L’ex PM Michele Nardi condannato a 16 anni e 9 mesi per il ‘Sistema Trani’: manipolati processi e indagini


Le accuse in capo all’ex magistrato Michele Nardi sono di associazione per delinquere, corruzione in atti giudiziari, falso ideologico e materiale.
Nardi, che è in carcere dal gennaio 2019, nei mesi scorsi si era già visto respingere dal Tribunale la richiesta per arresti domiciliari.

16 anni e 9 mesi di carcere per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari e al falso: è questa la pena inflitta dalla Corte d’Assise di Lecce all’ex Gip di Trani e Pm di Roma Michele Nardi. Il magistrato era al vertice di quello che è stato ribattezzato “il sistema Trani”, un gruppo di avvocati e magistrati accusato di aver manipolato procedimenti giudiziari in cui erano coinvolti imprenditori amici ricevendo in cambio denaro, regali e favori. La procura di Lecce aveva chiesto una condanna ancora più dura, di 19 anni e 10 mesi; ma Nardi è stato assolto dal reato di millantato credito. Insieme all’ex Pm sono stati condannati l’ispettore di Polizia Vincenzo Di Chiaro a 9 anni e 7 mesi, l’avvocato barese Simona Cuomo a 6 anni e 4 mesi, Gianluigi Patruno a 5 anni e 6 mesi e infine Savino Zagaria a 4 anni e 3 mesi.
Nardi era stato arrestato nel gennaio del 2019 insieme ad Antonio Savasta – giudice di Roma ed ex Pm di Trani – condannato a 10 anni con il rito abbreviato. Per Nardi e l’ispettore DI Chiaro, il collegio di giudici ha inoltre disposto l’estinzione del rapporto di lavoro con lo Stato, la confisca di beni in solido con altri imputati per un valore complessivo di 2 milioni e 237 mila euro e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.. Molti imprenditori pugliesi hanno ammesso di aver versato fiumi di denaro nelle tasche di Nardi e gli altri condannati per uscire di carcere o sfuggire ai processi. L’ex Gip di Trani avrebbe ricevuto inoltre vari gioielli, diamanti, un rolex Daytona dal valore di oltre 25 mila euro, la ristrutturazione della sua villa a Trani e una casa a Roma.
Nardi il 29 settembre del 2016 si rese protagonista di un violento sgombero ai danni di due famiglie italiane in via del Colosseo a Roma. Si presentò la mattina presto sull’uscio dello stabile, fatto piuttosto insolito per un Pm; segno che aveva particolarmente a cuore la faccenda.
Simone Di Stefano, all’epoca segretario nazionale di CasaPound, venne arrestato e incriminato proprio da Nardi per aver tentato di difendere le due famiglie in difficoltà (c’erano un’anziana diabetica e un bambino in difficoltà) che occupavano lo stabile da oltre vent’anni. Le modalità di quello sgombero furono piuttosto insolite per violenza e solerzia. A distanza di 4 anni quello stabile è ancora vuoto, alle famiglie non è stata data un’abitazione alternativa mentre il Pm che li ha sbattuti in mezzo a una strada si è scoperto essere un criminale condannato a 16 anni di carcere. Forse sarebbe il caso di indagare anche sull’operato romano di Nardi e non solo sul “sistema Trani”. E’ probabile che quel sistema di corruzione e manipolazione dei procedimenti non fosse attivo solo in Puglia.
La condanna di Nardi e degli altri imputati si aggiunge a quelle già inflitte agli altri coimputati che avevano scelto di essere giudicati con rito abbreviato. Il 9 luglio scorso infatti il giudice Cinzia Vergine aveva inflitto 10 anni di carcere, come già detto, all’ex pubblico ministero Antonio Savasta, considerato l’organizzatore dell’associazione a delinquere: tra gli episodi raccolti dai pm salentini Roberta Licci e Giovanni Gallone nei confronti di Savasta, anche l’incontro a Palazzo Chigi con Luca Lotti. Fu Tiziano Renzi, padre dell’ex premier e leader di Italia Viva, secondo quanto dichiarato dall’imprenditore Luigi Dagostino, ex socio di Renzi senior e condannato a 4 anni di reclusione, a fare da tramite per organizzare quell’incontro. E’ per lo meno curioso che questo personaggio salti sempre fuori come una moneta falsa dovunque si senta puzza di marcio. Proprio grazie alla mediazione di Renzi babbo il pm Savasta ottenne quell’incontro con Lotti. E poi altri 4 anni di carcere per l’altro magistrato Luigi Scimè che ha dovuto anche abbandonare la magistratura: nei suoi confronti, infatti, il giudice aveva disposto anche l’estinzione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione. Condanna a 4 anni e 4 mesi di carcere, infine, per Ruggiero Sfrecola e 2 anni e 8 mesi per Giacomo Ragno, i due avvocati che avrebbe in alcuni episodi fornito un importante contributo al sistema.
Nel corso del processo giunto ora alla sua conclusione, Michele Nardi si è difeso con tutte le sue forze negando ogni accusa e muovendo a sua volta pesanti invettive nei confronti della procura leccese, degli investigatori che hanno condotto le indagini e persino scaricando la responsabilità sui suoi ex colleghi. I magistrati leccesi lo hanno accusato di aver costruito un sistema nel quale l’ex gip offriva inizialmente la sua esperienza e la sua competenza a imprenditori in difficoltà per poi millantare la possibilità di avvicinare colleghi per sistemare la questione. In cambioriceveva regali, denaro e favori. L’imprenditore Flavio D’Introno, il grande accusatore di Nardi, gli avrebbe donato un Rolex Daytona per ottenere un suo intervento che tuttavia non ci sarebbe mai stato. A raccontarlo, durante le indagini, è stata una donna che poi al processo ha però cambiato versione sostenendo che quell’orologio da oltre 25mila euro era in realtà destinato proprio a lei (un orologio da uomo?). Per l’accusa, inoltre, l’ex magistrato avrebbe ottenuto anche i lavori di ristrutturazione della villa a Trani e di una casa a Roma. D’Introno, però, non è stato l’unico a puntare il dito con il sistema Trani. Anche altri grandi imprenditori pugliesi hanno ammesso in aula di aver versato fiumi di denaro per uscire dal carcere o sfuggire a indagini della procura di Trani.
Il “sistema Trani”, però, avrebbe avuto anche altre articolazioni. Altri legami tra magistrati e avvocati che non sarebbero confluiti in questo processo. Stando a quanto ricostruito finora nel corso delle indagini della procura di Potenza, infatti, gli inquirenti ipotizzano che sia esistito un sospetto legame anche tra l’avvocato Giacomo Ragno e l’ex procuratore di Trani Carlo Maria Capristo, quest’ultimo arrestato quando è divenuto capo della procura di Taranto per le pressioni su una giovane pm all’epoca in servizio a Trani affinché velocizzasse un’indagine con esito favorevole a imprenditori ritenuti dall’accusa a lui vicini. Capristo è nel mirino della procura lucana per aver tentato di riprodurre a Taranto, e in particolare nell’affare Ilva, quel sistema. Il procuratore di Potenza, Francesco Curcio, ha anche depositato le dichiarazioni di un altro magistrato, in passato in servizio a Trani, che raccontano non solo il rapporto tra Ragno e Capristo, ma anche i tentativi di quest’ultimi di intervenire sui colleghi a favore dell’avvocato.
A raccontarlo ai magistrati di Potenza è stato il giudice Roberto Oliveri Del Castillo, autore del romanzo “Frammenti di storie semplici”, in cui si racconta la malagiustizia di un piccolo ufficio giudiziario della provincia pugliese che per molti è sembrato essere proprio quello di Trani. Il giudice è stato ascoltato dalla procura lucana come persona informata dei fatti e ha raccontato “di essere stato invitato dal Procuratore ad accogliere ‘velocemente la richiesta di archiviazione perché l’accusa era a suo dire infondata e l’avv. Ragno era un galantuomo vittima di calunnia”. Non solo. Del Castillo, allora gip di Trani, si ritrovò un fascicolo nel quale l’avvocato Ragno, difensore di un indagato, gli aveva spiegato di un “atteggiamento accusatorio ‘benevolo’ del Capristo” che gli aveva fatto intendere “che il procedimento poteva concludersi in fretta con esito positivo per l’assistito”. La condanna di Nardi, insomma, aggiunge un nuovo tassello, ma certamente non l’ultimo, alla malagiustizia italiana.


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Fonti:
Il primato nazionale
Il fatto quotidiano