
Energia – Trivellare o no? Questo è il dilemma
Più volte ci siamo soffermati sull’attuale crisi energetica, facendo notare che il fabbisogno italiano di gas e petrolio potrebbe facilmente essere colmato senza aiuti esterni.
Intendo ritornare sull’argomento per chiarire quali e quante siano le risorse che l’Italia potrebbe mettere in campo se soltanto lo volesse.
Partiamo con una premessa di carattere generale. Si stima che nel sottosuolo italiano siano presenti circa 1,5-1,8 miliardi di barili di petrolio e 350 miliardi di metri cubi di gas naturale – valori che includono sia riserve già confermate che possibili. Per quanto riguarda il gas, se teniamo in considerazione solo le riserve certe parliamo di quantità comprese tra i 70 e i 90 miliardi di metri cubi.
Vediamo anzitutto il petrolio. La riserva petrolifera disponibile in Italia si aggira attorno al miliardo e mezzo di barili. Si tratta dello 0,15% delle riserve mondiali di petrolio greggio. Il valore dell’oro nero potenzialmente potrebbe essere di circa 150 miliardi di euro. L’estrazione della riserva potrebbe soddisfare le esigenze italiane per i prossimi 25 anni senza incorrere in importazioni di idrocarburi dall’estero.
In Italia i giacimenti petroliferi sono in genere piuttosto frammentati e nella maggior parte dei casi situati a profondità importanti o ancora offshore. Il Bel Paese occupa il 49° posto al mondo in questo ambito, una posizione di tutto rispetto considerando il limitato numero di siti a disposizione. Si stanno effettuando ricerche per individuare il petrolio anche al largo della Sardegna e nella zona della Isole del Parco nazionale dell’arcipelago toscano per trovare nuovi potenziali giacimenti. In Italia si trovano sia giacimenti a terra che in mare, alcuni in perfetta operatività estrattiva, altri in attesa e altri ancora già definitivamente chiusi per esaurimento della preziosa risorsa.
Dove si trovano i più importanti giacimenti di petrolio in Italia? Uno dei territori italiani più ricchi in questo senso è la Sicilia che dispone di petrolio a Ragusa, Gela e Gagliano Castelferrato. La Basilicata è un’altra Regione italiana in cui si estrae petrolio, nel dettaglio in Val D’Agri con il vanto del 70% della produzione nazionale di petrolio. Anche la Calabria riserva petrolio nella zona di Crotone, ma pozzi sono presenti anche in Molise, in Abruzzo e nel Lazio.
Anche il Nord del Paese offre ricchezza di oro nero, anche se con minori giacimenti, e lo fa presso Porto Orsini in provincia di Ravenna, in Lombardia, in Veneto e in Piemonte. Non tutti questi giacimenti italiani sono ancora attivi. Il giacimento petrolifero lombardo di Trecate è già da tempo esaurito, così come quello di Cortemaggiore (Piacenza), ma essi sarebbero ancora ricchissimi di gas naturale, che però al momento non viene estratto. Una delle aree più ricche di giacimenti di gas naturale nel nostro Paese è l’Adriatico; l’articolo 8 della legge 6 agosto 2008, n. 133, però, prevede il “divieto di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi nelle acque del golfo di Venezia” a causa dei pericoli legati al temibile fenomeno della subsidenza.
La produzione petrolifera italiana ad oggi si assesta attorno agli 80.000 barili estratti al giorno. Con questo livello di produzione si stabilisce una velocità di esaurimento media di oltre 30 anni. L’attuale produzione italiana di petrolio soddisfa meno nel 10% del fabbisogno nazionale, il 93% del petrolio consumato in Italia viene infatti importato. Nel 2016 si è registrato un crollo superiore al 30% per la produzione di greggio nel Paese, in seguito alla chiusura del giacimento lucano.
Si dà il caso che molti siti italiani presso cui è stata accertata la presenza di petrolio da estrarre risultano chiusi o non operativi per diversi motivi e anche il settore della ricerca di nuovi giacimenti petroliferi in Italia non è così attiva come dovrebbe, nonostante le importanti stime effettuate che descrivono il Paese come uno dei più ricchi in questo senso in Europa.
Veniamo ora al gas. la zona d’Italia in cui si estrae più gas metano è la Basilicata con 1.079.274.088 metri cubi standard. A seguire troviamo Sicilia, Emilia Romagna e Molise. Buoni risultati anche per le zone offshore, specialmente la Zona A (al largo dell’Emilia Romagna) e la zona B (al largo di Marche e Abruzzo).
Le stime del MISE riferite al 2021 parlano di 3,34 miliardi di metri cubi di gas naturale estratto, a fronte di un consumo complessivo di 76,1 miliardi di metri cubi (2021): per questo motivo la risorsa gas viene largamente importata dall’estero. In realtà non è sempre stato così: a cavallo tra gli anni ’90 e 2000 la produzione nazionale raggiunse picchi attorno ai 20 miliardi annui, cioè circa 6 volte la quantità attuale.
Scendiamo più nel dettaglio. Questi 3,34 miliardi di metri cubi di gas naturale sono estratti da 1298 pozzi estrattivi: di questi, 514 sono abitualmente utilizzati per l’estrazione mentre 752 sono attivi solo formalmente ma al momento non impiegati; la restante parte è composta da pozzi di controllo e manutenzione. Nella mappa allegata al presente articolo sono riportati in nero i pozzi non produttivi, in rosso quelli di gas naturale e in verde quelli di petrolio (fonte: geopop.it).
Come si può vedere, gli idrocarburi in Italia sono distribuiti lungo tutta la lunghezza della penisola, sia onshore (su terra), che off-shore (a mare). L’Adriatico settentrionale è la provincia con le riserve accertate maggiori di gas metano: perché allora non sono ampiamente sfruttati per l’estrazione? Naturalmente per il rischio subsidenza già discusso relativamente i giacimenti petroliferi.
Il governo ha comunque varato misure per aumentare la produzione nazionale di gas. Ma quanto andranno ad influenzare la produzione di gas? Nelle migliori delle ipotesi potremmo raggiungere entro qualche anno una produzione annua attorno ai 10 miliardi di metri cubi. Come detto, il consumo annuale di metano nel nostro Paese è di circa 70 miliardi di metri cubi, quindi si passerebbe dall’attuale 5-6% di produzione interna al 14-15% circa. L’incremento non è trascurabile, certo, probabilmente non sarà sufficiente a far crollare il prezzo del gas ma un vecchio detto piemontese recita: “Piuttosto che niente è meglio piuttosto”, e sicuramente un decremento dei carburanti alla pompa è sempre il benvenuto.
Occorre anche dire che l’aumento del prezzo dei combustibili fossili tradizionali, sostenuti dall’elevata domanda, ha spinto ad esplorare nuovi tipi di giacimenti di idrocarburi, come quelli di tipo Coal Bed Methane (CBM). In Sardegna, la Carbosulcis, azienda in fase di dismissione nel bacino minerario carbonifero del Sulcis, ha stimato che dal giacimento carbonifero sardo potrebbero essere prodotti circa 11 miliardi di m³ di gas metano, aumentabili a 20 miliardi con la tecnica ECBM, ossia combinando l’estrazione con il contemporaneo stoccaggio di anidride carbonica nel sottosuolo. Il progetto si trova da anni in corso di valutazione. Un altro potenziale sito di sfruttamento è il bacino di Ribolla nel quale la società che detiene il permesso esplorativo stima vi siano 27.4 miliardi di m³ di metano di cui 5.7 miliardi di m³ di gas metano recuperabili per il 31% con la tecnica CBM e per il 69% di shale gas. Invece, secondo il World Energy Council (WEC), ma anche secondo la USGS (US geological survey), nel bacino tripolitico di Caltanissetta (tripolitic oil shale basin), in Sicilia, sarebbero presenti ben 63 miliardi di barili di petrolio ricavabili da scisti bituminosi che non vanno confusi ne con lo shale gas ne con le sabbie bituminose assenti nell’area.
Due crociere oceanografiche, eseguite con la nave oceanografica Ogs-Explora nel 2005 e con la nave tedesca “Meteor” nel 2014, hanno rivelato la presenza di pennacchi di bolle di gas metano originatisi da due vulcani di fango presenti sul fondo del mar Ionio a circa 1500 metri di profondità, che dovrebbero indicare la presenza di idrati di metano sul fondale marino della zona.
In sostanza, è necessario che al di là delle parole e degli slogan elettorali il Governo si muova con azioni serie, concrete e significative. La materia prima, come abbiamo visto, non manca: perché aspettare che la Croazia ci succhi le ricchezze sotto ai piedi? È anche il caso di ricordare che la fusione fredda è alle porte: il primo tokamak commerciale dovrebbe entrare in funzione entro 10 anni, forse prima se – come sembra – i giapponesi accelereranno le loro ricerche superando i progetti europei. Da quel momento il petrolio e il gas varranno molto poco. Non sarebbe il caso di estrarli e magari venderli finché ci possiamo guadagnare?
Fonti:
prezzodelpetrolio.com
geopop.it