L’attività di BETASOM in Africa occidentale – parte 1 di 2


Fin dall’inizio della guerra, il grande ancoraggio naturale di Freetown, capitale della Sierra Leone, situata sulla costa occidentale dell’Africa a non grande distanza dall’Equatore, era divenuto un importante centro di raccolta del traffico marittimo diretto in Inghilterra. Vi giungevano navi dall’America meridionale e quelle che seguivano la rotta del Capo di Buona Speranza provenienti dall’Asia, dall’Australia e dal Medio Oriente. Da Freetown le navi più veloci proseguivano isolatamente verso nord, seguendo rotte largamente divergenti nella vastità dell’Atlantico; al contrario, quelle lente venivano riunite nei convogli «SL» che si formavano in quel porto.  Naturalmente, anche gran parte del traffico proveniente dalla Gran Bretagna e diretto nelle colonie dell’Asia e dell’Africa facevano scalo a Freetown.
La Seekriegsleitung, la Direzione delle Operazioni Navali della Marina germanica, aveva più volte sollecitato l’ammiraglio Karl Dönitz, Comandante dei Sommergibili germanici (B.d.U.) affinché inviasse sommergibili in quella zona allo scopo di ottenervi un effetto diversivo e nello stesso tempo cogliervi facili successi. Sebbene la SKL avesse promesso l’appoggio di petroliere per assicurare l’indispensabile rifornimento dei sommergibili, Dönitz fu alquanto restio ad impiegare in quelle acque africane alcune delle poche unità che si rendevano disponibili per operare contro i convogli ad occidente delle Isole britanniche.
Infatti, a differenza dell’Alto Comando, che riteneva strategicamente più importante attaccare il nemico nel maggior numero di zone, allo scopo di tenerlo impegnato e costringerlo a frazionare le forze di difesa disponibili, il B.d.U. considerava che i lunghi viaggi di andata e ritorno per raggiungere obiettivi lontani avrebbero influito negativamente sul rendimento complessivo dei sommergibili.  Nondimeno, davanti alle sollecitazioni della SKL, ed anche per rendersi conto di quale situazione esistesse realmente nell’Atlantico meridionale, in previsione di una futura probabile spedizione in quelle acque, nella primavera-estate del 1940 il B.d.U. aveva inviato a sud il nuovo U-A (un sommergibile costruito in Germania per la Marina turca, ma non consegnato per lo scoppio della guerra), che per le dimensioni e la minore manovrabilità appariva inadatto alla lotta contro i convogli.
Il sommergibile tedesco UA, ex Batiray. In costruzione per la Turchia all’inizio della guerra fu confiscato e inserito nel naviglio della Kriegsmarine. A differenza degli U-boote tipo II, VII e IX aveva grosse dimensioni e il cannone sistemato a prora della grossa torretta.
Successivamente, in novembre e dicembre di quell’anno anche l’U-65 e l’U-37 furono inviati nelle zone meridionali, il primo davanti a Freetown, l’altro nella zona di Gibilterra. I tre sommergibili ottennero grandi successi, affondando ciascuno da sette a otto navi, e generarono per il nemico notevole allarme. Ciononostante, avuta la conferma che i sommergibili, evitando i lunghi trasferimenti, potevano allora ottenere successi maggiori nelle zone settentrionali, Dönitz prendeva le seguenti decisioni, registrate nel suo diario di guerra in data 21 dicembre 1940:
«In base alle comunicazioni dell’U-65 e U-37 si conferma il sospetto che l’impiego dei sommergibili nella zona meridionale non porta gli stessi successi che  potrebbe portare al Nord. Mi decido quindi a richiamarli, per impiegarli poi nella  più redditizia zona settentrionale. I tre grossi sommergibili italiani sono previsti per Freetown per avere il desiderato effetto diversivo in quella zona: il CAPPELLINI,  per primo, entrerà in quella zona alla fine dell’anno».
Il progetto di inviare sommergibili italiani ad operare nell’Atlantico meridionale non era nuovo. Lo stesso Dönitz aveva manifestato questo intendimento fin dalla fine di settembre, ma poi non lo aveva attuato poiché aveva ritenuto più conveniente riservare i sommergibili che si rendevano disponibili, per mantenere un forte concentramento nell’area settentrionale. Nello stesso tempo, ben valutando l’importanza di Freetown per l’economia di guerra della Gran Bretagna, aveva pensato di intralciarvi il traffico, minandone gli accessi di entrata; il progetto non si era reso attuabile per la mancanza di un sommergibile adatto allo scopo, ossia di un battello  posamine capace di spingersi tanto lontano dalle basi della Francia. Fu allora che si rivolse ai suoi alleati che possedevano nel Pietro Micca una grossa unità subacquea adatta al particolare compito. Il 5 novembre del 1940, durante la visita dell’ammiraglio Angelo Parona a Parigi, il B.d.U. aveva chiesto al Comandante di Betasom di prospettare a Supermarina l’opportunità di impiegare quel sommergibile per effettuare uno sbarramento di mine molto ampio davanti alle varie rotte di accesso dell’ancoraggio di Freetown, e successivamente di trattenerlo a Bordeaux per impiegarlo nel duplice compito di posamine e di silurante a lungo raggio. La missione nelle acque di Freetown, proposta dal Comandante Superiore dei Sommergibili, venne considerata da Parona «possibile di successo e di notevole effetto sul nemico», ma l’assegnazione del  Micca alla base implicava complicazioni di carattere logistico, essendo necessario trovare lungo la Garonne un’altra località di attracco dove preparare un deposito per le mine, e sistemarvi il relativo personale per la manutenzione e la preparazione delle armi. Tuttavia, dal momento che le difficoltà apparivano superabili, la proposta venne  prospettata da Parona a Maricosom, ma l’ammiraglio Mario Falangola, Comandante dei Sommeregibili italiani (Maricosom) fu costretto a dare parere negativo poiché il  Micca, impiegato per trasportare materiali urgenti alle guarnigioni di Lero e Rodi, era ritenuto indispensabile in Mediterraneo.
Si tornò a parlare di missioni nelle acque di Freetown ai primi di dicembre, quando con il fallimento delle operazioni in comune nell’Atlantico settentrionale e in seguito a pressioni di alcuni ufficiali dello Stato Maggiore di Betasom, soprattutto del comandante Todaro, l’ammiraglio Dönitz convenne fosse giunto il momento di sperimentare l’impiego di alcuni nostri sommergibili in quell’area per farsi un’idea di quale sarebbe stato il loro rendimento rispetto a quello che riuscivano ad ottenere nell’Atlantico settentrionale. Pertanto, dopo accordi con l’ammiraglio Parona, fu  previsto che tre grandi sommergibili italiani sarebbero stati impiegati davanti a Freetown – dove le caratteristiche meteorologiche e climatiche erano loro più confacenti – per i seguenti due motivi: sganciarvi i sommergibili tedeschi e mantenere una certa pressione al sud con l’intento di crearvi una diversione, avente lo scopo di tenere frazionata e in allarme la difesa antisommergibile del nemico.
Il 22 dicembre del 1940, l’Alfredo Cappellini (capitano di corvetta Salvatore Todaro), al momento il solo sommergibile che avesse ultimato radicali lavori di trasformazione – riguardanti fra l’altro un maggiore snellimento dello scafo mediante abbassamento della torretta e delle camicie dei periscopi, l’aumento dell’autonomia e un maggiore stivaggio per i proiettili d’artiglieria e per i viveri – salpò dal porto intermedio di Le Verdon con destinazione Freetown e le Isole del Capo Verde. Passò a ponente di Oporto e procedendo con rotta a sud esplorò la rada di Funchal, nell’Isola di Madera e percorse la rotta fra Madera e le Canarie senza avvistare traffico nemico.
Finalmente, il mattino del 5 gennaio del 1941 trovandosi tra le Canarie e la costa africana il
Cappellini, incontrò il piroscafo britannico Shakespear, di 5.029 tsl, partito da Bristol con il convoglio OB.262 e diretto a Porto Said con un carico di carbone. Per evitare che quella nave gli sfuggisse, il comandante Todaro decise di non attendere la notte per attaccare, e subito manovrò per cercare di mettersi in favore di sole che, essendo ancora molto basso, poteva ostacolare la punteria avversaria. Ma  poiché il piroscafo si accorse del sommergibile, e aprì il fuoco dalla distanza di 3.000 metri con il pezzo di poppa, Todaro si vide costretto ad inviare gli uomini ai cannoni e, da distanza ravvicinata, dar corso ad un pericoloso duello d’artiglieria che si prolungò per 45 minuti. Colpito più volte, mettendo fuori uso il cannone del piroscafo con l’uccisione di due armieri e del terzo ufficiale che dirigeva il tiro,Percy Donald Jone, con incendi in plancia e nelle stive, lo Shakespear (capitano Charles Albert Bailey) dopo aver alzato bandiera bianca, affondò con diciannove uomini dell’equipaggio; ma anche il Cappellini, inquadrato da più proietti e colpito in pieno da una granata, che uccise l’artigliere Giuseppe Bastoni facente parte dell’armamento
al pezzo poppiero, corse un grosso pericolo.

(segue la prossima settimana con la seconda parte)

Fonti:
F. Mattesini – I sommergibili di Betasom
F. Mattesini – Betasom. La guerra negli oceani (1940-1943)
Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare