Una grande conquista per l’umanità


“Il sole del 25 (giugno 1859), illuminò uno degli spettacoli più spaventevoli che si possano presentare all’immaginazione. Il campo di battaglia è in ogni parte coperto di cadaveri d’uomini e cavalli; le strade, i fossati, gli avvallamenti, le macchie, i prati sono cosparsi di corpi morti e gli accessi di Solferino ne sono letteralmente coperti. I campi sono devastati, i frumenti e il grano turco sono calpestati, le siepi rovesciate, i frutteti saccheggiati, di tratto in tratto s’incontrano pozze di sangue”.
Così scrisse, dopo essersi trovato di fronte quel palcoscenico di morte, il giovane imprenditore svizzero Jean Henri Dunant, venuto ad incontrare, per i suoi affari, l’Imperatore Napoleone III. Nel suo “Un Souvenir de Solférino”, tradotto in venti lingue, descrisse l’evolversi dei ripetuti scontri del 24 giugno 1859, tra l’esercito franco-piemontese e quello austriaco, passati alla storia come “La Battaglia di Solferino e San Martino”. Quella data segnò la fine la Seconda Guerra di Indipendenza, ma fu uno dei combattimenti più violenti dell’Ottocento. Solo la Guerra civile americana (1861-65), ne annovò di così cruenti.
Trecentomila soldati, di entrambi i fronti, si batterono con furore, lasciando sul terreno circa centomila, tra morti, feriti e dispersi. Numeri che, al confronto con le vittime dei due conflitti mondiali, sembrano poca cosa ma, all’epoca, impressionarono fortemente l’opinione pubblica europea. Particolare pena suscitò la sorte dei feriti, abbandonati a se stessi, sul terreno, per l’assoluta mancanza di servizi e strutture adeguate. Dunant dovette, suo malgrado, condividere proprio quel terribile scenario di sofferenza.
Le sue pagine furono un accorato appello all’umanità intera, perchè unanimemente accorresse a favore dei feriti e dei più deboli; perché si ponesse fine al sangue versato. Un manifesto, quindi, che conteneva l’idea concreta di quella che sarebbe diventata l’imponente organizzazione della “Croce Rossa”, la quale trasse il nome, il simbolo e la bandiera dai colori della sua Svizzera, assegnando loro risonanza mondiale.
Dunant volle dare vita ad una squadra di infermieri volontari, preparati ed organizzati per supportare la sanità militare. La Croce Rossa Italiana fu, in ordine cronologico, la quinta a nascere ed iniziò il suo percorso sotto la guida del medico milanese Cesare Castiglioni.
Con la firma della Prima Convenzione di Ginevra (8-22 agosto 1864), alla base dell’organizzazione fu stilato un atto costitutivo, composto da sette principi fondamentali: umanità, imparzialità, neutralità, indipendenza, volontariato, unità e universalità. Venne, appunto, sancita la neutralità delle sue strutture e del suo personale.
L’iniziale cammino della Croce Rossa si ispirò a quello di Florence Nightingale (1820-1910), giovane infermiera inglese (nata a Firenze, da cui il nome e nota come “la signora con la lanterna”), durante la Guerra di Crimea (1853-1856). L’allora Ministro della Guerra britannico, Sidney Herbert, chiese alla Nightingale di organizzare un gruppo di volontarie e di occuparsi dei feriti di guerra, dove la penosa organizzazione logistica e l’incuria verso il benessere dei soldati, descritti sul “Times” dagli articoli di Willam Russell, primo corrispondente di guerra nella storia del giornalismo internazionale, avevano destato indignazione e sconcerto in patria. Florence accettò e partì nel 1854 con 37 infermiere volontarie. Si occupò non solo della realizzazione e della gestione di ospedali da campo, ma diede conforto ai feriti, organizzando un servizio di spedizione di lettere e pacchi, alle loro famiglie.
Nonostante l’opposizione dei massimi esponenti della gerarchia militare britannica, l’iniziativa ebbe grande successo e risonanza. La Regina Vittoria volle ascoltare, direttamente dalla voce della ragazza, le esperienze acquisite direttamente sui terreni di battaglia.
Bisogna ricordare che prima che fosse adottato un unico emblema, ogni esercito aveva il proprio segno distintivo nel servizio sanitario. L’Austria, ad esempio, usava una bandiera bianca, la Francia un drappo rosso, la Spagna uno giallo. Molti altri una bandiera nera, il colore per antonomasia della morte. Nemmeno i mezzi usati per il trasporto dei feriti avevano colori particolari ed identificativi: il personale sanitario era così esposto agli attacchi nemici. Solo la neutralità implicava la scelta di un unico simbolo. Il colore bianco non apparve il più idoneo, perchè ostentato, dai combattenti, nel momento della resa.
Nel 1863, come detto, in omaggio alla nazione svizzera, che aveva dato i natali a Dunant, venne scelta una “croce rossa su fondo bianco”, invertendo i colori della bandiera della Confederazione Elvetica. Da allora tutti gli operatori sanitari, di qualunque nazionalità, incominciarono a portare sui campi di battaglia questo emblema, confidando nella sua protezione. Protezione che, però, non ha sempre garantito incolumità.
Ad esempio, i medici e gli infermieri militari della 1^ Divisione Aviotrasportata inglese, dopo il disastro di Arnhem, nel settembre del 1944, decisero di restare con i loro feriti, mentre il resto degli uomini ripiegò dietro le linee amiche. I soldati tedeschi li fecero prigionieri, ma non torsero loro un capello e li aiutarono nelle cure dei militari degenti. Sempre durante il secondo conflitto mondiale, nei combattimenti tra forze russe e germaniche sul fronte orientale, si contarono, in entrambi gli schieramenti, massacri di feriti, medici e sanitari. L’esercito nipponico, a Iwo Jima, nei primi mesi del ’45, sparò volutamente sul personale sanitario dei marines americani, riconoscibile dai bracciali rossocrociati, al fine di evitare ogni forma di soccorso al personale ferito. Quindi i bracciali non vennero più indossati.
La Croce Rossa non si è mai identificata con un credo religioso. Eppure, nel 1876, quando nei Balcani scorreva il sangue dalla guerra russo-turca, numerosi soccorritori, catturati dalle truppe ottomane, furono uccisi perché indossavano un bracciale con il simbolo della croce (rossa, ovviamente). Le autorità turche, adottarono, per contraddistinguere i propri servizi sanitari, la “Mezzaluna Rossa”.
Negli anni successivi, una volta terminate le ostilità, furono avanzate numerose richieste per ottenere la revisione dell’art. 7 della Convenzione di Ginevra del 1864. La Persia mirava ad ottenere il riconoscimento di un terzo simbolo protettivo: il “Leone e il Sole”, rossi su fondo bianco. Israele, subito dopo la sua costituzione, nel 1948, propose, a sua volta, il riconoscimento di un nuovo simbolo, la “Stella di David”, rossa su sfondo bianco (Magen David Adom).
Ma il risultato finale fu che l’art. 38 della 1° Convenzione di Ginevra rimase invariato: “In omaggio alla Svizzera, il segno araldico della croce rossa su fondo bianco, formato con l’inversione dei colori federali, è mantenuto come emblema e segno distintivo del servizio sanitario degli eserciti. Tuttavia, per i paesi che impiegano già come segno distintivo, in luogo della croce rossa, la mezzaluna rossa od il leone e sole rossi su fondo bianco, questi emblemi sono parimenti ammessi nel caso della presente Convenzione”.
Ai nostri giorni sono riconosciuti tre simboli: la Croce Rossa, la Mezzaluna Rossa ed il Leone e Sole Rossi. Ma solamente la croce e la mezzaluna sono attualmente utilizzati.
Per rispondere al rifiuto, da parte di alcune nazioni, di accettare come emblemi la Croce o la Mezzaluna, si è stato pensato di creare un nuovo emblema internazionale: il “Cristallo Rosso” (un quadrato rosso poggiato su un vertice), all’interno del quale possono anche essere inseriti i simboli locali.
Dall’8 dicembre 2005, il Cristallo Rosso, rappresenta il simbolo internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, al fine di eliminare ogni simbolismo religioso e le relative polemiche. Scelto tra 40 bozzetti presentati, è stato votato dall’Assemblea Internazionale della Croce Rossa, a Ginevra, con 98 voti favorevoli, 27 contrari e 10 astenuti. Per questo risultato sono occorsi sei anni di trattative. Anche Israele, nel giugno 2006, ha adottato il Cristallo Rosso, rinunciando alla Stella di David, usata solo nelle attività interne.