Aprile 2023: Giorgia Meloni al bivio


Aprile 2023: non solo bivio per Giorgia Meloni, tra passato ed esteri, vecchi e nuovi problemi interni.

In questo mese che volge al termine, più che mai Giorgia Meloni appare dinnanzi non soltanto a un bivio. Da una parte, la premier ha il peso di una eredità scomoda, ovvero il passato della destra italiana che ancora alcuni tentano di strumentalizzare, mentre dall’altra ha la voglia di protagonismo internazionale, ovvero quella di portare l’Italia al centro del mondo come paese leader in diversi ambiti. Restano intanto le questioni spinose interne e gli scricchiolii nei partiti. Ma cosa succederà? Quali saranno le sue scelte? Che cosa succederà in campo avversario?
Il 25 aprile, sulla stampa nazionale abbiamo assistito all’ennesima dimostrazione di sciacallaggio della sinistra italiana. Nonostante la Meloni abbia già dichiarato in numerose occasioni l’incompatibilità della destra con qualsiasi nostalgia del fascismo, i progressisti hanno trovato un alibi per attaccare la premier e la sua fazione.
La parola magica non pronunciata sarebbe: “antifascismo”. Ma quanto è giusto utilizzare la stessa come clava politica? Non sarebbe giusto guardare avanti, lasciando indietro le divisioni del passato?
E così facendo potremo discutere ad oltranza sui principi, tuttavia nell’opinione pubblica c’è chi ha tenuto a sottolineare anche il rischio di distrazione, ovvero l’eccessiva attenzione verso alcuni temi che gettano ombra su altri, contingenti, come ad esempio le pensioni non adeguate. Boutade che rischiano di distrarre da questioni di grande importanza.
D’altro canto, il 26 aprile sui giornali si è parlato di un piano da 400 miliardi per infrastrutture, energia, salute, digitale e siderurgia. Tali argomenti sono stati affrontati nell’ambito della Conferenza bilaterale sulla ricostruzione dell’Ucraina, tenutasi a Roma. Si tratta di un progetto ambizioso che coinvolge numerose imprese europee e che potrebbe portare l’Italia ai vertici del continente in diversi settori. Ma in questo contesto, emerge anche il confronto tra la sovranità e la pace. Infatti, come ha dichiarato il presidente Mattarella, “Serve la pace, ma che rispetti la sovranità”.
Contemporaneamente, è stato riportato l’invito del presidente ucraino Zelensky alle aziende italiane di costruire il futuro del paese. L’Ucraina ha bisogno di ricostruire dopo anni di conflitti e la Meloni è sembrata intenzionata a rispondere affermativamente, portando l’Italia al centro della scena internazionale. “L’Italia può contribuire a realizzare un miracolo economico ucraino”, queste le sue esatte parole, nell’intervento a conclusione della Conferenza, citando il boom italiano del dopoguerra.
Comunque vada, passando dai massimi della geopolitica alla venalità dell’economia, quelli con cui si mangia, dietro a tanto fervore meloniano per la causa ucraina si agita qualche ulteriore sospetto. Sarà davvero generosità gratuita? Incombe un giudizio negativo di Moody’s sull’Italia, come pure una nuova è stata proposta di regolamento sul Patto di Stabilità presentata dalla Commissione Europea. Occorrerà una manovra correttiva da 8-15 miliardi e la ratifica del MES. Non sono bazzecole, il piatto piange e i possibili soldi derivanti dalla ricostruzione in Ucraina fanno gola al nostro governo. Questa è la verità, aldilà dei proclami, e bisogna arrivare tra i primi.
Con tanta carne sul fuoco, oggi più che mai, la premier non si trova di fronte soltanto a un bivio ma ad una multiforcazione… Da una parte, c’è la sua tentazione di voltare pagina e di guardare solo al futuro, dall’altra c’è la necessità di non dimenticare la storia e di non permettere a nessuno di strumentalizzarla. C’è la necessità di trovare un equilibrio tra sovranità e pace, tra identità e apertura verso l’esterno. Tenendo i piedi per terra, ai giornali espone, tra le altre cose, le ragioni per cui ha scelto di convocare il Consiglio dei ministri il Primo Maggio: “l’Italia è più grande, più forte e più varia di come viene raccontata”, spiega, dettagliando le intenzioni di stimolare la crescita dell’economia e detassare il lavoro.
Siamo curiosi di vedere quale saranno le mosse imminenti della Meloni e del suo governo. Una sfida importante, perché l’Italia deve guardare al futuro senza dimenticare la propria identità e la propria storia, possibilmente con la pancia piena. C’è ulteriormente un fattore, sinora parso giocare a suo favore, che adesso sembra accusare qualche scossone: la compattezza della maggioranza.
Ci riferiamo al fattaccio del 28 aprile: il voto con cui la Camera ha bocciato la relazione del governo sullo scostamento di bilancio – complici le numerose assenze nelle file del centrodestra – facendo fibrillare il governo di Giorgia Meloni. Sono stati in totale 45 deputati dei 4 gruppi di maggioranza i non presenti al voto sullo scostamento. Da una parte si è teso a sminuire la portata ‘politica’ dell’episodio, derubricandolo a mero incidente d’Aula, dall’altra si è fatta autocritica e c’è stato chi non ha nascosto la preoccupazione che il precedente possa aprire una sorta di vaso di Pandora e rendere accidentata la navigazione della maggioranza. Da Londra, l’inquilina di Palazzo Chigi non ha mascherato la sua irritazione: quello su Def “è un brutto scivolone, una brutta figura, ma non vedo segnali politici”.
Si adopererà senz’altro per ricucire ogni strappo con gli alleati, forte dell’unità del suo partito. Sebbene la distinzione tra falchi e colombe sia presente anche all’interno di Fratelli d’Italia, la leader – secchiona com’è, si è sempre documentata – ha saputo trovare un equilibrio tra queste posizioni diverse, riuscendo così a rafforzare il partito e a consolidare la sua posizione politica.
E chissà se ora, godendo, potrà gustarsi la scena ad allarme rosso che si sta verificando in casa Pd. Qui, l’arrivo della sua avversaria femminile, Elly Schlein, alla segreteria ha vistosamente destabilizzato gli equilibri interni, portando già all’addio di Andrea Marcucci ed Enrico Borghi, che ha scelto di aderire ad Italia viva. Secondo i rumors, queste prime fuoriuscite rischiano di generare una vera e propria slavina, un terremoto, un fuggi fuggi di quella parte Dem cattolica, moderata e riformista. Quelli che insomma non guardano benevolmente certe aperture libertarie del nuovo vertice. Fonti qualificate della minoranza del Pd non escludono un clamoroso colpo di scena, ovvero l’addio addirittura dell’ex ministro della Difesa, presidente del Copasir Lorenzo Guerini, già leader di Base Riformista che sosteneva Bonaccini alle primarie. Work in progress…