I falchi di Stalin (1a parte)


Vanno sicuramente ricordati quei valorosi aviatori, uomini e donne che, durante la Seconda Guerra Mondiale, dovettero affrontare, nei cieli della madrepatria, l’orda aerea hitleriana, in innumerevoli decisivi combattimenti, ala contro ala, equipaggiati, più che di mezzi idonei, di spavaldo coraggio, di incolmabile rancore e di quel particolare orgoglio nazionale, proprio del popolo russo.

Se si mettono a confronto i numeri, relativi ai successi conseguiti dai singoli piloti, tra l’aviazione nazista e quella bolscevica (Erich Hartmann, 352 vittorie, Ivan Košedub, 62), appare subito evidente una netta supremazia della prima. Supremazia, pienamente confermata dal fatto che ben 105 piloti germanici ottennero più di 100 vittorie, tutte a danno dei loro avversari sovietici. E viene da chiedersi il perché di una tale schiacciante superiorità. Si sarebbe portati ad addebitarla agli aerei, al valore umano o ad entrambi i fattori. Ma non fu così. La verità è che la caccia aeronautica dell’Unione Sovietica ebbe una storia e, soprattutto, un impiego bellico, del tutto diversi da quelli tedeschi.
Per avere un’idea dell’agonismo allora dimostrato dai russi, basta citare un episodio che riguarda l’asso Vladimir Lavrinenkov, accreditato di complessivi 15 scontri vittoriosi. Aveva già abbattuto 30 apparecchi nemici quando, durante la battaglia di Orёl, riuscì a crivellare di colpi un superbo “Messerschmitt 109”. Vide il rivale compiere un atterraggio di fortuna, nonostante il mezzo meccanico fosse ormai decisamente fuori uso e, una volta a terra, saltare fuori dalla carlinga, quasi completamente circondata dalle fiamme, cercando riparo in una fossa, protetta da alberi ed arbusti. Dall’alto, continuò a seguire quello che stava accadendo, volando in circolo sulla zona. Si accorse che unità dell’Armata Rossa stavano dirigendosi sul luogo della caduta, dandogli la certezza che il crucco sarebbe stato catturato. Ma tale era la sua rabbia patriottica, che decise di portare fino in fondo il duello prematuramente concluso. Tentò a sua volta la discesa, toccando il suolo a poca distanza dal luogo dove aveva visto nascondersi il tedesco. Si lanciò, con un rapidissimo balzo, al di fuori dell’abitacolo e si diresse con determinazione verso il nascondiglio del suo avversario. Lo trovò, si gettò su di lui con impeto e lo strangolò con le proprie mani. Mentre i soldati dell’Armata Rossa, giunti sul posto, guardavano meravigliati ed attoniti il connazionale, Levrinenkov risalì sull’aereo e decollò fortunosamente, così come era atterrato, andando a riprendere il proprio posto nel contesto della pattuglia.
Se tutto ciò depone a favore della combattività degli uomini e delle donne della caccia russa, occorre tuttavia, per spiegare l’indubbia situazione di inferiorità in cui si vennero a trovare di fronte ai colleghi tedeschi, parlare della loro preparazione, del loro addestramento, in vista della guerra, a partire dalla notte del 21 giugno 1941, quando Hitler diede il via all’Operazione Barbarossa, cioè all’invasione proditoria della Russia. La Germania del III Reich si presentò a quel tragico appuntamento, con 2700 aerei, di cui 775 bombardieri di quota, 310 bombardieri da picchiata, 920 caccia ed altri velivoli, tutti inquadrati in quattro possenti raggruppamenti della “Luftflotten” (Flotta Aerea). Le forze contrapposte dai sovietici erano, paradossalmente, composte da oltre 10.000 aerei, distribuiti in 60 diversi aeroporti disseminati lungo la frontiera. Eppure, bastarono solo 12 ore dall’inizio delle ostilità, perché circa 800 aerei della “Voyenno Vozdušnye-Sily SSSR” (lett. Aeronautica Militare dell’URSS) venissero colpiti a morte, o resi inutilizzabili, sia in volo che durante il decollo, o ancora a terra, da due squadriglie di “Stukas”, i famosi apparecchi da picchiata. Cosa era successo?
La flotta aerea sovietica era reduce dall’esperienza, tutt’altro che positiva, della campagna contro la Finlandia. I suoi velivoli erano decisamente superati, rispetto ai progressi compiuti dagli altri paesi europei ed i piloti non avevano avuto un addestramento sufficiente. Era emerso, ad esempio, che anche sul piano tattico i finlandesi si erano dimostrati superiori. Di conseguenza, i russi erano corsi ai ripari, ma non abbastanza rapidamente, poiché Hitler sferrò il suo attacco di sorpresa e con una tempestività, che non era stata assolutamente prevista da Stalin, il quale aspettava sì un’aggressione nazista, ma molto più tardi. Nella notte tra il 21 ed il 22 giugno, il massimo che poterono fare fu garantire il decollo dei tozzi “Rata”, veterani della guerra civile spagnola e, addirittura, dei loro predecessori, i biplani “Ciata”. Con tali mezzi a disposizione, quei poveri piloti fecero anche troppo. Tanto più che tutti gli aeroporti furono attaccati e, anche se obsoleti, centinaia di aerei danneggiati dovettero essere abbandonati in mano al nemico, che inesorabilmente avanzava.
È da dire che, nei primi mesi di Spagna, dove per la prima volta le due nazioni si videro rivali, i Messerschmitt, che si scontrarono con i Polikarpov I-15 ed i Polikarpov I-16 sovietici, a parità di armamento, si dimostrarono molto meno maneggevoli. In quella circostanza, furono i nazisti a dover trarre i dovuti insegnamenti da quelle prime prove e, sul quel fronte ancora acceso, riuscirono a migliorare le prestazioni dei loro aerei, che finirono per avere il sopravvento. La maneggevolezza, di cui Stalin era stato tanto fiero, appariva l’unico elemento positivo rimasto, mentre saltarono fuori le insufficienze nella potenza di fuoco e nella velocità, due elementi essenziali di un aereo da caccia, la cui funzione è sempre stata quella di sorprendere ed abbattere il nemico. Le alte sfere del Cremlino non tardarono a rendersi conto di quelle manchevolezze, ma era ormai troppo tardi per porvi rimedio. Per loro fortuna, il livello dei loro progettisti e la capacità dell’industria di adeguarsi al necessario ritmo di produzione furono notevolmente alti. Il riscatto dell’aviazione russa iniziò nell’inverno del ’41, quando il gelo bloccò definitivamente l’avanzata germanica. Tra l’altro, gli alleati Americani spedirono a Mosca aerei “Airacobra” e “Tomahawk”, così come fecero i britannici, che inviarono insieme ai velivoli, dei tecnici della RAF (Royal Air Force), per addestrare i piloti all’uso degli “Hurricane” ed alle tecniche di combattimento, delle quali, dopo la Battaglia d’Inghilterra, i figli di Albione erano divenuti indiscussi maestri. I Russi poterono così lavorare tranquillamente nelle loro gigantesche fabbriche, fuori dalla portata dell’offensiva aerea germanica, brevettando, in brevissimo tempo, 30.000 “Yakovlev Yak I”, 15.000 “Lavochkin La-5”, 20.000 “Polikarpov I-16” ed oltre 2000 “Mikoyan-Gurevič MiG-1”. Di certo, nel 1943, ed ancor più nel 1944, la loro produzione aerea raggiunse dei record straordinari.
Al momento dell’aggressione e nei mesi successivi, il compito costante dell’aviazione fu quello di appoggio alle operazioni terrestri. Per questa ragione, tutti i caccia disponibili furono equipaggiati con bombe. Come notarono due tecnici britannici, tali Toliver e Constable, fu proprio per questo motivo che i piloti tedeschi fecero largo bottino, poiché quegli apparecchi, carichi di ordigni, ricevettero l’ordine tassativo di non ingaggiare alcun combattimento aereo. Una tale tattica fece sorgere nei nazisti la convinzione che i cacciatori nemici mancassero di spirito combattivo. Ma non era certamente così. La reazione russa, dopo l’occupazione di Stalingrado, si fece particolarmente attiva. Significativo l’episodio, che vide come protagonista il Sottotenente Vladimir Kokoriev, del 124° Reggimento Caccia, il quale si trovò, suo malgrado, in pieno duello con un velivolo germanico, avendo le due mitragliatrici di bordo inceppate, per un’avaria al sistema di sparo. Senza alcuna esitazione si lanciò contro l’avversario, sfracellandosi con lui al suolo. Anche un’altra leggenda, cioè che la Luftwaffe avesse vita facile sul fronte orientale, fu completamente smentita. Alcune testimonianze di suoi piloti sottolineavano che, molto spesso, le loro formazioni in attacco erano costrette a sopportare scontri con proporzioni di uno a dieci, rispetto alle squadriglie russe. Certo tutto ciò avveniva nell’ultimo periodo del conflitto. All’inizio le cose, come si è visto, erano andate ben diversamente e fu allora che i piloti sovietici dimostrarono, come pochi altri, con quale volontà e, talvolta, con quale disperazione volessero difendere la loro patria invasa. Nel 1941, adottarono il sistema di lanciarsi in picchiata contro i velivoli nemici, dotati di un’elica corazzata, in grado di tranciarne un’ala o addirittura la carlinga. Altri operavano da tergo, distruggendo i timoni e la sezione di coda. In questi sistemi di “arrembaggio”, risultò specialista il tenente Michail Baranov che, in una sola giornata, abbatté al suolo tre avversari, speronandone addirittura un quarto, urtandone le ali con la propria. Baranov concluse la guerra con un bottino di 27 vittorie.
Gli assi della caccia sovietica erano, per la maggior parte, raggruppati tutti nei famosi “Reggimenti della Guardia”. Si trattava di uomini scelti, molto ben preparati, decisamente al di sopra dello standard medio degli altri.