’uso di celebrare questa come tante altre simili azioni perché sono considerate ordinaria amministrazione e semplice compimento del proprio dovere in ossequio al nostro giuramento, ma proprio lei, il mese scorso ci ha fatto capire il valore assoluto della nostra gente e l’importanza di ricordarlo al mondo.”
Fu così, credo che la consuetudine di celebrare la notte di Alessandria partì da quella nave il cui nome è “Luigi Durand de la Penne”.
Il brindisi finale fu il colpo di grazia per l’orgoglio anglosassone: “Quindi non essendoci vittime inglesi da onorare, per merito dell’italiano di cui questa nave porta il nome, il brindisi è in onore del coraggio e della innata cavalleria del marinaio italiano di tutti i tempi … prosit !”