Il principio di Peter


Sfogliando qua e là riviste e articoli scientifici mi sono imbattuto in una legge – o meglio: un principio – che sembra descrivere alla perfezione la parabola politica del Pd e della sua attuale segretaria Elly Schlein. Si tratta del principio di Peter, dal nome di Laurence J. Peter (Vancouver, 16 settembre 1919 – Palos Verdes, 12 gennaio 1990), un bizzarro psicologo canadese naturalizzato statunitense, conosciuto principalmente per aver formulato questo principio, noto ai più come Principio di Incompetenza.
La biografia di Peter, in sintesi, ci racconta che dopo avere iniziato la carriera di docente nel Paese natale, si trasferì negli Stati Uniti, dove nel 1963 conseguì il dottorato in educazione presso la Washington State University, e l’anno successivo la University of Southern California lo assunse come professore associato. Sempre attratto dagli studi seri ma venati di humor o di sarcasmo, dal 1985 al 1990, anno della sua morte, è stato coinvolto nell’organizzazione della Gara di Sculture Cinetiche (Kinetic Sculpture Race) della Contea di Humboldt in California, per la quale ha concepito il premio Dinosauro d’Oro (The Golden Dinosaur Award), trofeo assegnato al primo veicolo che si distrugge completamente dopo la partenza!
Ma il successo planetario venne nel 1969 con la pubblicazione del volume, scritto con l’umorista Raymond Hull, ‘The Peter Principle’, un saggio incentrato sul ‘Principio di Incompetenza’, che evidenzia in chiave satirica il meccanismo della carriera aziendale.
In estrema sintesi il principio può essere così espresso:
«In ogni gerarchia, un dipendente tende a salire fino al proprio livello di incompetenza.»
Ed è qui che abbiamo iniziato a fare similitudini con la segretaria Pd, la quale, a quanto sembra, è stata eletta quasi a furor di popolo per ricoprire una posizione della quale non ha la minima esperienza e da quanto ha dimostrato finora non ha nemmeno le capacità per fronteggiare le sfide che tutti i giorni deve affrontare.
Lei poteva essere a suo agio nel ruolo (principalmente rappresentativo) di vicepresidente della regione Emilia Romagna, a stringere mani, a fare discorsi fumosi a trinariciuti pronti ad assentire a ogni frase pronunciata pur non comprendendone il significato e di colpo si è andata a cacciare in una situazione pericolosa come fare il bidet nella vasca dei piraña. Se l’è voluto, direte voi. In parte sì, tuttavia un corollario del principio di Peter ci avverte che:
«Con il tempo ogni posizione lavorativa tende ad essere occupata da un impiegato incompetente per i compiti che deve svolgere.»
In pratica il suo destino era già segnato. Indipendentemente dal voto-farsa dei non iscritti ai gazebo dopo le primarie ufficiali e anche se è stata lei a volersi cacciare in questa situazione, una generalizzazione di questo principio, enunciata da William R. Corcoran, ci avverte che: «Ogni cosa che funziona per un particolare compito verrà utilizzata per compiti sempre più difficili, fino a che si romperà.» Tradotto: prima combinavi qualcosa anche se contavi come la trama in un film porno mentre adesso che sei sul seggiolone più alto sei destinata a fallire.
Ci sono passati già in molti prima di lei; se ci fate caso è quello che è accaduto al Pd nel corso degli ultimi quindici anni (Peter la chiama “esfoliazione gerarchica”): ogni segretario che il congresso eleggeva sembrava dover fare fuoco e fiamme ma dopo pochi mesi appariva già chiaro come il Sole che era stato l’ennesimo fuoco di paglia. I nomi? Eccoli, nell’ordine: Veltroni, Franceschini, Bersani, Epifani, Renzi, Orfini, Renzi 2 la Vendetta, Martina, Zingaretti, Letta, ed infine Schlein.
Tutto scritto, tutto previsto, almeno dalla teoria. Ma allora, vi chiederete, chi tira la carretta? Chi porta avanti il carrozzone del partito più strutturato d’Italia e forse d’Europa? È lo stesso Laurence Peter a darci la risposta in un altro dei corollari che discendono dal suo principio:
«Tutto il lavoro viene svolto da quegli impiegati che non hanno ancora raggiunto il proprio livello di incompetenza.»
In un’azienda dotata di una struttura organizzativa gerarchica, vengono promossi gli impiegati in base alla valutazione delle capacità dimostrate nello svolgere il lavoro che stanno facendo. In un partito politico accade la stessa cosa: sono promossi i militanti più attivi e meritevoli, solo che nel caso del Segretario non decide un consiglio di amministrazione ma un’assemblea che prende il nome di Congresso. Che è esattamente ciò che accade periodicamente nel Pd.
Perché non succede, almeno in modo così eclatante, negli altri partiti? In parte perché sono meno strutturati, in parte perché le loro strutture sono più verticali e meno confrontabili con un’organizzazione aziendale (ad esempio, in Forza Italia decide tutto Berlusconi e il congresso è in realtà una “convention”, che è come dire una festa tra amici dove anziché ballare si canta l’inno a Silvio).
Ma torniamo al Pd. In pratica, finché un dirigente del partito si dimostra in grado di assolvere il suo compito, questi verrà promosso ad un livello superiore, nel quale dovrà assolvere un compito almeno in parte differente, altrimenti perché rimuoverlo dalla sua posizione? Gli verranno quindi affidate nuove e maggiori responsabilità, e alla fine di questo percorso, la persona avrà raggiunto il proprio ‘livello di incompetenza’, ovvero la condizione in cui non è in grado di svolgere il compito assegnatogli/le e di conseguenza non ha più alcuna possibilità di essere promosso, non solo ponendo fine alla propria carriera nell’organizzazione, ma esercitando l’azione di “tappo” impedendo a chi sta sotto di emergere.
Da notare che l’incompetenza non dipende dal fatto che la posizione gerarchica più elevata è legata a compiti più difficili di quelli che l’individuo/a è in grado di svolgere, ma più semplicemente perché i compiti sono di natura diversa da quelli svolti in precedenza e richiedono, di conseguenza, esperienze lavorative che egli/ella solitamente non possiede.
Ad esempio, un operaio tornitore che svolge il suo lavoro in modo eccellente sarà promosso caporeparto, posizione in cui non è più necessaria la bravura a manovrare il tornio ma è indispensabile la capacità di trattare con il personale sottoposto.
In politica questo genera – tra le altre cose – il fenomeno delle ‘correnti’, ossia di quei movimenti interni, quei sussulti di rabbia mista a scontentezza che portano le varie “sottopiramidi” del sistema a confrontarsi e ad affrontarsi. È in realtà una lotta per la sopravvivenza, ‘mors tua vita mea’, un modo truculento per far emergere almeno la propria sottostruttura ai danni, com’è ovvio, delle altre e della serietà e credibilità stessa del partito. Sono queste discussioni che sfociano nella polemica feroce, questi malumori che trascinano allo scontro verbale, questi borborigmi che conducono al rutto liberatorio che provocano situazioni inconciliabili e portano al “point of no turning back” innescando le procedure per un nuovo congresso che sfiducerà il segretario in carica e – assai probabilmente – metterà un nuovo Nazareno sulla croce.
Come abbiamo visto sono una decina i sacrificati sull’altare del buon governo del partito. Di questi, l’unico che in un qualche modo si è sfilato è stato Renzi, che dopo lo smacco referendario e l’ennesima balla (“smetterò di far politica”) ha lasciato un partito a dir suo moribondo. Peccato che ne abbia creato uno il quale non ha nemmeno fatto tempo a nascere che già si è trovato a fare i conti con una destra che macinava voti su voti e non ha trovato di meglio che allearsi con un altro fuoriuscito con una esigua dote di voti. Però una cosa giusta Renzi l’ha detta la scorsa settimana: Schlein dovrebbe imparare a far meno fumo e a parlare alla pancia del suo partito, mettendo in campo gli argomenti di cui i suoi elettori vogliono sentir parlare, perché a nessuno stracatafotte degli pseudodiritti di una decina di ricchi pederasti con la smania di maternità o dei partigiani (tutti morti) che combattono il fascismo (morto anch’esso). Pertanto, quando lei porterà a casa un 41% alle europee allora potrà obiettare sulle scelte del suo predecessore. Vero è che il 41% di Renzi è stato il frutto di una congiuntura favorevole (centrodestra non ancora pronto e pentapitechi già sull’orlo del baratro), comunque onore al merito. Non fosse così indisponente quando apre bocca (si vocifera che sia riuscito a far dire “Cazzo di Budda” al Dalai Lama) queste molto condivisibili critiche ai suoi ex-compagni lo renderebbero quasi simpatico.
Quasi
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Fonti:
– “Il principio di Peter” – L.J.Peter e R. Hull – Bompiani 1970 e Garzanti 1972
– “The Peter Principle revisited: a computational study”, A. Pluchino et al. (Univ. di Catania), arXiv:0907.0455