I rapporti tra partigiani e alleati in Valbormida


Per inquadrare esattamente l’argomento di questa chiacchierata occorre innanzitutto chiarire quali fossero i presupposti della presenza dei vari missionari alleati che troveremo nella seconda parte .
Iniziamo quindi la storia esaminando i vari organismi che furono costituiti sin dall’inizio della guerra.


Sin dal 1940, Churchill appena insediato dopo Dunquerque, pretese che venisse costituito un ufficio destinato a creare sovversione nei paesi nemici ed occupati, al motto “Set Europe ablaze” (Infiammate l’Europa). Venne così costituito il S.O.E. (Special Operations Executive) con varie branche destinate ai diversi paesi. Quella italiana venne denominata “1st Special force” ed ebbe varie sedi che mano a mano cambiarono in funzione dell’andamento della guerra.
La prima, chiamata convenzionalmente “Massingham” fu in Algeri per poi, una volta liberata la Puglia, costituire una base presso Monopoli, “Maryland”, sfruttando tutte le possibilità offerte dalle truppe alleate (magazzini, aeroporti, porti in cui sbarcare il materiale, ….) per l’addestramento dei vari agenti che si presentavano.
Mano a mano i vari comandi si trasferirono sempre più a nord, prima a Roma, poi a Siena, quindi Firenze, con aeroporti situati a Pisa, Cecina, Rosignano e nei pressi della stessa Firenze.

Un discorso simile può essere fatto per lo statunitense O.S.S. (Office of Strategic Service) creato nel 1942 dall’unione di varie agenzie ma che necessitava ancora di un lungo rodaggio. Inizialmente operava al traino del SOE, che tuttavia lo snobbava spesso e volentieri, con le stesse basi in Algeria e in Puglia, però la voglia di affrancarsi da questa sudditanza era grande, tanto è vero che appena liberata la Toscana le basi di Pisa e Cecina divennero quasi esclusivamente USA, anche in considerazione del fatto che nel frattempo il comando in capo era passato dall’inglese Alexander allo statunitense Clark. Fu quest’ultima la stagione che vide l’aumento esponenziale dei lanci di materiale ed agenti.

Nel frattempo era stato costituito un reparto aereo destinato a collaborare con il SOE per la distribuzione via aerea dei rifornimenti ai partigiani di tutta l’Europa del Sud, il 148th Squadron SD, dove la sigla SD indica appunto Special Duty o Compiti Speciali. (Un identico squadrone, il 138th, venne destinato ad operare dall’Inghilterra verso il Nord Europa).
Questi squadroni venivano alimentati con aerei (Hadley Page Halifax) dismessi per motivi vari da altri reparti da bombardamento e con dei piccoli aerei da collegamento (Westland Lysander) con ridotte necessità per l’atterraggio, altrimenti non più utilizzabili anche perché già obsoleti ad inizio guerra.

A fianco a queste forze regolari si era costituita anche una forza aerea eterogena,con base a Firenze, raggruppando vari aerei rinvenuti in diverse basi (un B25 ex USA, un Fieseler Storch tedesco ex italiano, un Nardi FN305, un Saiman 202, un Breda Ba25. …).
Data l’eterogeneità delle forze e dei piloti questa formazione era denominata scherzosamente “Beggar Air Force”o “Lazzaroni air force”. Può essere interessante notare che un componente di questa formazione si guadagnò una medaglia d’oro per le gesta compiute.

Olte ai reparti aerei il SOE e OSS disponevano non solo di imbarcazioni proprie ma anche di un appoggio notevole da parte di ciò che restava dei MAS e dei sommergibili italiani ed anche di varie imbarcazioni leggere alleate. Ricordo che i primi sbarchi in Liguria avvennero proprio avvalendosi di questo tipo di mezzi che partivano dalla Corsica, liberata già nel settembre 1943.

Gli statunitensi partirono in sordina con tre soli B17 addetti a missioni segrete dall’aeroporto di Blida ma presto si rifecero alla grande creando prima la 885th squadriglia da Bombardamento (Speciale) con i tre B17 e 12 B24, aerei che passarono in seguito a 64, con sede a Brindisi. A questi si aggiunse poi il 62nd Gruppo Trasporto Truppe con C-47, sostituito poi dal 64th GTT con base a Rosignano. Da dicembre 1944 si aggiunse 859th Squadriglia, sempre a Rosignano. Insomma da una partenza in sordina un epilogo “all’americana”.

A cosa doveva servire tutto questo crescente spiegamento di mezzi? Innanzi tutto ad avvicinare i vari “missionari” che avevano il compito di raccogliere informazioni, contattare le diverse formazioni partigiane e valutarne le capacità belliche, per poi decidere quali fossero da appoggiare con rifornimenti di armi, esplosivi, vestiario, alimenti.

In merito è da sfatare la leggenda messa in circolazione da parti interessate che i rifornimenti venissero lanciati solo a formazioni di un preciso colore politico: l’unico criterio che governava i lanci era quello della capacità bellica.
Quando una formazione si rivelava incapace di eseguire azioni di un qualche valore utile agli alleati veniva presto abbandonata a se stessa, mentre quelle inquadrate militarmente e con buone capacità offensive venivano privilegiate.
Esempi contrapposti di questo comportamento si possono rilevare esaminando i rifornimenti alle formazioni autonome di Mauri nelle Langhe ed ai garibaldini di Moscatelli. Questo per citare i più conosciuti, ma se ne può fornire una vasta casistica.
Solo un esempio: la “compiacenza” di un inviato inglese nell’entroterra genovese, il Col. Davidson, he definisce questo famoso personaggio (“Miro”, nome di battaglia di Antonio Ukmar), come sicuramente democratico e non comunista, ignorando, non si sa se volutamente, che questo serbo aveva studiato a Mosca, aveva combattuto con i guerriglieri etiopi, con i repubblicani spagnoli, i partigiani francesi, i partigiani jugoslavi, il tutto prima di arrivare a comandare le brigate garibaldine genovesi.

Altro scopo dei “missionari” era di cercare di unificare le varie anime della resistenza, per evitare, se possibile, che invece di sparare ai tedeschi si uccidessero tra loro. Quasi sempre riuscirono in tale scopo, con qualche eccezione clamorosa, quale il caso di Malga Porzus. Non furono pochi però i casi che anche degli agenti caddero vittima del loro compito, molte volte con morti misteriose su cui nessuno ha mai voluto indagare seriamente.

Almeno inizialmente scopo dei missionari era anche quello di rintracciare i prigionieri di guerra fuggiti dai campi di concentramento dopo l’8 settembre per avviarli al sud: diverse operazioni del genere si svolsero sulle coste adriatiche ed anche i MAS che avvicinavano degli inviati alla Liguria, quando potevano ritornavano carichi di ex prigionieri.
Successivamente presero campo altri sistemi più evoluti, riferiti soprattutto agli aviatori caduti in territorio nemico, quali il prelevamento a mezzo aerei mentre per coloro che erano vicini alle frontiere francesi o jugoslave il mezzo più conveniente restava sempre una bella “passeggiata”.

Parlando di lanci di rifornimenti è da ricordare che era invalso l’uso, sia da parte partigiana che repubblichina ma anche di semplici contadini, quando sentivano arrivare uno o più aerei, di accendere grandi fuochi nella speranza di ricevere “doni inattesi”. Tale usanza viene stigmatizzata da vari comandi partigiani, e ne fa cenno anche Sogno, nel suo libro “La Franchi” quando accenna al quasi fallimento della missione Lees-Long-Morton nelle Langhe e, fatto ben più grave, alla caduta dell’Halifax del Monte Cavallaria presso Biella a cui assistè personalmente e che addebita alla confusione dei fuochi accesi, che portarono l’aereo a cozzare contro un rilievo che non era previsto nella rotta originaria. Nel fatto perirono 8 aviatori e 5 appartenenti a due diverse missioni.
Per ovviare a questi inconvenienti vennero studiate tutta una serie di soluzioni, via via sempre più sofisticate, sino a giungere alle apparecchiature Eureka- Rebecca, sorta di primordiali radiofari.

Sia il mestiere di aviatore che quello di missionario erano comunque pericolosi: oltre al caso citato del Monte Cavallaria si può ricordare il caso di un altro Halifax caduto nell’agosto 1944 nei pressi di Bolsena mentre aveva in corso il trasporto di una missione composta da quattro italiani, ed anche il caso di un Lysander abbattuto nel novembre ’44 da aerei statunitensi tra Venezia e Udine, con la morte di altri due missionari italiani oltre al pilota.
Comportò la morte dei soli aviatori la caduta di un Halifax carico di rifornimenti nei pressi di Santa Maria del Taro: i loro corpi sono sepolti nella sezione inglese del cimitero di Staglieno a Genova, la stessa che come vedremo ospita i corpi di due personaggi, il Maggiore Temple ed il Maggiore Hope, deceduti nelle Langhe.

Certo ai comuni partigiani che da terra vedevano passare centinaia di aerei che andavano a bombardare la Germania o le città del Nord Italia poteva sembrare incomprensibile la mancanza di pochi aerei per il lancio dei rifornimenti a loro, però non consideravano certamente diversi fattori:

• il primo sicuramente era che la guerra partigliana era considerata secondaria rispetto alla guerra combattuta dai militari alleati;
• poi veniva il fatto che i rifornimenti ai partigiani avvenissero su fronti molto estesi, partendo dalla Grecia, per passare all’Albania,alla Yugoslavia, alla Francia: solo dopo che alcuni settori si chiusero fu possibile aumentare i lanci agli altri;
• almeno inizialmente l’incarico era affidato ad un unico reparto, dotato per di più di aerei ritirati da altri squadroni cui erano stati affidati mezzi più performanti. Ad esempio si dovette attendere la fine della guerra agli U-boote in Atlantico per poter disporre dei B24 che avevano una maggiore capacità di carico e distanza.
• Proprio in ragione di questa ristrettezze di mezzi si può immaginare cosa implicò la perdita in una sola notte di ben 6 aerei B24 di un reparto sudafricano i cui resti sono ancora sparsi lungo tutto l’arco alpino mentre di uno si sono perse completamente le tracce. Ma se si scorrono gli ORB (Operation record book) dei reparti addetti ai rifornimenti ci si rende conto di quanto fosse difficile tenere in volo quegli aerei, con continui guasti e malfunzionamenti. Una buona parte dei velivoli doveva interrompere il volo per guasti vari, perdite di carburante od inconvenienti di ogni tipo. E se riuscivano a tornare alla base erano fortunati.
• Scorrendo tali registri si può notare che anche quando l’equipaggio era animato dalle migliori intenzioni non sempre le cose andavano per il verso giusto: molte volte il volo partiva dalla Puglia con il bel tempo e trovava tempesta sugli Appennini o sul campo di lancio, altre volte i partigiani attendevano inutilmente sul campo con il bel tempo un aereo che non era decollato perchè nell’aeroporto di partenza era in corso una tempesta. Senza considerare le volte in cui tutto andava bene ma i lanci non avvenivano per via delle carenti segnalazioni da terra.


E’ infine da considerare che per evitare di essere intercettati dalla caccia notturna avversaria gli aerei volavano solo in assenza di luna, riducendo quindi le notti disponibili. (Dark of the moon)

Queste sono tutte condizioni che con la mentalità odierna e con il mondo in mano come siamo abituati sembrano inconcepibili, ma che dobbiamo studiare con in mente la tecnologia dell’epoca se vogliamo capirle.

Si legge spesso su giornali e su siti internet preparati da persone non competenti che sarebbe stato predisposto un unico campo di volo in tutta Italia (alcuni arrivano a parlare di tutta l’Europa).
Affermazioni che non tengono conto del fatto che i soli inglesi costituirono ben due squadroni destinati al collegamento con i partigiani di tutta l’Europa, il 148th SD che aveva sede in Italia e che doveva occuparsi di Italia, Grecia, Albania, Yugoslavia e sud della Francia, e l’omologo 138th SD con sede in Inghilterra che doveva occuparsi del Nord Europa. Pensare che un tale spiegamento di forze fosse destinato ad un solo aeroporto è forse eccessivo.

Un’ultima notazione: data la propensione inglese alla segretezza tutte le piste avevano un nome in codice che veniva tratto da un elenco alfabetico sul tipo di quello in uso ancora oggi per i cicloni, nome che non aveva alcun riferimento al campo od alla zona in cui era situato. Solo per esempio la striscia di Orbassano era in codice “Opium”: non credo che qualcuno la associ per questo al traffico di droga. Ed ancora Mereta di Tomba era “Jam” ma posso assicurare che la marmellata non c’entra.

Vediamo ora i vari “missionari” che gravitarono nelle nostre zone nel peiodo bellico:

“TEMPLE” O NEVILLE DAREVSKI
Maggiore Temple ero lo pseudomino del Maggiore Neville Lawrence Darewski, del No 1 special Force del SOE. Darewski era nato il 21 maggio 1914 a Londra ed era figlio di un noto direttore d’orchesta e compositore di origine russa, Herman Darewski e della cantante Magda Temple: il cognome da nubile della madre fu usato quale alias durante il periodo del SOE. Prima del suo servizio militare Darewski era residente nel Devoshire e fu educato nell’Haileybury College, nell’Hertfordshire. Divenne un ufficiale del RAOC ma fu in seguito dislocato al SOE, dove divenne uno degli ufficiali di maggiore esperienza, avendo passato il periodo tra l’agosto 1943 e il marzo 1944 nell’area tra la Slovenia e il confine italiano (operazione Livingstone II). Durante questo tempo stimava di aver percorso migliaia di chilometri a piedi. Darewski giunse in Piemonte il 7 agosto 1944 quale capo dell’operazione FLAP ed era ben conosciuto ed amato dai partigiani. Il 15 novembre 1944, mentre dirigeva l’evacuazione della sua missione a seguito di un pesante fuoco di mortai, Darewski fu incidentalmente schiacciato contro un muro da un autocarro partigiano in Marsaglia, nella valle Ellero e mori il giorno successivo nell’ospedale partigiano di Saliceto. Darewski è sepolto nel cimitero monumentale di Genova Staglieno. Gli venne attribuita la D.S.O., onorificenza inglese per i meriti di servizio.

Capitano (poi Maggiore) Hugh BALLARD
Abbiamo visto la tragica morte del “Maggiore Temple” e ciò rese necessaria una sua immediata sostituzione per mantenere i rapporti con le varie formazioni partigiane piemontesi, in particolare con quelle Autonome del Maggiore Mauri, ma anche con tutte le altre presenti sul territorio.
Venne allestita in tutta fretta una nuova missione e ne venne dato il comando al capitano Ballard, in ragione delle sue precedenti esperienze con altre resistenze.
Il capitano Hugh Ballard, MC, era il figlio di un piccolo allevatore nel Worcester. Si arruolò nell’esercito nel 1935 e fu assegnato al Royal Tank Regiment in India, raggiungendo il grado di sergente, dopo di che si dimise e si trasferì nella Rodesia del Sud, dove si arruolò nella polizia sudafricana. Allo scoppio della guerra si dimise dalla polizia e divenne parte di uno squadrone di autoblinde rodesiane che venne spedito in Nord Africa, dove venne assegnato allo Special Service Sud Africano. Nel marzo 1943 fu assegnato alle forze inglesi, specificamente al SOE e nel luglio dello stesso anno fu riconosciuto “un ideale commando, inestimabile quale membro di un gruppo di sabotaggio o quale comandante di guerriglia”. Rimase al Cairo sino a ottobre 1943 quando fu inviato quale ufficiale di collegamento in Dalmazia e quindi nell’agosto 1944 tornò a Bari nella 1st Special Force con la nomina a Capitano. Assunse quindi le responsabilità del Maggiore Darewski e fu infiltrato nelle Langhe il 19 novembre con il Tenente Colonello John Stevens. A Ballard è accreditato l’aver ottenuto un certo grado di cooperazione tra formazioni partigiane di diversa ideologia politica operanti in Piemonte.
Dopo la guerra a Ballard fu assegnata la Military Cross per la sua attività con i partigiani e tornò in Sud Africa dove venne smobilitato nel 1946.
A causa del suo carattere piuttosto burbero, del suo modo di fare brusco e del carattere irascibile non lasciò un buon ricordo tra chi lo conobbe, anche se alla fine svolse il suo compito in maniera egregia.

IRVING BELL Colin
Missionario decisamente sfortunato, non riuscì a concludere nessuna delle missioni affidategli. Iniziò dall’agosto 1944 con un gruppo destinato al Brennero, però per cause varie relative alle difficoltà dei trasporti dovette sempre rinunciare, non per colpa sua. Venne infine associato alla missione “Clarion” lanciata il 9 dicembre 1944 nel cuneese che però venne intercettata e catturata con la sola eccezione di I.B.
Gli venne “cucito” un’altro gruppo che operò nell’interno del savonese, in particolare era presente il 6 febbraio 1945 a Montenotte, nell’incontro erroneamente definito con Ballard (leggere “Savona insorge”). Purtroppo poco dopo venne intercettato nella zona di Ponzone da un reparto di S.Marco e catturato.
Di lui resta il ricordo del Generale Farina che lo ospitò a cena.
Tirando le somme non completò alcuna missione e l’unico incontro effettuato non gli viene nemmeno riconosciuto.

Maggiore Adrian HOPE e Capitano John KEANY
Due missionari decisamente sfortunati: entrambi lanciati ai Prati Grandi di Saliceto il 6 febbraio 1945 furono purtroppo uccisi nel giro di due mesi.
Keany, dopo aver trascorso un breve periodo a Monesiglio fu intercettato mentre si trasferiva verso il milanese. Il suo corpo non è stato più ritrovato.
Hope invece si insediò a Cisterna d’Asti ed operò per qualche tempo ottenendo anche alcuni lanci. E proprio durante la distribuzione del materiale di uno di questi fu ucciso per errore da un maresciallo dei carabinieri che si era avvicinato per salutarlo.
Hope è sepolto nel cimitero di Staglieno a Genova.

Maggiore Vivian JOHNSTON
Per sostituire il capitano Irving Bell venne scelto un maggiore che aveva già operato nel Nord Italia, precisamente nella zona di Montefiorino. Tornato in sede dopo la chiusura di quella missione gli venne affidato il compito di riorganizzare la zona savonese ed a tal fine venne lanciato alla fine di marzo ’45.
Rimise insieme i vari componenti del gruppo I.B. che si erano nascosti in attesa degli eventi ed iniziò a coordinare gli sforzi per ottenere la resa della S. Marco che portarono agli inutili incontri di Acqui del 26 aprile ’45. Alla fine fu il primo militare alleato ad entrare in Savona

Fl/Sgt (poi Fl/of) Richard DALZELL

E per finire un personaggio diverso, il pilota di Lysander che effettuò il maggio numero di voli ed atterraggi in Piemonte: il Fl. Sgt Dalzell.
Figura interessante quella di questo pilota: nei resoconti del 148th SD figura già a giugno 1944, per un viaggio da Brindisi verso la Grecia abortito per nebbia e poi in voli verso la Francia prima della completa liberazione. Per quanto riguarda Vesime dopo il volo del 17 novembre sarà presente sul successivo del B25 del 19 novembre come scopriamo dal rapporto McIntosh, quale pilota nel volo di ritorno di Giacomino Murgia (rapporto Murgia), quale pilota del Lysander atterrato il 14 aprile 1945, tanto da meritare finalmente una foto. Tutto fa pensare che pilotasse lui il velivolo di fine marzo 1945, mentre sembra escluso solo dal volo del DC3 di inizio aprile.
Considerando la notizia che ad aprile 1945 al 148th SD era rimasto un solo pilota di Lysander gli possiamo attribuire anche il volo del 15 aprile verso l’Altipiano del Cansiglio.
La fortuna che lo aveva accompagnato sino a quel momento sembrò lasciarlo il 21 aprile 1945, quando in un atterraggio notturno un po’ pesante su una pista improvvisata a Cisterna del Friuli, nei pressi di Udine, sfasciò una gamba del carrello del Lysander III R9009 e dovette abbandonarlo, non senza averlo incendiato per impedire che venisse riutilizzato dai tedeschi. La missione di quella notte consisteva nell’accompagnare il maresciallo Basilicata, un RT italiano.
Salvati entrambi dai partigiani Dalzell fu assente solo per pochi giorni, visto che la guerra era ormai al termine.
Mentre in tutti i recosonti bellici figura come Fl/sgt (sergente pilota) in quelli postbellici figura quale Ufficiale pilota, a seguito della promozione ottenuta il 27 marzo 1945.