L’incidente di Chernobyl 32 anni dopo


La sala comando del reattore n.2 di Chernobyl oggi

Ucraina, 26 aprile 1986, esplode il reattore numero due della centrale nucleare di Chernobyl. In poche ore cambia la percezione del nucleare quale fonte di energia pressoché infinita e a (relativo) buon mercato in Italia, mutamento stranamente avvenuto solo nel nostro paese.
Facciamo un passo indietro a sette anni prima: Il 28 marzo del 1979 a Three Mile Island, nella Contea di Dauphin (Pennsylvania – USA), già si era sfiorata la catastrofe con la parziale fusione del nocciolo del reattore della unità due e col rilascio di contenute quantità di radionuclidi nell’ambiente. Ma, in fondo, si era trattato di cosa accaduta in un paese lontano e l’impatto emotivo in Italia fu poco sentito.

La centrale nucleare di Three Mile Island

Solo un film del 1979, “Sindrome cinese”, interpretato da Jack Lemon, Jane Fonda e Michael Douglas, aveva portato i fatti all’attenzione del grande pubblico raccontando la storia della centrale nucleare di Three Mile Island e di come (più o meno) si erano svolti i fatti. A ben vedere, però, gli italiani nutrivano ancora fiducia nel settore, forse anche grazie al periodo di ottimismo economico dove i mercati finanziari delle borse tiravano e gli italiani sognavano di diventare yuppies. Il reattore americano, in fondo, basato su una tecnologia con moderatore ad acqua, aveva risposto bene. Lo stesso INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) ha definito tale incidente ad “impatto radiologico modesto e nessuna contaminazione della zona grazie al confinamento del corium in-vessel e al contenitore di sicurezza”. Ben differente, ma comunque scarsamente rilevante dal punto della valutazione della sicurezza di un moderno impianto nucleare, la conseguenza del disastro di Chernobyl, un vetusto reattore con moderatore a grafite, dove la contaminazione interessò non solo massicciamente Chernobyl e il distretto ucraino di appartenenza ma, addirittura, l’intera Europa con livelli di radiazioni da due a cento volte il normale valore delle radiazioni naturali (essenzialmente provenienti dalla crosta terrestre per il decadimento di elementi radioattivi come l’uranio di cui é ricca la terra, nonchè dai raggi X e gamma provenienti dallo spazio).

La contaminazione in Europa a seguito di Chernobyl

Al di là delle fondate preoccupazioni sanitarie, cosa ha davvero causato in Italia la disgrazia del 26 aprile 1986 quando esplose il reattore numero due dell’impianto nucleare di Chernobyl? Quali le conseguenze in termini di percezione nella popolazione italiana? Quali quelle sul piano politico, economico e dello sviluppo? Innanzi tutto, nelle primissime ore, a causa della paura della contaminazione ambientale si diverntó diffidenti nei confronti di alimenti quali gli ortaggi. Poi, a cascata, subentrò la diffidenza su tutto ciò che aveva a che fare col nucleare, un sentimento culminato col referendum del 1987 quando i Verdi, una formazione politica vicina alla sinistra moderata, cavalcando l’onda emozionale del grave incidente dell’anno precedente, riuscirono a far esprimere l’80% dei votanti a favore dell’abrogazione di norme che avrebbero facilitato l’attecchimento del programma nucleare italiano. Tutto giusto, almeno così sembrò ai meno informati, ossia la maggioranza della popolazione, se non fosse che durante la campagna per quei referendum i Verdi dimenticarono di raccontare un paio di fondamentali verità agli italiani. Innanzi tutto non fu detto con chiarezza che Chernobyl, quale che fosse stata la decisione referendaria, non era l’unico sito europeo in cui era presente un impianto di produzione di elettricità con energia nucleare: l’Europa pullulava (e pullula) di centrali nucleari. Anzi, si può ben dire che successivamente agli anni ‘80 sono state costruite altre centrali e, dopo il referendum abrogativo italiano, alcune addirittura a ridosso dei nostri confini nazionali con preciso scopo di vendere all’Italia (a caro prezzo) l’energia elettrica che non volevamo più ottenere con l’atomo (NDR: In figura si nota un piccolo riquadro in Slovenia che indica la centrale di Krško, sita soli 130Km da Trieste). Inoltre non fu chiaramente detto che il tipo di centrale esploso a Chernobyl, come tutta la tecnologia dell’impero sovietico di quegli anni (che era sul punto di dissolversi) non era certo l’ultimo grido, soprattutto dal punto di vista della sicurezza intrinseca ossia dell’autospegnimento in caso di malfunzionamento. Anzi, proprio le difficoltà dell’economia dell’URSS sul viale del tramonto, nonostante la intrinseca instabilità dei reattori moderati a grafite, avevano indotto ad allentare le normali procedure di sicurezza dell’impianto di Chernobyl. Dunque non solo non fu detto che la rinuncia al programma nucleare italiano non avrebbe garantito alcuna sicurezza di non contaminazione del territorio nazionale visto il corollario di numerose centrali tutte intorno ad esso, ma neppure fu accennato agli effetti economici e anche ambientali che il ritornare su un piano di produzione energetica basato sui combustibili fossili avrebbe comportato senza tardare a farsi sentire. Ed, infatti, la mancata produzione di energia elettrica da fonte nucleare, che nel 1986 ebbe in Italia un picco pari al 4,5% del totale, ma che negli anni precedenti si attestava generalmente intorno al 3-4%, fu compensata con l’aumento dell’utilizzo di combustibili fossili, in particolare carbone e gas ma anche petrolio e olio combustibile, e con un ulteriore incremento delle importazioni elettriche passate complessivamente da 23 TWh del 1987 a 31 TWh del 1988, in aggiunta a quello già necessario ogni anno a coprire il generale aumento dei consumi, che nel 1987 era stato del 4,9% e nel 1988 del +5,1%. Ma anche più recentemente, secondo uno studio dell’ENEA, i clienti industriali italiani hanno avuto spese energetiche notevolmente superiori alla media delle aziende europee site in stati in cui l’energia elettrica si produce anche col nucleare. Ad esempio nel 2006 per l’Italia tali costi risultarono essere fino a oltre il 40% sopra la media europea. Ad oggi la situazione per i clienti industriali italiani è quella di una spesa maggiore dell’elettricità rispetto alla media europea, surplus che va da un minimo del 15% circa per usi inferiori ai 50 MWh fino a un massimo del 35% circa per impieghi pari a 10 GWh. A tale nocumento economico si é aggiunta la questione dell’inquinamento dovuto a un più massiccio ricorso ai combustibili fossili, con la conseguenza anche di un maggiore concorso al riscaldamento globale per effetto serra.
Tutte cose di cui i Verdi e la sinistra, stranamente, non prospettarono e neppure hanno mai riconosciuto.
Vale, invece, la pena di annotare che l’incidente di Chernobyl, e il conseguente referendum, fu una ghiotta occasione per le aziende petrolifere ed automobilistiche, tutte interessate alla mobilità automobilistica delle persone e al trasporto delle merci su gomma. Tali aziende avrebbero certamente visto il detrimento di parte dei loro profitti se, col programma nucleare italiano, si fosse prodotta elettricità più a basso costo nel nostro paese e vi fosse stato un conseguente maggiore impulso dei trasporti su strada ferrata.
Dal disastro di Chernobyl, incidente che proprio per quanto detto l’INFN ha definito di “scarsa rilevanza per la sicurezza degli impianti moderni (cattivo progetto, norme di sicurezza violate, nessun edificio di contenimento)”, ossia che non era rappresentativo di una pericolosità “a prescindere” del nucleare, sono invece scaturite conseguenze economiche negative per scelte, forse, sapientemente pilotate da chi aveva interesse a che la strategia energetica nazionale rimanesse ancorata all’acquisto e all’utilizzo dei combustibili fossili.
Nel 2010, sulla evidenza di una crisi economica molto profonda (anche a causa della pesante bolletta petrolifera ed elettrica, quest’ultima che paghiamo alle confinanti nazioni produttrici di elettricità dall’atomo da cui acquistiamo energia), il programma nucleare italiano sembrava finalmente riprendersi ma nel 2011, dopo l’incidente occorso a Fukushima, si é determinato un nuovo regalo ai petrolieri e agli industriali del settore petrolifero ed automotive con un altro referendum indetto in tutta fretta, ancora una volta da un partitino vicino alla sinistra moderata (NDR: Si trattò di “Italia dei Valori”), che si adoperò in tale senso prima che si spegnesse la rinnovata ondata popolare anti nucleare, ponendo un secondo veto a un serio programma di indipendenza energetica nazionale.
Ed é amaramente singolare dovere annotare che oggi, quando ancora patiamo le conseguenze di tali scelte sulla politica energetica nazionale, un tema economico strategicamente importantissimo, sia il Movimento dei Verdi che l’Italia dei Valori risultano formazioni oramai assenti dal Parlamento italiano.

2011: Incidente alla centrale di Fukushima

Fonti scientifiche: INFN Pavia – Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Sezione di Pavia)
http://www.pv.infn.it/media/Segreteria/ProblemaEnergetico/Parozzi.pdf