Morire per Kiev? L’occidente dice no


Con immagine di Igor Belansky.

Tra stragi di civili e sanzioni del fronte occidentale, la guerra in Ucraina prosegue senza soluzione di continuità. Sono pagine su cui si riflette non solo la perdita di un equilibrio geopolitico, su cui si agita lo spettro della storia recente, che si articola a partire da due paesi che sono stati in disaccordo dalla caduta dell’Unione Sovietica nel 1991, a cui si sovrappone la controversa dialettica tra Russia e NATO (Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico).

A seguito dell’annessione unilaterale della Crimea e delle guerre del Donbas, all’incirca già dal 2014 sembrava essersi moltiplicato il rischio di una possibile massiccia invasione russa dell’Ucraina. Per comprendere più in dettaglio le dinamiche che hanno portato all’escalation del conflitto, è dunque necessario risalire fino alle relazioni dell’Ucraina con l’Impero russo, poi Unione Sovietica e ora Federazione Russa, e al percorso di democratizzazione ed europeizzazione avviato dal governo di Kiev.

Ulteriormente, l’incompiuta rivoluzione arancione del 2004 e la rivoluzione della dignità del 2013 hanno avvicinato l’Ucraina al mondo occidentale e hanno innescato quella profonda crisi interna e internazionale con la Russia, non dissimile per evoluzione da altri stati dell’orbita post-sovietica, e aiutano a comprendere completamente le ragioni dei venti di guerra che spazzano l’Europa oggi.

Poi è venuta davvero l’invasione russa dell’Ucraina nello scorso febbraio. Il terribile massacro avvenuto a Bucha rappresenta l’ultimo tassello di un puzzle ancora lontano dall’essere completato e i negoziati per la pace sfumano. L’Occidente sta facendo bene la sua parte con un mix di forniture militari e sanzioni senza precedenti che ha come obiettivo di compromettere l’accesso della Russia al sistema di interrelazioni mondiali denominato globalizzazione e l’accesso alle sue riserve valutarie?

Nel conflitto ucraino stanno emergendo calcoli utilitaristici che troppo spesso mal si adattano al senso dei Diritti Universali dell’Uomo, alle leggi del Diritto Internazionale e quanto mai alla Giustizia Divina.

L’Occidente riscontra ormai la propria inevitabile rivalità geopolitica ed economica con la Russia che, mal digerendo e sfidando il dilagare della globalizzazione capitalista, a sua volta tenta di espandere le proprie aree di influenza. La controversia tra due modelli di potere, la democrazia liberale e l’autocrazia, diversi ma similmente direzionati da logiche spesso estranee al bene comune, si innerva su competizione dei mercati, import/export dei prodotti finiti, materie prime e forniture energetiche.

Sotto il punto di vista militare, la NATO è restia a scendere in campo direttamente, appellandosi alla regola che solo un attacco ad un paese membro lo consentirebbe, per non ingaggiare la Russia in una imprevedibile escalation che potrebbe arrivare fino ad una guerra mondiale o nucleare.

L’interesse occidentale pare essere di condurre con la Russia una guerra economica e finanziaria, attraverso un mix di sanzioni e embarghi proporzionati alle premesse e agli esiti della guerra convenzionale sul terreno condotta dall’Ucraina, sostenendola con armi, mezzi ed altro, in modo che almeno possa resistere più a lungo possibile.

Di fatto, maggiori sono durata e cruenza del conflitto, maggiormente giustificate sono intense ritorsioni adottate per mettere in ginocchio Mosca e il suo fronte interno. Quindi, il rombo del cannone alimenta la battaglia dei soldi.

Così ad occidente, come la Polonia minacciata nel 1939 da Terzo Reich e URSS valeva il principio di «non morire per Danzica», oggi più che mai potrebbe dirsi «non morire per Kiev».

Infatti, vige un tacito limite oltre il quale non spingersi anche se la Russia giungesse ad estreme conseguenze. Per alcuni analisti, sarebbe l’ipotesi in cui impanata nel conflitto, impossibilitata a una conquista di territori tale da non dover perdere la faccia, come d’altronde fecero gli USA con il Giappone nel 1945, Mosca volesse abbreviare i tempi, facendo cascare sulla testa degli ucraini qualche ordigno atomico di teatro, ossia privo di un raggio d’azione esteso al punto di costituire un pericolo per i paesi confinanti.

In tal caso, guardando al cosi detto «Club nucleare», di cui prima è la Russia con 5,977 testate, seguita dagli Stati Uniti con un arsenale di 5,428, poi da Cina, Francia, Regno Unito, Pakistan, India, Israele e Corea del Nord. Se cinque di questi paesi non sono ostili al gigante russo, è difficile pensare che i rimanenti desiderino avviare un giro di danza dove, se salta in aria il primo, con un effetto a catena tutti gli altri gli vanno appresso. E buonanotte ad ogni possibile interesse politico, economico o quanto meglio.

L’Ucraina sarà destinata a restare in balia di sé stessa, rammaricandosi di aver rinunciato, con il Memorandum di Budapest del 1994, al proprio arsenale nucleare ex URSS in cambio di garanzie di integrità territoriale oggi diventate cartastraccia.