L’ascia votiva di San Sosti


UN ANTICO REPERTO CHE DEVE RITORNARE NEL SUO LUOGO D’ORIGINE.


Il Parco del Pollino è una zona meravigliosa per bellezza e varietà del territorio, compreso tra le province di Potenza, Matera e Cosenza. Proprio nell’area di competenza della provincia calabrese si trova il comune di San Sosti, località ricca di luoghi degni di visita, dalla cascata di “Fea Giovanni” alla Gola del fiume Rosa, a diversi santuari e alla località Casalini della Porta Serra, posta sulla cima della montagna che domina la valle del’Esaro-Rose, che ospita una cittadella fortificata di epoca bizantina in gran parte conservatasi in buone condizioni e dove nel 1846 venne rinvenuta un’ascia votiva di fattura assai pregevole.
Il sito, che nel tempo ha restituito tracce che vanno dalla protostoria fino al medioevo, è ubicato in un area che nell’antichità magno-greca dovette essere molto frequentata, trovandosi lungo il percorso istmico che dal versante jonico portava a quello tirrenico. Artemisia potrebbe coincidere con la città di Artemision menzionata da Ecateo di Mileto – geografo greco vissuto nel VI secolo – quale insediamento enotrio finito sotto l’influenza dell’opulenta città di Sibari.
L’Ascia Votiva di San Sosti è appunto una particolare scure di bronzo, da un’estremità ascia e dall’altra martello, rinvenuta ai Casalini non lontano dai resti dell’antica e misteriosa città di Artemisia (Neolitico medio e recente), nei pressi del Santuario della Madonna del Pettoruto.
Tra il 1857 e il 1860 fu acquistata (non si sa se legittimamente) dal collezionista e orafo romano Alessandro Castellani e nel 1884 fu venduta all’asta presso l’Hotel Drouot di Parigi, dove venne acquistata da Sir Charles Thomas Newton, archeologo e funzionario del Dipartimento delle Antichità del British Museum di Londra, dove è esposta tuttora.
Nel 1852 l’ascia fu raffigurata in un disegno dal vibonese Vito Capialbi, letterato e studioso di archeologia, e su sua segnalazione pubblicata dall’archeologo napoletano Giulio Minervini che ne dette una descrizione sul “Bullettino Archeologico Napoletano” (figura in foto).
All’altezza del foro di inserimento del manico mostra una elaborata decorazione con baccellature, perline e una sagoma stilizzata interpretata come una figura alata raffigurata in posizione frontale, forse una sfinge. L’iscrizione è incisa sulla lama in sette righe con parole in dialetto greco acheo e caratteri dell’alfabeto dorico, uno dei più antichi esempi conosciuti, che la fa risalire al VI secolo a.C..
L’oggetto fu subito ritenuto di grande pregio, e come disse il canonico calabrese Leopoldo Pagano all’indomani della scoperta, “un indizio e un’ombra lontana di quel bello ideale, che i soli Greci sapevano cogliere, inventare, e poi imprimere con l’abilità della facile e dotta mano sulla più ruvida e inerte materia”, e si suppose che la manifattura dell’oggetto fosse riconducibile alle “fabbriche” della ricca città di Sibari, ancora oggi indicata dal British Museum come luogo di produzione.

La scure non fu di guerra, ma un voto che gli abitanti di Artemisia offrirono nel tempio alla dea Hera, e questa sua natura si evince dall’inidoneità della lama al taglio. L’iscrizione sulla scure lascia parlare lo stesso oggetto, evocando dopo millenni la suggestiva atmosfera del tempio che dovette accoglierlo:
“Sono sacra proprietà di Hera che si venera nella pianura: Kyniskos il macellaio mi ha dedicato, come decima dei suoi lavori”. Hera della pianura è quella Hera Lacinia venerata nella Kroton magnogreca; ignoto il Kyniskos donante, sul cui ‘mestiere’ ci sono discrepanze di significato: chi dice macellaio, chi un pugile già vincitore di un’olimpiade nel VI secolo a.C.
La Calabria invoca da tempo la restituzione dello splendido reperto magno-greco ritenendone illegittime la vendita e l’esportazione ma ogni proposta è stata rispedita al mittente.
Oltre al danno, anche la beffa: sottratta indebitamente al suo luogo di origine, l’ascia fu a lungo esposta al British Museum con un’etichetta errata che riportava la provenienza da “Casilini di S. Agata”. Grazie all’intervento dell’archeologa Paola Zancani Montuoro negli anni ’60, la scritta venne corretta in “Casalini di S. Sosti”. Tuttavia, fino al 2008, rimase erroneamente indicata la Campania come regione di provenienza, anziché la Calabria, errore finalmente riparato grazie alla segnalazione dell’avvocato sansostese Vincenzo De Luca. Nello stesso anno il presidente del Parco del Pollino e il Sindaco di San Sosti hanno avanzato al British Museum una richiesta di restituzione del reperto. È tempo che questo tesoro ritorni in Italia.

fonti:
Associazione Culturale Mistery Hunters
isentieridelpollino.it
Fb: Stato Magna Grecia – Due Sicilie