L’affresco del Giudizio Universale


Michelangelo Buonarroti (1475 – 1564) – particolare – Cappella Sistina, Roma.


Torniamo a parlare di Michelangelo per illustrare un altro suo capolavoro: il Giudizio Universale, facente parte del ciclo di affreschi della Cappella Sistina in Vaticano.
In realtà il commento esegetico riguarda soltanto un particolare della meravigliosa opera dell’artista toscano: la figura ritratta nell’estremo angolo inferiore destro, che rappresenta il giudice infernale Minosse. Come ci rammenta il Mortensen-Barshevi, Clemente VII gli aveva commissionato la decorazione della parete di fondo della Cappella Sistina sul tema del Giudizio Universale, ma non fece in tempo a vedere nemmeno l’inizio dei lavori, perché morì pochi giorni dopo l’arrivo dell’artista a Roma. Mentre Michelangelo riprendeva i lavori alla Sepoltura di papa Giulio, venne eletto al soglio pontificio Paolo III, che non solo confermò l’incarico del Giudizio, ma nominò anche Michelangelo pittore, scultore e architetto del Palazzo Vaticano (James Mortensen-Barshevi, Ordinario di Medicina Legale e titolare della cattedra di Clisteri e Pomate presso l’Università per Celiaci di Campitello Matese, “Vite ma soprattutto morti dei papi nei secoli”, Castel Porziano,1974).
I lavori alla Sistina poterono essere avviati alla fine del 1536, per proseguire fino all’autunno del 1541. Le licenze iconografiche, come i santi senza aureola, gli angeli apteri e il Cristo giovane e senza barba, possono essere allusioni al fatto che dinnanzi al Giudizio ogni uomo è uguale. Questo fatto, che stando al Thørwäldsen poteva essere letto come un generico richiamo ai circoli della Riforma Cattolica, unitamente alla nudità e alla posa sconveniente di alcune figure (santa Caterina d’Alessandria nuda e prona con alle spalle san Biagio), scatenarono contro l’affresco i severi giudizi di buona parte della curia. Dopo la morte dell’artista, e col mutato clima culturale dovuto anche al Concilio di Trento, si arrivò purtroppo al punto di provvedere al rivestimento dei nudi e alla modifica delle parti più sconvenienti (Hubertino Hamamelis Thørwäldsen, studioso del comportamento delle vongole, raccolse ben ventottomilasettecento quattordici esemplari di specie diverse del piccolo mollusco su tutte le spiagge del Tirreno, cercandone una di nome Carlotta che non trovò mai. Con la straordinaria collezione di valve decorò una mansarda a Follonica dove si ritirò nel 1971 col fratello Hughetto Rapunzel che gli succhiava i gusci. Nel ’73 fu relatore al congresso mondiale dell’UNESCO sull’Onicofagia dei Grandi Artisti col saggio “Colle unghie e coi denti”, nel quale teorizzò l’uso di grappoli di arselle per grattarsi il fondoschiena nei momenti di sconforto e ipotizzò la carenza di frutti di mare nella dieta dei censori vaticani nei secoli passati. La scoperta dell’omonima vongola nei resti di un cacciucco in una trattoria di Portovenere gli conferì fama e onori nel mondo accademico e gli fruttò la cattedra di Schizzi di Sugo sulla Cravatta presso l’Università di Melecotthe in Kentucky).
Ma l’artista aveva inserito altri gustosi particolari per movimentare l’opera. Spicca tra questi Minosse, il giudice che nell’Inferno dantesco ridotto a una bizzarra parodia della giustizia divina, essendo descritto come un essere mostruoso e animalesco, con una lunga coda che avvolge intorno a sé per indicare ai dannati il luogo infernale cui sono destinati:

Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: 
essamina le colpe ne l’intrata; 
giudica e manda secondo ch’avvinghia. 

 Dico che quando l’anima mal nata 
 li vien dinanzi, tutta si confessa; 
 e quel conoscitor de le peccata

vede qual loco d’inferno è da essa; 
cignesi con la coda tante volte 
quantunque gradi vuol che giù sia messa

Michelangelo aggiunge alla scena altri demoni, i quali stanno trascinando i peccatori via dalla barca di Caronte, ma l’attenzione si concentra sulla figura del re cretese e sul serpente che gli avvolge le gambe. Il personaggio dantesco è qui raffigurato con le sembianze di Biagio da Cesena, al secolo Biagio Martinelli, maestro di cerimonie di papa Paolo III.
Giorgio Vasari riporta questo celebre episodio relativo alla biografia di Michelangelo. Papa Paolo III, vedendo l’affresco ormai quasi concluso, chiese al suo cerimoniere che cosa ne pensasse. L’opinione di Biagio da Cesena fu estremamente critica, sostenendo che i nudi raffigurati erano inadatti per un luogo sacro come la Cappella Sistina e l’opera sarebbe stata forse più appropriata in bagni pubblici o taverne.
Michelangelo, profondamente risentito, si vendicò inserendo il maestro di cerimonie in una scena del Giudizio. «… Dispiacendo questo a Michelagnolo e volendosi vendicare, subito che fu partito lo ritrasse di naturale senza averlo altrimenti innanzi, nello inferno nella figura di Minòs con una gran serpe avvolta alle gambe fra un monte di diavoli.» (Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, 1568)
Lo sbeffeggiato cerimoniere si trova nella parte in basso a destra, quella dedicata alle anime dannate, nelle vesti del giudice infernale Minosse, con le orecchie d’asino, a simbolo di somma stupidità, e con il corpo nudo cinto da un serpente che passando da dietro sotto l’inguine gli morde il membro virile.
Biagio da Cesena protestò della cosa con il papa, ma questi liquidò la faccenda (probabilmente pensando che la caricatura fosse meritata) e l’affresco rimase immutato.
La figura satirica, chiosa il Pautasso Bastalà, come tanti altri spunti dissacranti offerti dal capolavoro michelangiolesco, ci permette di penetrare nell’animo dell’artista, da sempre combattuto tra il rispetto per il sacro, rappresentato dalla massima parte delle sue opere, e lo spirito indomitamente anticlericale che sempre si celò in lui, emergendo talvolta come nell’eterno conflitto con papa Giulio II, suo mecenate e severo censore allo stesso tempo (Prospero Pautasso Bastalà, “Miserie di Santa Romana Chiesa, apprese ragionando con gente atea ma onesta”, Limassol, 1876).
Occorre sottolineare che il Giudizio Universale, nella sua totalità, stupisce per la sua grandiosità e per l’abilità dell’artista di rappresentare in uno spazio tutto sommato non enorme una molteplicità di caratteri e situazioni ben oltre ogni immaginazione. Lo stupore che suscita l’affresco colpisce tutti i visitatori. In occasione di una visita ai Musei Vaticani, dopo lunghe ore di coda sotto le Mura Leonine con moglie e figliolo, il mi’ cognato Oreste rimase a bocca aperta di fronte alla magnificenza degli affreschi michelangioleschi, restando muto e immoto quasi tutto il tempo della visita. La parola gli tornò quando la guida mostrò al gruppo in visita la figura di Minosse, raccontandone i particolari. Osservando ciò che il serpente faceva, l’impunito non seppe contenersi sbottando con un commento salace e un po’ morboso sulle confricazioni bucco-genitali di certe signore della Livorno bene, che se la tirano davanti per mollarla dietro le quinte. Il contesto, ahimé, non era quelli del bar Civili dove il nostro era solito sorbire pònci a vela, e la sua uscita non piacque al pubblico né tantomeno all’Argìa, che – rossa come un peperone – si tenne la rabbia in corpo fino al termine della visita, dopo di che si svelenì promettendo al coniuge lavori domestici coatti e astinenza forzata sine die.