Il posto della geopolitica nei conflitti oggi


Una filosofia ragionevole intende la natura degli scatenamenti antropologici di ostilità, tra cui le cosiddette due guerre mondiali, come fenomeni che coinvolgono l’intera umanità.
Dove scatta l’errore logico, imperdonabile ai filosofi fini, è quando ci si lascia trasportare inconsapevolmente dalla semantica ambigua della radice sostantivale (“mond-iale”) o della parola “mondo”. Che in realtà è soggetta a molte accezioni di tipo geografico (ad esempio, il mappamondo), demografico (il mondo popolare), letterario (“mondo cane”), morale (il mondo e l’immondo), biologico (il mondo della specie umana, l’ambiente), astronomico (mondo come pianeta) e così avanti su molti altri piani.
Quando si parla di guerra, siamo abituati dalla storia a considerare il gioco di forze sul campo fisico-geografico: e la nostra coscienza è rimasta lì, scioccata dagli ultimi casi, cioè da quelli visti dai tempi delle battaglie napoleoniche alle grandi manovre di forze sempre più tecnologiche della Seconda Guerra appunto mondiale.
Poi, è arrivato il deterrente estremo (le armi di distruzione di massa, e Sua Eccellenza l’ordigno nucleare) e il consolidamento strategico di un altro principio: guerra sì, e ci misuriamo, ma dopo Sansone al tempio, nessuno aveva più pensato, razionalmente, al rischio totale della guerra come distruzione e autodistruzione, “Muoia Sansone con tutti i Filistei”.
Non dimentichiamo che fino a pochi secoli fa il concetto di guerra, pur sempre gravoso anche sul piano civile, lo vedeva praticamente estraneo e solo successivamente surdeterminato (in modo relativo…) dal risultato del confronto bellico. Quest’ultimo avveniva in ambienti definiti o riqualificati proprio dalla presenza del conflitto (il “campo di battaglia”). Mai una battaglia vera e decisiva si sarebbe compiuta in un campo di grano, perché era esattamente “per” i campi di grano (in varia accezione…) che si combatteva; ed ecco ancora l’incontrarsi in un concettuale e reale “campo aperto”.
La riduzione geo-politica è oggi l’errore peggiore (e diffuso…) che può fare un commentatore delle guerre correnti: viviamo un “mondo” (in questo caso, la parola significa “ambiente interno/esterno della specie umana”) ipermediatizzato, globale, antropocenico e risemantizzato dalla ginecoforia, nel quale l’orizzonte geografico non è forse marginale ma è di certo parziale e limitato. Sono decollate infatti molte funzioni olistiche, sistemiche generali, globali, nell’umanità e nel “suo” mondo. E la geografia fa quasi ridere di fronte a:
1. capacità di “benessere e cataclisma” della grande finanza,
2. le distanze non sono più fisiche (con 30 €. o $ si compiono migliaia di chilometri), e se si vuole viaggiare in alcuni soltanto dei sensi, che è pur sempre un viaggiare, lo si può fare senza geografia rilevante grazie alla tecnologia digitale, ad esempio in videoconferenza, a costo pressoché uguale a zero,
3. le trasformazioni industriali grazie alla globalizzazione hanno trovato un loro assestamento logistico globale ma…
4. le relative funzioni economiche si sono distaccate e vagano senza bisogno di bussola nell’intero pianeta;
5. esiste una ineludibile lingua mondiale per tutti i parlanti, cioè dell’umanità, che ne ha grande bisogno, ed è la lingua inglese, piaccia o non piaccia.
E sono solo 5 punti dei molti che potrei elencare.
Per quanto riguarda la parte “politica” del concetto geo-politico, essa è per la stragrande parte economia e benessere dei popoli. E tale funzione è ormai distaccata dalla geografia, ed è certo vero che il nuovo secondario si è terziarizzato e primarizzato.
1. Terziarizzato. Secondo la prima via, esso è divenuto concretamente apolide (non geografico) sia per quanto riguarda la residenza delle attività private che per quanto riguarda i loro risultati, che dipendono in buona parte da condizioni non geografiche bensì globali (finanza, mercati, competenze, comunicazione, ricerca e sviluppo ad esempio).
2. Primarizzato. Le funzioni di trasformazione dei materiali hanno trovato assetti sempre più coerenti con la produzione di valore, prima radicandosi e sradicandosi in funzione delle opportunità presenti nell’intero globo (delocalizzazioni), poi trovando gli assetti migliori. Non vi è dubbio che la primarizzazione riavvicini alla geo-politica, ma in un rapporto invertito: non è la politica che offre grazie al patrimonio geografico, ma è l’economia apolide che sceglie grazie al patrimonio economico-finanziario.
Ed è per questo che il vecchiume strategico, fatto appunto di geo-politica ottusa combina enormi guai, presentando ad esempio divise militari sempre più diffuse, che nulla possono davvero salvo alimentare degli anacronistici fuochi bellici, più o meno grandi ma pur sempre di paglia, a causa del verticismo gerarchico poco riflessivo e poco controllato delle forze armate, a differenza delle grandi aziende, o comunque delle aziende avvedute, che già da 50 anni lavorano organicamente nel coinvolgimento e fidelizzazione consapevole dei loro appartenenti e co-attori di ciclo (fornitori e clienti), a differenza dei “signorsì e punizioni” tipici del militare; inoltre, la verticalità gerarchica, di fronte a poteri economici immani, mai visti nel mondo (che qui significa sulla faccia della terra) è molto debole sul piano morale e civile, e sappiamo quanto sangue e quanta civiltà sono stati versati a causa della permeabilità a corruzione e concussione dei poteri militari quando sono al potere direttamente e non sono controllati (anche malamente magari) dai poteri civili in particolare articolati nei modelli democratici.
Oggi il caso del Sudafrica, ad esempio, è quello di un Paese abbastanza evoluto anche se fortemente condizionato dal colonialismo pregresso che vive una condizione di quasi guerra civile. Il tema principale è essenzialmente economico, come in tutta l’Africa sub-sahariana: moltissime risorse primarie e pochissimo secondario. Se sei primario, la valorizzazione delle tue risorse dipende dalla domanda del secondario. L’alternativa puramente logica è lo sviluppo di un secondario locale, ma la maturazione del mercato mondiale ormai lascia spazi vieppiù marginali, data una concorrenza globale e sostanzialmente trasparente in quanto meccanica. Per i Paesi primari, poco sviluppati anche civilmente, perché è il secondario a creare classe media e cultura, nonché un diverso concetto di ostilità umana, elemento antropologico, non restano che una serie di azioni quasi “sindacali” (o belliche, o colpi di Stato) per la valutazione migliore delle ricchezze di materie prime. Ma la scelta autoritaria e militare, che rappresenta l’opzione 1 di tale strategia, si presta a manipolazioni peggiori di quanto può accadere al sistema democratico… Con i militari vince sempre chi ha la valigetta dei contanti più grossa.
Per concludere questo semplice inizio della rivisitazione post-neodiluviana del concetto di Pace e di Ostilità umana, dico che l’organismo societario umano ha sempre combattuto guerre al suo interno (e tutte le guerre sono “civili”, combattute cioè all’interno della stessa specie). E quella più famosa dell’attualità, cosiddetta russo-ucraina, è in realtà uno scontro mondiale al confine tra economie primarie (che vorrebbero rimanere geopolitiche, come la Russia…) ed economie di trasformazione che detengono ben altri livelli di civiltà (l’Europa e l’Occidente).
Per la società umana di oggi, l’interesse economico, anche quello nobile, è ben presente ed è più forte di tutto. E la geopolitica è solo un fastidioso e anacronistico, dunque pericoloso, intralcio.