Scritte e cori vergognosi per le Foibe


Stamani si sono tenuti in alcune località italiane manifestazioni antirazziste a seguito dei recenti eventi che a Macerata hanno visto un italiano sparare per rappresaglia a dei migranti turbato dalla notizia di un efferato delitto compiuto da extracomunitari ai danni di una ragazza italiana.
Naturalmente si è trattato di un fatto deprecabile per il quale non si invoca alcuna giustificazione ma certo sembra opportuno comprendere, anzi è necessario individuare, quali sono le vere cause prime e quindi le responsabilità morali dello scatenarsi di un tale atto di cieca violenza.
Una possibile risposta l’ha data proprio a Macerata chi tra i manifestanti, sfruttando la concomitanza con la “giornata del ricordo” dedicata ai martiri delle Foibe (NDR: che ricorre appunto il 10 febbraio), ha connotato politicamente la manifestazione intonando a squarciagola “ma che belle son le Foibe da Trieste in giù” (NDR: sulle note del motivetto della Carrà “Tanti auguri”). Tale deprecabile episodio si é ripetuto a Modena dove é stato esposto uno striscione riportante le frase “Maresciallo siamo con te, meno male che Tito c’è”.
Vergognosamente chiaro il messaggio di violenza e di allusione politica di tali esternazioni di piazza per la sprezzante citazione dei martiri italiani trucidati dal ‘43 al ‘45 dalle squadracce comuniste titine con la sommaria (e spesso infondata) accusa di essere fascisti. E giacché chi é di destra é per pretesa definizione xenofobo, ecco che si spiegano i cori e gli striscioni a favore dell’eccidio degli italiani nelle Foibe.
Il nome di “Foibe” deriva dalla denominazione che nella Venezia Giulia si dà ai grandi inghiottitoi carsici dove furono gettati molti dei corpi delle vittime del comunismo del Maresciallo Tito, il rais juogloslavo filosovietico del secolo scorso.
Si trattò di italiani barbaramente trucidati tra il 1943 e il 1945 (e forse anche dopo) ad opera dei Comitati popolari di liberazione jugoslavi (in pratica i partigiani al di là dell’Adriatico).
Ben 15.000 italiani, e si deve sottolineare che erano italiani prima che fascisti, anzi molti di loro non erano per nulla fascisti, furono barbaramente uccisi nei campi di concentramento comunisti e poi gettati nelle cavità naturali della Venezia Giulia, Istria e Dalmazia.
Ma il reale numero di tali morti non è a tutt’oggi noto e nella sola Foiba di Basovizza é stata ipotizzata la presenza di oltre duemila vittime.
Dopo la debacle del Regio Esercito italiano del settembre 1943, improvvisati tribunali che rispondevano ai partigiani dei Comitati popolari di liberazione jugoslavi, emisero centinaia di condanne a morte. Le vittime furono non solo rappresentanti del regime fascista e dello Stato italiano, ma anche semplici personaggi in vista della comunità italiana del tutto estranei al Partito Fascista, in quanto considerati oppositori politici e quindi potenziali nemici del futuro Stato comunista jugoslavo che s’intendeva creare.
La maggioranza dei condannati fu scaraventata nelle foibe o nelle miniere di bauxite, alcuni mentre erano ancora in vita.
Si trattò di una vera e propria operazione di “pulizia etnica”, termine allora non esistente, ma che rifletteva l’ordine di Tito per cui tutti gli italiani dovevano essere allontanati ad ogni modo e con ogni mezzo dai territori jugoslavi.
Furono poche le persone che riuscirono a salvarsi risalendo dalle foibe. Tra questi Graziano Udovisi, Giovanni Radeticchio e Vittorio Corsi hanno raccontato la loro tragica esperienza a storici e/o emittenti televisive nell’immediatezza del dopoguerra:
“Dopo giorni di dura prigionia, durante i quali fummo spesso selvaggiamente percossi e patimmo la fame, una mattina, prima dell’alba, sentii uno dei nostri aguzzini dire agli altri “facciamo presto, perché si parte subito”. Infatti poco dopo fummo condotti in sei, legati insieme con un unico filo di ferro, oltre a quello che ci teneva avvinte le mani dietro la schiena, in direzione di Arsia. Indossavamo i soli pantaloni e ai piedi avevamo solo le calze. Un chilometro di cammino e ci fermammo ai piedi di una collinetta dove, mediante un filo di ferro, ci fu appeso alle mani legate un masso di almeno 20 k. Fummo sospinti verso l’orlo di una foiba, la cui gola si apriva paurosamente nera. Uno di noi, mezzo istupidito per le sevizie subite, si gettò urlando nel vuoto, di propria iniziativa. Un partigiano allora, in piedi col mitra puntato su di una roccia laterale, c’impose di seguirne l’esempio. Poiché non mi muovevo, mi sparò contro. Ma a questo punto accadde il prodigio: il proiettile anziché ferirmi spezzò il filo di ferro che teneva legata la pietra, cosicché, quando mi gettai nella foiba, il masso era rotolato lontano da me. La cavità aveva una larghezza di circa 10 m. e una profondità di 15 sino la superficie dell’acqua che stagnava sul fondo. Cadendo non toccai fondo e tornato a galla potei nascondermi sotto una roccia. Subito dopo vidi precipitare altri quattro compagni colpiti da raffiche di mitra e percepii le parole “un’altra volta li butteremo di qua, è più comodo”, pronunciate da uno degli assassini. Poco dopo fu gettata nella cavità una bomba che scoppiò sott’acqua schiacciandomi con la pressione dell’aria contro la roccia. Verso sera riuscii ad arrampicarmi per la parete scoscesa e guadagnare la campagna, dove rimasi per quattro giorni e quattro notti consecutive, celato in una buca. Tornato nascostamente al mio paese, per timore di ricadere nelle grinfie dei miei persecutori, fuggii a Pola. E solo allora potei dire di essere veramente salvo.”
Gli italiani che scamparono alle epurazioni e scelsero di rimanere in Jugoslavia per ragioni affettive lo fecero dovendo accettare una vita dimessa, imparare il croato, abbracciare il comunismo e, in una parola, rinunciare a ogni manifestazione di italianità.
Nel dopoguerra, insieme alla cortina di ferro, un lungo silenzio di opportunismo politico scese su tale genocidio di matrice comunista e solo recentemente, in pratica solo dopo la morte di Tito, la disgregazione della Jugoslavia, la glasnost e la caduta del muro di Berlino, si é trovato il coraggio di iniziare a sollevare il velo della storia.
Oggi non c’è più negazione storica di questi scellerati eventi ma se proprio tra le fila di quella parte politica apparentemente dedita alla tolleranza emergono invece estremisti come quelli di stamani inneggianti alle Foibe, il cui dna é fatto invece di intolleranza, odio, sanguinose epurazioni di massa, se proprio a seguito della irresponsabile politica di accoglienza senza freni degli extracomunitari si pongono le basi per tensioni sociali sempre piú stridenti, pur condannando fermamente ogni forma di violenza, non ci si può meravigliare dei fatti di sangue recentemente avvenuti.