Cronache di un povero Paese


Questo davvero non avrei voluto scriverlo. Le dita quasi si rifiutano di toccare i tasti, tuttavia è il destino del giornalista quello di assaggiare la realtà con i denti lunghi, cercando di evitare i sapori più nefandi. È uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo, come diceva Clint Eastwood in “Per un pugno di dollari”.
Sto parlando della nuova tendenza che in questi giorni ha invaso i giornali e le TV di tutta l’Italia: il nuovo terrore che affligge le famiglie italiane da nord a sud, il ritorno del flagello che ha demonizzato l’umanità per secoli e che sembrava debellato dalla “new wave” del ‘politically correct’. L’avrete capito, mi riferisco al nuovo incubo sociale: il patriarcato!
Già a solo nominarlo vi tremano i polsi, lo so. Tuttavia solo affrontandole di petto le situazioni scabrose possono essere esorcizzate. E allora avanti, lancia in resta e combattiamo anche questo nuovo flagello che tanto duole alla democrazia e alla parità di genere.
La sorella della compianta Giulia Cecchettin sull’onda emozionale del lutto famigliare ha sdoganato questa parola e tutto il mondo delle sinistre disunite si è accorto che vecchi stereotipi come il padre padrone, l’albero degli zoccoli, le zoccole sotto l’albero ma con il patriarca pappone alle spalle, e via delirando… non erano per nulla i demoni sopiti che si credeva, anzi, erano rimasti ben svegli e in tutto il tempo che va dal dominio degli Etruschi ad oggi non hanno mai cessato di latrare malignamente contro le donne con metodi di una violenza spaventosa.
È incredibile: la sera prima questa ragazza in lacrime se la prendeva dai teleschermi contro la civiltà patriarcale che uccide le donne e il mattino successivo la parola patriarcato aveva invaso il pianeta, o almeno quel pezzo di pianeta che contiene il 95% delle bellezze artistiche dell’intero orbe terracqueo. Le femministe per prime a sfilare con striscioni (di giorno) e con fiaccole (di sera) ululando contro i patriarchi felloni, talvolta anche lanciando ordigni incendiari contro la sede di organizzazioni di tutela della famiglia tradizionale (come Pro Vita e Famiglia). A seguire si sono gettati a pesce i politici, prima di tutti la futura ex-segretaria del Piddì, Elly Schlein, anche lei a lanciare anatemi in schleinese stretto, lingua più ostica del calabrese estremo, mettendo alla prova i cronisti parlamentari i quali si stanno chiedendo in quale categoria siano da annoverare le parole della migliore cliente degli armocromisti: nel 50% che non si capisce o nel 50% che è sbagliato.
Fatto sta che nelle ultime settimane il patriarcato ha superato come percentuale di share sia la guerra in Ucraina, di cui ormai non parlano più nemmeno Putin e Zelensky, sia la recente guerra tra Israele e Hamas, che pure come guerra ‘fresca’ faceva un’audience da paura.
Il nostro è proprio un Paese strano: si grida allo scandalo e contro il femminicidio a seguito di una fatto di cronaca efferato tacciando il patriarcato come causa immanente, però quando Saman è stata ammazzata dallo zio su ordine del padre e il tacito (pare) consenso della madre nessuno ha fatto cortei in sua memoria. Eppure, guarda un po’, in quel caso il patriarcato c’era eccome!
Adesso cosa accadrà? Pronostico facile: Roma è stata sonoramente silurata alle votazioni per Expo 2030, siamo vicini alle feste e l’assassino di Giulia sta per vuotare il sacco, quindi i Tg, i talk show e i vari programmi per casalinghe isteriche si divideranno più o meno equamente tra le morbosità di chi pretenderebbe di conoscere anche la misura dei calzini di Filippo, chi andrà alla ricerca del regalo più adatto a un mentecatto che sferra pugni agli insegnanti nella speranza di farlo diventare un agnellino e chi intervisterà il fantasma della Sora Lella per capire cosa non ha funzionato, al di là delle ovvie bustarelle (o case ai Carabi) elargite dagli emiri sauditi con sagace magnanimità a europei e americani dal tradimento facile. Intendiamoci: 119 voti su 165 non è una normale elezione, è un plebiscito bulgaro. E i 29 voti a Busan (altra città dell’assurdo) contro i 19 per la città dei Cesari, dei Papi, e poi di Rugantino, Sordi e Proietti non fanno che aumentare il bruciore dello schiaffo. L’ambasciatore Giampiero Massolo è stato l’unico (finora) ad alzare i toni: “…non critico, non accuso, non ho prove, ma la deriva mercantile riguarda i governi e talvolta riguarda anche gli individui”. Anche noi non abbiamo prove, ma ci torna alla mente il famoso detto di Andreotti: a pensare male si fa peccato, ma il più delle volte si indovina.
E dire che è semplice capire cosa ha dirottato i voti di molti su una analcolica Metropoli nel deserto che in verità non avrebbe molto da offrire anche a Lawrence d’Arabia. Basta andare in giro per la nostra Capitale, ma non con gli occhi foderati di prosciutto pensando – come diceva la Meloni nello spot a favore della candidatura romana – che Roma sia la città dove i sogni si realizzano. Basta guardare gli autobus che prendono fuoco per magia, i cumuli di immondizie che arrivano al primo piano dei palazzi, le stazioni della metro eternamente chiuse, i bivacchi di barboni e clandestini negli atrî della stazione Termini e le famiglie di cinghiali che passeggiano allegramente per le vie del centro.
E questa sarebbe una città degna dell’Esposizione Universale? Di quel momento topico in cui ciascun Paese mette in mostra il meglio di sé e della sua produzione? Cosa metteremmo in mostra noi? Il papa con un cartello al collo “La proprietà è un furto” seduto sugli elenchi degli immobili su cui il Vaticano non paga l’Imu?
Ma per piacere…