Il potere del boia (2a parte)


Verso la fine dell’estate del 1940 Heinrich Himmler avvertì, e ne fu subito consapevole, che le “Waffen SS” erano cadute nel dimenticatoio. Agli occhi del Fürher e dei Generali dell’O.K.W. (Oberkommando der Wehrmacht – traducibile in italiano come “Alto comando delle Forze Armate Tedesche) contava solo il valore militare. Doveva, quindi, riorganizzare gli organici del “suo esercito personale”. Ancora una volta, con i suoi fedelissimi, trovò una soluzione, spostando, come pedine degli scacchi, Divisioni, Brigate e Reggimenti sotto Comandi continuamente modificabili.
Malgrado queste attività “operative”, non perse di vista nessuna delle questioni che dipendevano dalla sua autorità. La “liquidazione dei malati mentali” era una di queste. A Grafenek, una cittadina a sud di Stoccarda, venne costruito un edificio, con forno crematorio, che non tardò a funzionare e ben presto si sparse la voce sui “trattamenti” riservati dalle SS ai malati. Himmler, chiamati a rapporto i suoi collaboratori, ebbe a dire: “La popolazione conosce l’auto grigia delle SS e crede di sapere tutto ciò che accade nel crematoio che fuma senza sosta. Ciò che succede là dentro doveva rimanere segreto e non lo è più. Il risultato è l’esistenza di uno stato d’animo deplorevole e, a mio parere, la necessità di sospendere l’attività, dando spiegazioni intelligenti, con proiezioni, magari, sulle malattie mentali”, per poi riprendere il tutto tre mesi dopo”.
Per la Germania, l’ebreo era, da tempo, il nemico numero uno. Inizialmente i dirigenti nazisti non pensavano di doverli sterminare tutti. L’importante era spingerli fuori dallo spazio vitale del Paese. In tutti i documenti ritrovati, dei quali un gran numero fu prodotto dall’accusa al Processo di Norimberga (terminato il 1° ottobre 1946), compariva l’espressione “soluzione finale del problema ebreo”. Ufficialmente, fu solo dall’inverno 1941-1942 che nacque l’idea di sterminio totale dei giudei (e di altre razze) con più diversi mezzi.
Himmler, a cui era stata affidata la “soluzione del problema”, percepì che non era più possibile trasportare in Palestina tutti gli “esseri di razza inferiore”. A quelli polacchi, andavano aggiunti i provenienti dall’Austria, dalla Germania e dalla Cecoslovacchia. Scartata sul nascere l’idea di portarli in Magadascar, rimase valida solo quella di “liquidare” fisicamente tutti questi “sottouomini” (lett.). E così i “Campi” di Treblinka, Auschwitz, Chelmno, Belzec e Sobidor, in terra polacca, iniziarono a lavorare senza sosta. Il Reichfürher era così ossessionato dal progetto di sterminare tutti i gli israeliti che arrivò, perfino, a rimproverare alle Einsatzgruppen (Unità Operative), specifiche per questo compito, di non mostrare abbastanza rigore. In Italia, in Grecia e in Jugoslavia, malgrado l’intervento di Adolf Eichmann, funzionario e criminale di guerra, considerato uno dei maggiori responsabili operativi dell’eccidio, i risultati venivano ritenuti “mediocri”. Secondo quest’ultimo, erano gli stessi italiani che proteggevano gli ebrei del loro paese e quelli delle regioni che avevano occupato. Eichmann, in un colloquio con Himmler, parlò di “sabotaggio” organizzato da Mussolini. Bisogna riconoscere che il Duce, malgrado la sua amicizia con il Führer e la formale approvazione delle leggi antisemite, aveva sempre rifiutato di rendersi complice di questo genocidio.
Il Capo delle SS, malgrado la necessità di far sparire i “sottouomini”, non perse mai di vista alcuni aspetti della situazione che potevano fruttare qualcosa. Nel dicembre del 1942, pensò che, vendendo permessi di emigrazione agli ebrei agiati, avrebbe potuto equipaggiare una divisione supplementare di SS. Una volta, recatosi ad Auschwitz per un sopralluogo, allorché il Tenente Colonnello Hoess, Comandante del Campo si lamentò dei problemi relativi alla sistemazione di queste migliaia di infelici, lo apostrofò dicendo: “Non voglio sentir parlare di difficoltà. Per un Ufficiale SS le difficoltà non devono esistere. Lei ha il potere e la facoltà di sopprimerle. Come? E’ affar suo, non mio!”. Quando venne il momento della partenza, tornando sull’argomento, ma con più comprensione, disse: “Vedo cosa potrò fare per voi. Una cosa non va mai dimenticata. Bisogna che Auschwitz aumenti il suo rendimento e che tutti i prigionieri incapaci di lavorare vengano semplicemente liquidati”.
I fortunosi eventi bellici dell’inizio delle ostilità andarono via via deteriorandosi e con essi la stragrande maggioranza dei personaggi che avevano contribuito a quei successi. E’ il caso di dire che la carriera militare del “nostro uomo” era dunque giunta al termine. Cominciò per lui il periodo del dubbio. Il giorno in cui Hitler, a seguito di una pesante sconfitta in Ungheria, si scagliò, ingiuriando, contro le sue truppe, Himmler avvertì che qualcosa si era spezzato. Dopo aver votato la propria vita al Führer ed alla grandezza della Germania, si sentì vergognoso più che offeso.
Agli inizi del ’45, incontrò, su specifica richiesta del suo massaggiatore Felix Kersten, il Conte Folke Bernadotte, rappresentante della Croce Rossa svedese, venuto a Berlino per negoziare la consegna, al suo Paese, dei prigionieri norvegesi e danesi. L’incontro avvenne presso l’ospedale di Hohenlychen. Dirà in seguito Bernadotte: “Himmler aveva mani delicate e molto belle. Con mia grande sorpresa, fu estremamente cortese e manifestò un umorismo un po’ macabro. Non aveva certo un’aria diabolica e non ho constatato quella durezza e asprezza di espressione della quale avevo tanto sentito parlare”. Bernadotte ottenne, alla fine, che i prigionieri norvegesi e danesi, di razza ebraica, fossero portati in campi speciali nei quali la Croce Rossa si sarebbe presa cura di loro. Poi propose al Capo SS, prima, di intavolare con gli Alleati trattative di pace che avrebbero permesso alla Germania di dedicarsi esclusivamente all’offensiva contro la Russia e, poi, di incontrare Norbert Masur, rappresentante svedese al congresso mondiale ebraico, per ascoltarne le proposte; la completa liberazione, cioè, dei prigionieri scandanavi. Himmler accettò titubante, assicurando che i prigionieri sarebbero sì stati liberati, “ma a poco a poco”, per non attirare pericolose attenzioni.
Un diplomatico inglese, Jack Winocam, che faceva parte della delegazione britannica presso le Nazioni Unite, apertasi nell’aprile del 1945, assistette una sera ad una riunione privata dei delegati, presieduta da Sir Antonty Eden. Nel corso della convocazione, quest’ultimo, allora Segretario di Stato al Foreign Office, dichiarò: “A proposito, ho sentito dire da Stoccolma che Himmler ha offerto la resa incondizionata della Germania agli americani e a noi, tramite Bernadotte. Naturalmente, noi avvertiamo i russi”. Nel pomeriggio del 28 aprile, la BBC diffuse la notizia.
Verso le 21 della stessa sera, Hitler, all’interno del suo bunker, fu informato del tradimento del “suo fedele Heinrich”. I presenti lo sentirono, paonazzo in viso e con i lineamenti irriconoscibili, dare ordine al Feldmaresciallo Ritter von Greim, di recarsi immediatamente a Ploen e giustiziare personalmente il Reichsführer SS, il quale ignorava ancora che la BBC avesse svelato i suoi tentativi di negoziare con gli alleati. Quando sentì il comunicato a Radio Berlino, rimase inizialmente sensibilmente prostrato. Ma bruscamente si riprese, pensando che la morte del Führer sarebbe stata ormai questione di ore. Si sentì risollevato nell’immaginarsi il numero uno del Reich agonizzante. Ignorava però che il suo Führer, suicidatosi assieme ad Eva Braun nel primo pomeriggio del 30 aprile, aveva già designato l’Ammiraglio Karl Doenitz, come suo successore e creato una nuova lista di Ministri. Il giorno dopo, Doenitz assunse la Carica di Cancelliere e convocò Himmler comunicandogli ufficialmente l’evento, affermando altresì di non aver bisogno della sua collaborazione. Questa decisione gli causò uno choc terribile. Il 2 maggio, giorno in cui il nuovo Cancelliere iniziò i negoziati di resa con il Field Marshal Bernard Law Montgomery, Comandante in Capo delle truppe inglesi e canadesi in Europa, vestito in uniforme da campagna, senza distintivi, a bordo della sua Mercedes seguita da un’auto di scorta e con i russi alle calcagna, cercò di raggiungere il confine belga e dare il proprio contributo per combattere i sovietici. Riunitosi ad uno sparuto gruppo di suoi affezionati collaboratori, tagliati i baffi, dopo una serie di sconclusionati spostamenti lungo le linee di confine, ormai presidiate dal nemico, incappò in una pattuglia inglese. Con due suoi ufficiali, una volta perquisito, venne portato nell’ufficio del Capitano Thomas Selvester, Ufficiale di Turno alla Base Campo 031, vicino a Lüneburg. Questi ebbe a dire poi: “Il suo comportamento era estremamente corretto. Mi dava l’impressione di essere stato superato dagli eventi. Non potevo ancora credere di trovarmi di fronte all’uomo arrogante e terribile del quale la stampa aveva parlato, prima e durante la guerra”.
Verso le 20, di quel 21 maggio 1945, arrivò al Campo il Colonnello Michael Murphy, Capo dei Servizi di Informazione Britannici, che ordinò di condurre il prigioniero in infermeria. Il Sottufficiale di Servizio, in tedesco, indicando un lettino da campo, lo invitò a sedersi e spogliarsi. Dopo un istante di esitazione, l’ex Reichsführer si sedette sul letto ed incominciò a togliersi i vestiti. Una volta entrati nella stanza, il Colonnello Murphy ed il Capitano Medico Welles incominciano ad esaminare il prigioniero, ordinandogli di aprire la bocca. Scorsero immediatamente, in una cavità situata su lato destro della mascella inferiore, una leggera protuberanza. Non fecero in tempo, però, ad evitare che il prigioniero mordesse la fiala di cianuro. Per un quarto d’ora il Capitano Welles tentò l’impossibile. Nulla potè salvare Himmler.
Quando tutto finì, il Sottufficiale di Servizio, Sergente Maggiore Austin, stese una coperta su quel corpo irrigidito. Il Colonnello Murphy ripartì alla volta del Quartier Generale di Montgomery per fare un dettagliato rapporto. L’indomani i russi, avvertiti, mandarono una delegazione per riconoscere, “malvolentieri” dirà Murphy, che si trattava sicuramente di Himmler.
Il 23 maggio, il cadavere di colui che fu senza ombra di dubbio il più grande boia della storia, venne avvolto da una coperta, con attorno una rete metallica legata da filo telefonico. Il Sergente Maggiore Austin, spazzino di mestiere, scavò la tomba nelle vicinanze di Lüneburg.
Mai, malgrado le numerose proposte di denaro che gli vennero fatte in seguito, Edwin Austin svelò dove riposavano i resti del “fedele zio Heinrich”.