Chitarra Classica – L’intervista a Frédéric Zigante


Fra i chitarristi della sua generazione Frédéric Zigante è conosciuto per la sua attività poliedrica, che coniuga ricerca, concertismo, impegno discografico e didattico, sempre lontano dai luoghi comuni attribuiti alla chitarra. Nato in Francia nel 1961, cresciuto a Torino, si è formato con Alirio Diaz, Alexandre Lagoya e Ruggero Chiesa, diplomandosi presso il Conservatorio di Milano. Ha studiato anche liuto e basso continuo con Massimo Lonardi e con la celebre liutista argentina Evangelina Mascardi con la quale suona anche in duo. Ha iniziato giovanissimo una attività concertistica internazionale (Gran Bretagna Ungheria, Grecia, Spagna, Germania, Francia, Svizzera, Giappone, Olanda, Norvegia Cina, Polonia, Malesia, Slovenia, Singapore, a parte l’Italia) che lo ha portato ad esibirsi in sale quali la Suntory Hall di Tokyo e il Concertgebouw di Amsterdam. Ad una intensa attività discografica (22 compact disc per le etichette Frequenz, Arts, Stradivarius, Adda, Naxos e Brilliant) ha affiancato le registrazioni radiofoniche per la BBC, Radio France, Radio Suisse Romande e la Rai. I suoi dischi comprendono l’integrale delle musiche originali per chitarra sola di Niccolò Paganini, l’integrale delle opere per liuto di Johann Sebastian Bach, due integrali delle opere per chitarra di Heitor Villa-lobos (1994 Stradivarius-2011 Brilliant) e le integrali per chitarra di Joaquín Turina e Federico Mompou.
Frédéric Zigante
Specialista del repertorio del primo Ottocento – che suona sovente su strumenti d’epoca – ha compiuto ricerche sulla prassi esecutiva e lo stile, che si sono tradotte sia in diversi studi ed articoli, sia nelle registrazioni dell’integrale per chitarra sola di Paganini (4 Cd), de Le Rossiniane di Mauro Giuliani (2 Cd), delle opere per voce e chitarra di Ludwig Spohr e di lavori inediti di Napoléon Coste.
Non meno vivo l’interesse verso gli sviluppi della chitarra del Novecento, con prime esecuzioni assolute (Concerto per chitarra e archi di Boris Asafiev, Concertino pour guitare et orchestre, Ballade, Passacaille di Alexandre Tansman) e prime esecuzioni italiane (Poèmes de la mort di Frank Martin, Hika di Leo Brouwer, Electric counterpoint di Steve Reich).

Si deve a lui la riscoperta del Concertino pour guitare et orchestre di Alexandre Tansman, opera del 1945 che ha suonato in prima assoluta nel 1995 e di cui ha curato in seguito la prima registrazione discografica.

Ha registrato, due volte nel 1994 e nel 2011, l’integrale delle opere per chitarra di Villa-Lobos, compiendo per la prima volta un attento riscontro sui manoscritti. Proprio questa attività di ricerca è all’origine dell’incarico conferitogli dalle Éditions Max Eschig di Parigi per la realizzazione dell’edizione critica dell’opera omnia per chitarra di Villa Lobos. Nel lavoro preparatorio sulle fonti autografe Frédéric Zigante ha portato alla luce un brano del tutto sconosciuto dell’autore brasiliano, la Valse-Choro, concepita per una primitiva versione della Suite populaire brésilienne.

Raggiunta la maturità artistica, ha dedicato molto tempo a sviluppare la sua attività di ricerca sulla letteratura originale per chitarra: ha pubblicato una quarantina di volumi con le Éditions Max Eschig (Hal Leonard), Ricordi, Schott et Bèrben. Dirige presso Eschig la collana The best of…. con 10 volumi monografici usciti fino a oggi e dedicati a Tárrega, Sor, Giuliani, Paganini, Carulli, Villa-Lobos, Tansman, Pujol, Brouwer e Rodrigo. Sempre per Eschig dirige la Guitar Library (con una importante Antologie de la musique française du XXème siècle) e la versione per chitarra della collana Signature per la quale ha pubblicato l’edizione critica delle opere complete per chitarra sola di Heitor Villa-Lobos (in 4 volumi) e delle Études simples di Leo Brouwer. Per questa serie sta attualmente pubblicando l’edizione criica delle opere per chitarra di Alexandre Tansman. Per le edizioni Bèrben dirige la Collection Ida Presti-Alexandre Lagoya (10 volumi pubblicati). Il suo lavoro editoriale è caratterizzato da un approccio scientifico del testo musicale.

All’attività concertistica e di ricerca ha sempre affiancato quella didattica che lo appassiona particolarmente: vincitore di concorso a cattedre per lo Stato italiano nel 1994 è diventato titolare al Conservatorio «Giuseppe Tartini» di Trieste, rimanendovi per 14 anni. In seguito ha insegnato un decennio al Conservatorio «Antonio Vivaldi» di Alessandria. Attualmente insegna al Conservatorio «Giuseppe Verdi» di Milano. Tiene numerose masterclass in Italia e in Europa ed è stato invitato a far parte delle giurie dei più prestigiosi concorsi di interpretazione.

Frédéric Zigante è membro del Comitato Scientifico della Fondazione Cecilia Gilardi fondazione che si occupa dell’erogazione di borse di studio a favore di giovani di talento in discipline scientifiche, umanistiche e artistiche.
È inoltre direttore artistico del Concorso Internazionale di Composizione per chitarra “Michele Pittaluga” di Alessandria e, dal 2020, del Convegno Internazionale di Chitarra che si svolge al Conservatorio di Milano.


W.M. : Benvenuto sul ns. spazio, Lei rappresenta uno dei massimi esponenti della chitarra in Italia, nota è la Sua attività concertistica, didattica, di revisore di opere importanti della letteratura della chitarra ed altro. Spesso è invitato a presiedere ad importanti concorsi nazionali ed internazionali.
Avrà tante cose da raccontarci, come consueto, inizierò a chiederLe come è nata la passione per la musica e la chitarra.

F.Z.: la musica dal vivo è sempre stata presente nella mia famiglia in quanto mio padre aveva studiato pianoforte e aveva diverse opere da concerto in repertorio. Verso i sei anni ho iniziato a studiare pianoforte che ho proseguito per quattro anni, poi quando la mia famiglia si è trasferita in Italia invece di trovare un nuovo insegnante di pianoforte ho chiesto di passare alla chitarra: siamo nel 1971.

W.M.: Ha studiato con Alirio Díaz, Alexandre Lagoya e Ruggero Chiesa, può tracciarci un ricordo delle loro figure e di quanto abbiano contribuito alla Sua formazione artistica?

F.Z.: Ho avuto anche un ottimo e appassionato maestro per la formazione di base, Bruno Mattioli: ha il merito di avermi dato una buona impostazione tecnica e di avermi trasmesso una grande passione per lo studio della chitarra.
Alirio Díaz e Alexandre Lagoya furono due concertisti famosissimi ed erano sempre sul palcoscenico: da loro ho imparato moltissimo appunto sull’arte concertistica e ho ereditato delle risorse che poi mi hanno aiutato tantissimo negli anni. Con Ruggero Chiesa invece è stato un approccio più rivolto alla consapevolezza della musica nella sua costruzione, della natura dello stile. Nello stesso periodo frequentavo l’università studiando con Giorgio Pestelli. Contemporaneamente ho studiato anche composizione con un anziano maestro, Carlo Pinelli, un grande intellettuale torinese, che era stato allievo di Giorgio Federico Ghedini. L’influenza di questi tre figure mi ha portato a guardare sempre di più la musica al di là dello strumento. 

W.M.: Successivamente ha intrapreso lo studio del liuto e del basso continuo con Massimo Leonardi. Ci racconta? Poi a seguire con la celebre liutista argentina Evangelina Mascardi con la quale suona anche in duo…

F.Z.: Lo studio con Massimo Leonardi, che è un mio caro amico, è stato occasionale. Il desiderio di suonare musica antica l’ho sempre avuto fin da adolescente ma sono sempre stato consapevole che con la chitarra classica modello Torres il discorso aveva dei limiti importanti. Gli unici due autori che avevo portato in pubblico sono stati Bach e Dowland. In tutti gli altri autori mi sembrava che la componente timbrica originale si perdeva irrimediabilmente suonando sulla chitarra classica e la musica ne risentiva.
Era evidente che il passo successivo per avvicinarsi alla musica antica fosse suonare uno strumento antico ed in questo mi è stata complice Evangelina Mascardi che ho conosciuto ad Alessandria in quanto era diventata mia collega al conservatorio dove era stata aperta una nuova classe di liuto.
L’idea del duo di liuti è poi nata e cresciuta a partire dalla prima pandemia quando Evangelina mi chiese di registrare con lei un video con tre brani di Vincenzo Galilei.
L’anno scorso ho anche partecipato ad un disco di Evangelina dedicato alla musica di Orlando di Lasso che uscirà in settembre. Lassus (vedi nota) non ha scritto nulla per liuto ma è stato amatissimo dai liutisti suoi contemporanei che lo trascrivevano, lo adattavano, lo parafrasavano in mille formule, un po’ come fu Rossini per i chitarristi del primo Ottocento.

W.M.: La Sua poliedricità l’ha portata a specializzarsi nel repertorio del primo Ottocento 800 e successivamente in quello del Novecento. Apprendo dalla Sua biografia che ha utilizzato a volte strumenti dell’epoca. Ci dice con quale criterio ha fatto la scelta dello strumento più adeguato?

F.Z.: Il mio primo criterio è che comunque lo strumento deve piacermi e devo suonarlo con agio, la coerenza con il repertorio che si sta suonando è ovviamente un elemento importante, ma in molti casi lo strumento moderno non impedisce di avere un risultato artistico convincente. Secondo me poi alcuni autori, Sor o Villa-Lobos, erano dei visionari che scrivevano musica che andava ben al di là delle possibilità degli strumenti che avevano in mano.

W.M.: L’attività didattica è parte fondamentale della Sua professione, come vede oggi la preparazione dei giovani chitarristi?

F.Z.: Come in tutte le generazioni ci sono quelli più preparati e quelli meno preparati, non c’è niente di particolare da dire su oggi. Certo l’idea un po’ facilona che c’è oggi del successo attraverso un uso mirato dei social media non so fino a che punto sia compatibile con la formazione di un bagaglio professionale che possa accompagnarti fino alla fine della carriera. Ma questo non è più di tanto un argomento di competenza di un insegnante il quale secondo me deve trasmettere soprattutto la passione per lo studio e per l’approfondimento. Tutto il resto si svilupperà da solo coerentemente con il contesto socioculturale e con la personalità dello studente. 

W.M.: Crede che la metodologia didattica dell’Ottocento sia ancora insostituibile per la formazione del chitarrista del domani?

F.Z.: Senza dubbio è indispensabile. Il problema è che la didattica degli autori la conoscono in pochissimi. Molti conoscono i pezzi con finalità didattiche, ma i pezzi senza le spiegazioni, non ci dicono nulla di significativo. Chi sa dirmi cosa dice Carcassi a proposito del pollice della mano destra nel suo Metodo op. 59? Dice di adagiare il pollice sulla corda accanto dopo aver suonato: sembra un dettaglio, ma se si prova a farlo davvero si scopre un modo di utilizzare la mano destra stabilizzandola che può rivelarsi efficacissimo, specie in assenza dell’appoggio del mignolo sulla tavola.
Se si fa Ottocento, per studiare o per suonare opere da concerto occorre leggere con molta attenzione i metodi e i trattati dell’epoca cosa che pochissimi fanno e inoltre nella maggioranza dei casi consiglierei di utilizzare i testi originali e non delle revisioni o degli ammodernamenti del tutto ingiustificati.

W.M.: Quali sono i Suoi prossimi progetti?

F.Z.: Per I dischi ho già accennato al progetto con Evangelina Mascardi su Orlando di Lasso che uscirà in settembre per Musique en Wallonie. Poi ho registrato tre arie di Puccini arrangiate da me per chitarra e voce con il tenore Jonathan Tetelman per un progetto Deutches Grammophon.
Per quanto riguarda i libri ho appena consegnato una nuova versione dei 12 studi di Villa Lobos: non una nuova edizione critica ma un’edizione a carattere didattico: la diteggiatura sarà mia e non più quella originale di Villa-Lobos, sovente scomoda. Ogni studio sarà accompagnato da una scheda didattica con dei consigli tecnici e musicali per affrontarli. È lo stesso schema che ho utilizzato nella pubblicazione degli studi di Leo Brouwer.
Naturalmente continuerò a lavorare sull’edizione critica delle opere di Alexandre Tansman, sono già usciti due volumi (Vol.1 Hommages e Vol. 2 Suites) e quest’anno prevedo di terminare il terzo volume che sarà dedicato alle Variations sur un thème de Scriabin. Poi uscirà un nuovo volume della serie the Best off dedicato a Dionisio Aguado.
Infine ho preparato una nuova edizione della English Suite opera 31 di John Duarte che avrà una veste grafica migliore e la correzione di alcuni punti equivoci nelle precedenti edizioni. 

W.M. Che strumenti utilizza per i Suoi concerti? Ha qualche liutaio di riferimento?

F.Z. :Nel passato ho suonato strumenti di José Ramirez III, Masaru Kohno, Ignacio Fleta e Daniel Friederich. Sono strumenti grandi che si svilupparono a partire dagli anni ’60 e venivano suonati dai più importanti chitarristi. Ma già all’epoca non ero del tutto convinto dei risultati ottenibili con questi strumenti, prestanti ed affidabili, ma non sempre flessibili. Ho incominciato ad escludere progressivamente il cedro nella tavola armonica e infatti, delle tre Ramirez che ho posseduto la mia preferita aveva una tavola in abete. La chitarra che ho suonato di più è stata una Masaru Kohno mod. 50 del 1981, tavola di abete, per molti anni mi è sembrato che assecondasse la mia esigenza di un prolungamento del suono che non trovavo in altre chitarre. Ho anche conosciuto personalmente Kohno e ad ogni incontro mi aveva preparato una nuova chitarra, ma poi si facevano confronti con quella del 1981 e lui concludeva sempre che era meglio che tenessi quella. Poi ho scoperto strumenti costruiti tra la fine dell’800 e i primi anni 40 del ‘900: trovando una particolare affinità con il lavoro dei Simplicio e con i molti chi si ispiravano al loro lavoro.
Ora suono da diverso tempo con una Luigi Locatto e ne sono molto soddisfatto. È una chitarra che ha dei suoni segreti e misteriosi se si è capaci a tirarli fuori, sono i Suoni Notturni evocati da Goffredo Petrassi nell’omonimo brano. Per il liuto suono strumenti di Stephen Murphy, Lars Johnson, Cezar Mateus e una bellissima vihuela di Francisco Hervas. Tutti i chitarristi dovrebbero possedere una vihuela: la storia della letteratura per chitarra inizia proprio con lei.

Penso anche che sarebbe necessario fare più ricerca sulle corde di materiali sintetici: l’idea di una “muta” di sei corde è una semplificazione, se vogliamo, grossolana che sicuramente commercialmente funziona ma sul piano pratico spesso avvilisce strumenti di pregio. Penso che un giorno arriveremo alla situazione che si trova oggi nel mondo degli strumenti antichi e le loro copie: si hanno a disposizione diversi materiali con tutti i calibri e a seconda del risultato che si vuol ottenere si possono fare molte combinazioni, non solo basate sul calcolo della tensione. Nei cori di un liuto a volte si usano anche due corde di materiali differenti per creare combinazioni timbriche particolari. Savarez è un produttore che è già su questa via e ha una offerta di mute molto variegata, con combinazioni di materiali diversi molto interessanti.

W.M.: Siamo giunti al termine di questa intervista, La ringrazio a nome di tutti i lettori.

Nota:
Roland de Lassus, o Roland de Lattre, noto in Italia come Orlando di Lasso (Mons, 1532 – Monaco di Baviera, 14 giugno 1594), è stato un compositore fiammingo.

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Foto di Damiano Rosá e Roberto Minarda (gentilmente concesse dal Mº Zigante).