PsicologicaMente – La stanchezza mentale


“Esiste una stanchezza dell’intelligenza astratta ed è la più terribile delle stanchezze. Non è pesante come la stanchezza del corpo, e non è inquieta come la stanchezza dell’emozione. È un peso della consapevolezza del mondo, una impossibilità di respirare con l’anima.” (F. Pessoa)

Cari lettori,
questa settimana tratteremo una tematica che sarà certamente familiare ai più, parleremo di stanchezza, quella spossatezza che, oltre al corpo, colpisce soprattutto la mente.
Nello specifico la stanchezza mentale, anche conosciuta come astenia, è una sensazione di eccessivo indebolimento, mancanza di energie o esaurimento, accompagnata da un forte desiderio di riposo o sonno. Si tratta di una sintomatologia diversa dalla debolezza che interessa i muscoli, ma che può anche accompagnarsi ad essa.
Generalmente una condizione di astenia è una normale, seppur importante, risposta ad un eccessivo carico fisico, ad uno stress emotivo prolungato ed alla privazione di sonno.
In alcuni casi, tuttavia, può rappresentare un sintomo specifico di un vero e propio disturbo psicologico o, addirittura, neurologico.
Purtroppo la stanchezza mentale, al giorno d’oggi, è diventata una condizione davvero molto diffusa e comune, la cui causa principale è rappresentata certamente dai ritmi frenetici cui siamo sottoposti giorno dopo giorno, dallo stile di vita complicato che ci sottopone a scelte difficili, a lavori estenuanti e non appaganti, nonché dalla permanenza difronte a monitor e dalla interazione continua attraverso i social.
Le nostre esistenze sono caratterizzate da mille intrecci fra sensazioni fisiche di varia natura ed i più strani stili di vita: ci creiamo mille impegni salvo poi lamentarci che siamo stanchi e senza forze, stiamo in piedi fino a tardi perché “la vita comincia dopo il lavoro” e ci lamentiamo il giorno dopo del sonno mattutino e potrei continuare ancora.
In sostanza possiamo assolutamente affermare che la stanchezza fisica e mentale è una componente tipica della società occidentale pertanto caratterizza la vita di tutti noi.
Si tratta di un momento storico in cui è in atto una vera e propria epidemia di stanchezza, pensiamo di dover essere sempre pronti e performanti al cento per cento, ad ogni ora del giorno e della notte, quando percepiamo di essere stanchi ci sentiamo in colpa o, viceversa, sembra che il più piccolo impegno riesca a sopraffarci perché non sappiamo dare le giuste priorità.
Ne deriva che il cervello, costantemente teso e stimolato, risulta inevitabilmente danneggiato e può certamente andare incontro ad un appesantimento difficile da contrastare e controllare.
Per usare un linguaggio più tecnico si può dire che uno status di tal genere, prolungato nel tempo, induce ad una interruzione delle regolari funzioni encefaliche, perché il cervello si trova a dover gestire ed elaborare in tempi troppo ravvicinati ed ogni giorno moltissime informazioni.
Si cade in una vera e propria situazione di stallo che si manifesta attraverso uno stato d’animo di abbattimento eccessivo, accompagnato da un impoverimento delle energia sia mentali che fisiche, condizione che può diventare tale da impedire alla persona che ne è colpita il normale svolgimento delle attività quotidiane.
I soggetti che versano in questo stato, solitamente, sono individui che tendono a sovraccaricarsi di compiti e di attività, che raccolgono anche gli uffici degli altri, per poi lasciarsi sopraffare dalle circostanze e schiacciati dai doveri.
Il problema più grande è che può capitare di non sentirsi stanchi e quindi ritenere di essere estranei a questo problema, ma in realtà si è semplicemente inconsapevoli. Questo si verifica perché la stanchezza è conseguenza di processi fisici e chimici che talvolta agiscono in incognito considerato che ci siamo abituati a fare sempre di più, a sfruttare il nostro organismo fino all’ennesima potenza.
Altre volte, invece, il problema si manifesta apertamente e la nostra mente, stanca di tutto questo lavorio, ci fa sentire esausti, esauriti, disinteressati e privi di energie.
Ma quali sono gli effetti psicologici e comportamentali dell’essere stanchi? Come individuare i primi sintomi di un sovraccarico mentale?
Beh senza ombra di dubbio le prime avvisaglie di malessere ci rendono più inclini a sperimentare una serie di sensazioni psicologiche sgradevoli come la rabbia, l’irritabilità, forme di angoscia e depressione, una forte insicurezza…
Quando siamo stanchi infatti siamo più inclini a perdere la pazienza, a sperimentare frustrazione e fastidio verso le piccole vicende quotidiane, ad esempio restare imbottigliati nel traffico.
Prendere consapevolezza delle reazioni del nostro corpo e del funzionamento della nostra mente ci può aiutare a cogliere i più piccoli segnali, soprattutto quelli che tendiamo a filtrare così da ignorare che stiamo andando incontro a stati di stanchezza profonda o cronica.
Come , allora, prevenire, gestire e possibilmente risolvere questa condizione?
Innanzi tutto è importante non scindere la stanchezza fisica da quella mentale ma preoccuparsi di entrambe contemporaneamente: ricordiamo che il corpo è il mezzo attraverso cui si muove la mente. Se il corpo non è in forma la mente ne risente e viceversa, se la mente è affaticata da pensieri, rimuginazioni o preoccupazioni a lungo andare il corpo ne risentirà.
Per gestire la stanchezza è necessario percepirla: se ci siamo “allenati” a non sentirla, ad anestetizzarla, potremmo essere diventati insensibili ai segnali corporei che la comunicano. Riprendere contatto con questi segnali è quindi un primo passo per iniziare a prendersi cura di se e contrastare il malessere.
A questo scopo risulta importante riconoscere la differenza tra quella che viene chiamata stanchezza sottile e stanchezza grossolana: quest’ultima è più semplice da percepire e, in genere, facilmente arriva a consapevolezza. Diverso è per la stanchezza sottile, essa è una forma più lieve di stanchezza psicofisica che non raggiunge la soglia della piena consapevolezza, non toglie energia al corpo, per cui ci si sente attivi fisicamente, ma ci rende più propensi a sperimentare rabbia, ansia e frustrazione.
Secondo alcuni studi, per riconoscere i primi segnali della stanchezza sottile, una pratica efficace è rappresentata dalla mindfulness ovvero una pratica di meditazione orientale che nel tempo si è dimostrata utile nella gestione di diversi disagi psicologici tra cui la fatica e il dolore cronici.
Sembrerebbe essere uno strumento molto adatto ad aiutare la mente a stare nel qui ed ora, a riconoscere i segnali che arrivano dal nostro corpo e dalla nostra mente, una sorta di lente di ingrandimento che ci aiuta a porre l’attenzione sui messaggi, anche minimi, che la nostra mente e il nostro corpo ci mandano così da poter identificare strategie per rispondere alla stanchezza e gestire le energie fisiche e mentali in modo ottimale.
Comunque, per riprendersi dalla stanchezza mentale, è prima di tutto necessario eliminare tutte le cause alla base della stanchezza psicofisica, quindi andare ad agire su tutte le fonti di stress che hanno sovraccaricato i nostri circuiti cerebrali.
Ulteriormente si può andare a lavorare ed a modificare il proprio stile di vita anche attraverso, ad esempio, una dieta bilanciata, un programma di esercizio regolare e un adeguato riposo.
Bisogna favorire il rilassamento e quindi, più concretamente, ridurre ad esempio il carico di lavoro o di studio, evitare di ampliare il novero delle cose da fare o da ricordare, fare pause frequenti durante le varie attività, dormire almeno otto ore a notte, stabilire una routine quotidiana, ascoltare musica rilassante, praticare attività sportiva o passeggiare all’aperto…
Oltre a seguire queste norme comportamentali, si può pensare di far ricorso a rimedi praticati sin dai tempi più antichi, ad esempio molto efficace nel combattere l’affaticamento mentale, è l’aromaterapia, pratica che attraverso la diffusione nell’ambiente di oli essenziali contrasta gli stati di affaticamento transitori e cronici, favorendo uno stato di rilassamento e facilitando il riequilibrio delle funzioni psico-fisiche.
Inutile dire, in conclusione, che, laddove i segnali patologici diventano veramente importanti l’unica strada davvero percorribile è ricorrere ad un percorso terapeutico.

Notazioni Bibliografiche:
– “I sabotatori interni. Il funzionamento delle organizzazioni patologiche di personalità”, F. Gazzillo, Cortina Raffaello;
– “Neuroscienze delle emozioni. Alla scoperta del cervello emotivo nell’era digitale”, M. Balconi,
Franco Angeli.