Melting Pot, foreign everywhere


Artisti Italiani e del Resto del mondo in Italia.


In attesa della grande stagione della 60a Biennale dell’Arte di Venezia, incentrata sul tema “Stranieri ovunque – Foreigners Everywhere” e alla luce del lavoro a ciò ispirato presentato a Venezia da 44 artisti de I Percorsi dell’Arte “Via Lattea 2: in viaggio verso Orione”, I Percorsi dell’Arte di Doriana Della Volta promuovono un’ulteriore iniziativa sull’arte in Italia alla luce della grande composizione interculturale in corso dovuta alle migrazioni e alla fusione di usi e costumi. L’iniziativa, denominata “Melting Pot”, consisterà in una selezione di artisti italiani e di altra cultura e/o nazionalità, che andranno a formare un catalogo di opere di artisti nativi italiani, non nativi e di seconda generazione. Tali artisti e opere presenti nel catalogo saranno poi proposti a decine di amministrazioni locali e associazioni al fine di effettuare mostre ed esposizioni in tutt’Italia, con annesse conferenze e performance contestuali sul tema della fusione artistica interculturale.
Melting Pot, crogiuolo o “contenitore per la fusione”, è una formula che scandisce un concetto proprio delle aree dove si verificano o si sono verificati incontri di culture e civiltà diverse dovuti alle migrazioni. Il primo ambito in cui è stata usata questa forma linguistica è quello nordamericano nel quale, nel corso soprattutto del XIX e XX secolo si sono concentrate persone, lingue e usanze provenienti da tutti i punti cardinali, e che ha trovato in New York la città emblematica.
Non vi è segnale più forte d’integrazione della partecipazione alle Arti. Il melting pot nordamericano, la fusione interculturale, è stato il vero crogiuolo della nuova arte Contemporanea Umana: non a caso, la trazione è stata anglo-americana, specificamente newyorkese e londinese. I casi sono moltissimi; ma alcuni emblematici vanno citati per fare comprendere come la fusione interculturale sia stata proficua per un salto di creatività dell’umanità. Vediamoli.
Simbolo del melting pot newyorkese sono certamente i due casi di Andy Warhol (1928-1987) e di Jean Michel Basquiat (1960-1988). Prima di tutto i loro nomi, che già la dicono lunga sul meccanismo d’integrazione culturale avvenuto: Warhol è l’anglicizzazione del cognome slavo, slovacco, Warhola dei genitori del piccolo Andy, quando raggiunsero l’America da migranti nel primissimo scorcio del XX secolo, facendolo nascere già a Pittsburgh, negli Stati Uniti; molti anni dopo, nasce invece a Brooklyn di New York Basquiat, da haitiani francofoni epigoni di un’antica popolazione che, come tutti i neri delle Americhe, fu trasferita forzatamente dall’Africa per corrispondere in schiavitù alle esigenze dell’economia in forte sviluppo.
Un altro caso evidente è quello di Anish Kapoor, scultore potremmo dire britannico, però di origine indiana ed ebrea irachena. Nato a Mumbai, è cresciuto a Londra, oggi la sua residenza preferita è Venezia, a Palazzo Manfrin, di fronte all’accesso del primo ghetto ebraico della storia. Il dilagare dell’astrattismo nel Secolo Breve ha creato tre fenomeni prevalenti a livello estetico globale: 1. l’allontanarsi del fenomeno dell’arte pittorica e scultorea dalla rappresentazione, occupata sempre di più da fotografia statica e cinetica; 2. il distacco conseguente dalla produzione artistica coeva da intere civiltà del pianeta, in parte anche occidentali; 3. il recupero contemporaneo appunto di forme di arte etnica e fino allora considerata primitiva propria del grande continente africano (bantu e animista) e del continente australiano (arte aborigena) e di altre forme caratterizzate da diversi criteri di produzione e fruizione (arte cinese e giapponese).
Il catalogo de I Percorsi dell’Arte farà il punto su questo mondo in subbuglio anche nell’arte, richiamando testimoni artistici provenienti da tutte le culture del mondo a confrontare la loro opera con quella dell’Italia di oggi e degli eclettici artisti italiani. L’Italia è patria dell’arte occidentale, col suo Rinascimento e anche il suo Barocco, poi contaminato dalla grande spallata francese (l’impressionismo soprattutto con la bussola Monet) e anglo-americana (espressionismo americano di Pollock, Rothko, De Koonig, e Pop Art di Warhol, Lichtenstein, Haring, e la Scuola di Londra, con tra gli altri Bacon, Freud e Jenny Saville), senza dimenticare il cuore dell’Europa svizzera con Dubuffet e l’Art Brut, austro-tedesca e nordica dei Klimt, dei Schiele, dei Munch e dei Nolde, dei Grosz e, oggi dei Burgert e dei Kiefer.

Vediamo ora in termini sociostorici da dove viene questa stagione rivoluzionaria attuale. Non a caso, e per diversi motivi spesso sorprendenti, è stato un letterato ebreo a coniare la locuzione “melting pot” nel 1909: Israel Zangwill, nel suo lavoro teatrale dal medesimo titolo. Il popolo ebraico, soprattutto a causa delle diaspore, ha secoli di esperienza nell’incontro con culture diverse ed è uso da millenni a fondersi con popolazioni locali. Quasi totalmente apolide fino al secondo dopoguerra, cioè alla costituzione dello Stato di Israele, è stato co-produttore di forme culturali miste in tutti gli ambienti in cui trovava albergo. In tal modo, il suo apporto alla cultura occidentale è stato diffuso, germinale e vigorosissimo, fino a divenire anche riferimento in termini di potere economico e intellettuale. La civiltà giudaico-cristiana si presenta storicamente come elevatissima, capace di donare alle popolazioni che la adottano infrastrutture di servizio e di promozione sociale come nessun’altra. La grande qualità della vita diffusa nell’Occidente giudaico-cristiano è elemento di attrazione per popoli di tutto il mondo. Mentre all’epoca di Zangwill il grande respiro dell’economia nordamericana e specificamente statunitense attirava braccia e cervelli da tutto il mondo per la costruzione di quel fenomeno di clamoroso successo che è la società americana, oggi la migrazione avviene su un tessuto economico quasi già completamente sviluppato. Quindi le logiche di integrazione e le opportunità sono molto diverse. Rimane che, oggi, nell’Occidente in genere, si può usufruire di servizi di altissimo livello e di gradi di libertà difficilmente riscontrabili nel resto del mondo e nella storia. La densità umana dei Paesi occidentali consente di assorbire flussi migratori ancora importanti sulle dimensioni di fatto.
Va considerato quindi che l’attuale Melting Pot è molto differente da quello di Zangwill: non un’integrazione per costruire insieme un fenomeno socio-geo-economico, ma la ricerca di un ambiente migliore per fare scorrere la vita quotidiana di soggetti fisici e famiglie. Quindi molto hanno dovuto fare i Paesi di destino dei flussi migratori attuali in termini di accoglienza e conseguente riorganizzazione societaria.
I flussi migratori attuali sono dovuti alla Quadrivoluzione in corso, un’era pseudo-diluviana caratterizzata dai quattro fenomeni sincroni: 1. Completamento della globalizzazione economica; 2. Avvento della società di Grande Massa con 8 miliardi d’individui e oltre 40 miliardi di realtà associative di vario tipo, dalle aziende economiche alle associazioni e unioni di scopo; 3. Ipermediatizzazione, con oltre 10 miliardi di terminali audiovisivi (individuali e societari), come sono i telefoni cellulari; 4. emersione delle donne o, meglio, dell’antropologia femminile in tutte le società umane.
Non si può e non si deve considerare il fenomeno attuale del melting pot come una cosa negativa e sconveniente da cui difendersi. Esso è naturale, dati gli effetti di tre elementi della Quadrivoluzione: la eccezionale proliferazione di strumenti di comunicazione mondiali e particolarmente semplici da utilizzare (ipermediatizzazione), ha messo tutto il mondo e potenzialmente ciascuno a conoscenza di dove esiste le migliore qualità dell’esistenza per le persone singole e le loro società (famiglie, aziende, ecc.); l’antropocene ha creato bacini di grande sperequazione tra aree socio-geografiche in termini di popolazione, di reddito pro-capite e qualità della vita; l’andamento dell’economia mondiale, con la maturazione della globalizzazione, ha reso più evidente la protesta di aree dalla globale economia industriale che accusano di essere sotto remunerate, i cosiddetti Paesi primari, cioè ad economia soprattutto estrattiva, ma anche agricola e allevamento, nell’ambito del sistema del valore globale soprattutto di trasformazione industriale (80% del PIL mondiale). È nei fatti quasi decaduta in quest’epoca la strategia di dotare le aree primarie sofferenti di strutture di trasformazione industriale, secondarie cioè, che risultino efficienti rispetto all’implacabile mercato unico mondiale. Dunque, ai Paesi primari, resta solo la leva dei prezzi, che ovviamente vede la resistenza dei leader industriali dei vari settori, ormai tutti globalizzati, loro clienti. Ed ecco, con l’estrema difficoltà nello sviluppo locale di un modello economico sostenibile, svilupparsi la tensione di quei popoli per il cambiamento di territorio, con la migrazione oppure verso forme di reazione interna ed esterna tramite conflitti e le rivoluzioni politiche locali.
I flussi migratori, oggi irrefrenabili e spesso mal organizzati con esiti tragici (ad esempio i “barconi” trans mediterranei), verso le aree più esposte dell’Occidente benestante (l’Europa e, ivi, l’Italia) hanno portato a veri e propri rivolgimenti sociali in Paesi e città: tali rivolgimenti sono stati quasi sempre pacifici. Tra i casi rappresentativi di questo andamento c’è, ad esempio, la Provincia e città di Reggio Emilia, ove la popolazione è raddoppiata dell’inizio del fenomeno, cioè dai primi anni ’90 e ha visto e vede ancora sopraggiungere persone di mille culture differenti, come in misura minore è successo un poco ovunque. Africani ed asiatici, europei dell’est e sudamericani, con tutta la loro intrinseca variabilità di usi e costumi oggi affollano l’Occidente, senza poter contare su un’esperienza di condivisione di un processo di costruzione economica, come fu nel primo grande melting pot, quello americano. Oggi la offerta del territorio potrà essere soltanto di lavoro a vari livelli, con conseguente diritto ai servizi dei residenti, e di partecipazione culturale.
Ed ecco allora l’importanza dell’iniziativa de I Percorsi dell’Arte: fare dialogare le culture spesso disordinatamente congiunte attraverso le Arti visive.