L’Europa tradita


A 56 anni esatti dalla firma del Trattato dell’Eliseo, il 22 gennaio 1963, quando i presidenti Charles de Gaulle e Konrad Adenauer si incontrarono nel palazzo presidenziale di Parigi per sancire la fine degli storici contrasti tra i due Paesi, martedì scorso ad Aachen – l’antica Aquisgrana, capitale dell’impero carolingio – Germania e Francia hanno siglato un accordo che senza troppi complimenti sancisce un principio sul quale entrambi i Paesi intendono fondare il futuro percorso di integrazione europea. In breve tale accordo prevede la costituzione di uno spazio comune e una difesa comune tra i due Starti e vengono stabilite regole d’intesa in ambito UE. I due Paesi si confronteranno preventivamente in vista di importanti riunioni a livello europeo per assumere posizioni comuni su tematiche come difesa e sicurezza. Inoltre viene condiviso il seggio ONU (in quale modo è tuttora un mistero): un modo totalmente surrettizio per riservare un seggio permanente per la Germania alle Nazioni Unite! In sostanza l’accordo getta le basi per una politica europea e internazionale comune, che potrebbe anche non coincidere con quella dei singoli Stati e dell’Unione Europea.
Se da un lato alcuni commentatori parlano di “costituzione di un polo europeista” (e per settant’anni che hanno fatto? Giocato a biglie?) suggerendo all’Italia di scegliere da che parte stare, dall’altro ci si interroga sbalorditi sui reali effetti di una decisione presa da due Stati membri dell’Europa dei 27 e mezzo (Brexit intendendo) senza alcuna intesa in merito con tutti gli altri partner che si sono visti calare dall’alto questo due di picche: “Che vi piaccia oppure no, abbiamo deciso così!”
Sebbene la portata e gli effetti di questo proditorio agreement siano ancora da verificare, è chiaro che la firma di Merkel e Macron rappresenta la marcia funebre dell’Unione Europea, barattata senza troppi fronzoli con un centro gravitazionale europeo dall’enorme potere economico e politico, o per lo meno con una futura Europa a due velocità: la locomotiva tedesca diventerà il locomotore franco-crucco e il resto del trenino si fotta con tutti i suoi passeggeri!
L’Unione Europea così com’è conosciuta oggi è già stesa sul letto di morte e attende solo che i corvi di tutto il mondo le cantino il requiem, mentre le prefiche nostrane, dal nord al sud del Continente come al solito non saranno capaci di fare altro che piangere e gridare al cielo le loro lamentazioni.
Ciò che spaventa, al di là delle facili conclusioni politiche, sociali ed economiche, è l’assoluta nonchalance con la quale il cretinetti Macron, inetto come al solito, ha porto le sue presidenziali terga ad una dolorosissima quanto sodomitica brutalizzazione da parte della granitica Angela “Grosse Arsch” Merkel, digerendola ab retro senza vaselina e senza profferire nemmeno un’”Ahia!”, pur sapendo che sarà sempre il socio di minoranza di questo sodalizio.
Alla luce di queste novità, sebbene non si possano prevedere gli sviluppi futuri né quali accadimenti potrebbero segnare ulteriori svolte disgregative dell’Unione moribonda, è certo che l’Italia (come del resto molti altri Stati membri) deve non solo prenderne atto, ma agire di conseguenza, mettendo in discussione in modo serio e profondo l’adesione all’unione politica e a quella monetaria per evitare di essere ancor più ghettizzata ai margini di un’Unione il cui asse di rotazione sarà inesorabilmente collocato tra la Senna e la Foresta Nera, posti bellissimi per il turismo, ma troppo lontani dalle necessità italiane.
Se anche l’Unione Europea dovesse salvarsi dal naufragio dopo l’accordo di Aquisgrana la maggioranza degli Stati membri rimarrebbe esposta, per così dire, alle politiche predatorie dei Paesi più forti, soprattutto sul versante industriale e su quello bancario.
Conte e soci si devono dare una mossa: non è sufficiente appoggiare i gilet gialli o denunciare il famigerato Franco CFA e la settuagenaria ingerenza economica della Francia nelle economie degli Stati africani. È necessario cambiare i rapporti di forze: occorrerebbe una mossa “forte” da parte del nostro esecutivo, che al contempo prenda una chiara posizione e cerchi nuovi alleati sia tra quelli vecchi e fidati (gli USA) che tra i nuovi che si sono da anni profilati all’orizzonte e aspettano qualcosa di più che un invito a villa Certosa o una sauna nella dacia di Sochi!
È tempo che il Governo gialloverde si svegli: non basta lanciare invettive per contrastare l’alleanza franco-tedesca. Occorre che l’Italia prenda atto che è ora di mettere le carte in tavola, farsi togliere i piedi dalla testa e spostare il baricentro della sua politica internazionale. Occorre cambiare gli equilibri di amicizia, collocando il nostro Paese in una posizione equidistante tra USA, Russia e la stessa Europa, senza timore reverenziale nei confronti di nessuno e alzando, quando occorre, la voce per farsi garante degli interessi nazionali, ben più importanti di quelli di un apparato burocratico pesantemente influenzato dagli interessi franco-tedeschi, i quali a loro volta non coincidono affatto con i nostri. Lo dimostra ancora una volta, se ce ne fosse stato bisogno, la sospensione della partecipazione alla missione Sofia contro i trafficanti di uomini nel Mediterraneo da parte della Germania, che ha colto al balzo la palla della fermezza del ministro Salvini per farsi una volta di più i propri affari alla faccia nostra, dello stesso Macron che non lo ha nemmeno capito, e di tutta la compagnia cantante.
Se ne facciano una ragione i cosiddetti “europeisti”: l’Unione Europea, intesa come “sogno” unificante e spinelliano, come spazio politico e sociale integrato e solidale fra le nazioni europee, è morto nel gennaio del 2019. Bisogna solo prenderne atto e agire di conseguenza per tutelare la democrazia italiana e la nostra sovranità.
Aquisgrana è stata sede di altri ben più storici trattati, dalla pace tra Franchi e Bizantini nell’812 a quello del 1668 tra Francia e Spagna al termine della guerra di devoluzione per il possesso della Franca Contea e delle Fiandre; dal trattato del 1748 che pose fine alla guerra di successione austriaca a quello del 1815, che dopo la disfatta di Waterloo mise fine all’occupazione del territorio francese da parte delle potenze della Santa Alleanza.
Rispetto a quelli, l’odierno è sicuramente un accordo minore, sulle cui note rischia però di suonare il de profundis per l’Unione Europea.