Un tesoro in fondo al mare


Ad un gruppo di subacquei croati si deve il ritrovamento, alcuni mesi fa, di una cassaforte, imprigionata nel relitto (già individuato nella primavera del 2005 al largo della costa dalmata) della nave ammiraglia “Re d’Italia”, affondata in Adriatico nel 1866, nel corso della celebre battaglia navale di Lissa (Vis, in croato). Il forziere, conterrebbe un prezioso carico del valore di decine di milioni di euro (duecentocinquantamila lire dell’epoca). Lo riferiscono i media croati, dopo un’intervista al leader dei sommozzatori cacciatori di tesori sommersi, Lorenzo Marović.
Secondo alcune fonti storiche, arricchite forse da sfumature leggendarie, al momento dell’affondamento la fregata corazzata della Regia Marina Italiana trasportava l’oro che avrebbe dovuto sostenere i costi del Governo Provvisorio Italiano in Dalmazia, in caso di una nostra vittoria navale sull’Austria, durante la Terza Guerra d’Indipendenza.
Dietro le pressanti sollecitazioni del Governo Ricasoli che, dopo la battaglia di Custoza (24 giugno 1866), voleva ottenere almeno qualche successo sul mare, il 16 luglio la flotta italiana, comandata dall’Ammiraglio Carlo Pellion di Persano, salpò da Ancona diretta a Lissa, dove progettava di sbarcare, bombardando le fortificazioni disposte sulle colline dell’isola. I bombardamenti iniziarono il 18 luglio, ma due giorni dopo, il 20 luglio, mentre erano sul punto di iniziare lo sbarco, gli italiani furono sorpresi dall’armata navale austroungarica, la Kriegsmarine, agli ordini dell’Ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff, che diede inizio alla celebre battaglia.
Fu il primo grande contrasto tra navi a vapore corazzate e l’ultimo nel quale furono eseguite deliberate manovre di speronamento. Lo scontro rientrò nel contesto della guerra austro-prussiana, poichè l’Italia, all’epoca, era alleata della Prussia, a sua volta in conflitto contro l’Impero austriaco.
Il principale obiettivo italiano era quello di conquistare il Veneto, sottraendolo all’Austria e scalzarne l’egemonia nell’Adriatico. Le flotte erano composte da navi di legno, a vela e a vapore, e da navi corazzate, anch’esse a vele e a vapore. La compagine italiana, costituita da 12 corazzate e da 17 vascelli lignei, superava, nel numero, quella di von Tegetthoff, composta da 7 navi corazzate e 11 in legno. Una sola nave, la nostra “Affondatore”, era dotata di cannoni, montati su torri blindate anziché lungo le fiancate.
Entrambe le marine mostrarono un’impreparazione più o meno marcata sul piano tecnico; in quella italiana però, si aggiunsero gravissimi problemi causati dalla mancanza assoluta di coesione tra i comandanti e dallo scarso addestramento degli equipaggi, mancanze queste che la condussero alla sconfitta. Priva di un organico piano d’azione e gestita in modo incerto, fu travolta da quella austriaca e perse due pregiate unità, la “Palestro” e la “Re d’Italia”, speronate ed affondate. Con la “Re d’Italia”, in particolare, scomparvero in mare 27 ufficiali e 364 tra sottufficiali e marinai. Solo 167 uomini poterono essere tratti in salvo.
La disfatta scosse gravemente l’opinione pubblica nazionale. L’Ammiraglio Pellion venne immediatamente destituito. “Navi di legno con uomini d’acciaio che hanno avuto la meglio su navi d’acciaio con uomini di legno”, fu il commento postumo dell’Ammiraglio austriaco Wilhelm von Tegetthoff, che sembra abbia impartito gli ordini ai suoi marinai in dialetto veneto. Di sicuro, il trauma di tale insuccesso lasciò segni profondi nello sviluppo della Regia Marina Italiana.
Tornando a Marović ed al suo gruppo, i sub croati hanno sì localizzato il forziere, ma nessuno ne conosce il reale contenuto.
“Dato che il relitto giace a centoquindici metri di profondità e le immersioni durano anche fino a cinque ore, abbiamo bisogno di un’attrezzatura speciale e di sommozzatori molto preparati”, ha confidato Marović, nell’intervista. “Non sappiamo cosa ci sia nella cassaforte”, ha aggiunto, “ma sono dell’opinione che comunque dovrebbe essere portata in superficie”.
Nel caso in cui la “leggenda” fosse vera, a Lorenzo Marović spetterebbe un premio del dieci per cento dell’effettivo valore della scoperta. Il resto apparterebbe al Ministero per i Beni Culturali della Croazia, dal quale si attende il permesso per tentare di estrarre la cassaforte; probabilmente nell’estate prossima.