Nell’inferno di Mariupol


Reportage in esclusiva per WeeklyMagazine.

Darya T. è appena giunta dall’Ucraina. Il suo viaggio è una delle tante odissee che in questi giorni si compiono lontano dai riflettori e dai reporter di guerra.

Darya lavorava come inserviente all’ospedale pediatrico – ginecologico di Mariupol, la città portuale affacciata sul mar d’Azov assediata e bombardata dalle truppe russe. Ha lasciato tutto ed è scappata quando le bombe hanno iniziato a cadere sugli edifici del policlinico ginecologico e pediatrico. È spaventata Darya, lo sguardo perso lontano, a cercare chi forse non c’è più, chi non ne è uscito. Come la donna incinta fotografata mentre la evacuavano dalle rovine dell’ospedale su una barella di fortuna. Lei non ce l’ha fatta: aveva il bacino schiacciato. I dottori hanno fatto nascere il bambino tramite taglio cesareo ma non mostrava segni di vita. Subito dopo anche la madre è deceduta. La notizia è stata riferita dai media internazionali. Era stata trasportata d’urgenza in un altro ospedale dopo l’attacco la scorsa settimana ed era stata fotografata, distesa su una barella, mentre si teneva con le mani il grembo insanguinato.

Le pazienti non deambulanti evacuate con le barelle

Non si tratta – come vorrebbe la propaganda di Putin – di Marianna Podgurskaya, blogger e influencer ucraina fotografata con un pigiama a pois e una ferita alla testa mentre lasciava l’ospedale camminando. Lei che ha partorito una bambina tre giorni fa; in questo caso mamma e bimba, secondo quanto riferito nei giorni scorsi dai reporter sul posto, stanno bene.

Darya non sa nulla di quella madre e di quel bambino. Lei era già fuori e correva.

Si è rifugiata dal fidanzato, che a causa di una gamba malconcia non è abile alle armi. Si sono rifugiati in una cantina mentre il ragazzo – che chiameremo Pasha, ma è un nome di fantasia – cercava un contatto per poter fuggire. La notte successiva alcuni amici li hanno aiutati a salire su un peschereccio georgiano diretto in patria. Dopo tre giorni di navigazione sono stati intercettati presso Soci, poco prima delle acque territoriali Georgiane, ma fortunatamente la motovedetta russa è stata tenuta a bada con qualche cassetta di pesce fresco. Giunti in Georgia i due sono arrivati a Tbilisi dove si sono imbarcati per Milano, via Istanbul.

Darya ci racconta tutto questo grazie alla cugina che vive in provincia di Alessandria e ci fa da interprete. Non vuole essere fotografata, gli occhi azzurri sono costantemente lucidi e le mani tremano quando ci racconta la sua avventura. I due proseguiranno per il centro Italia, dove il fratello di lui lavora da anni come muratore, ma non ci vogliono lasciare un recapito, troppa è ancora la paura che qualcuno possa far loro del male. Sperano di potersi sposare presto, possibilmente in patria se la guerra finirà presto.

Pasha la stringe a sé, le sussurra parole di conforto. Entrambi non hanno notizie dei parenti. I genitori di entrambi sono morti da alcuni anni e i due convivevano in un appartamento a pochi passi dall’ospedale generale, dove c’è anche la terapia intensiva, che lunedì l’esercito russo ha preso in ostaggio con i pazienti, i medici e gli infermieri. In tutto sono 400, compresi anche normali cittadini trascinati dentro dagli invasori. Dalle finestre, secondo il Media Human Rights Institute, i soldati invasori sparano contro postazioni dell’esercito ucraino. Il vicesindaco Orlov ha detto alla Bbc: «Stanno usando pazienti e medici come ostaggi. Sono in un seminterrato». I russi hanno sparato, ferendo coloro che hanno provato a fuggire.

L’esterno della struttura sanitaria

Darya e Pasha hanno ricevuto solo una telefonata venerdì notte che li informava che tutti gli abitanti del loro quartiere sono stati evacuati: la speranza è che anche i parenti abbiano potuto attraversare uno dei malsicuri corridoi umanitari sui quali alcune volte i russi paiono accanirsi al chiaro scopo di centrare i civili, come sul teatro della città.

I due giovani hanno lasciato tutto: gli affetti, gli amici, tutti i loro beni e la casa che stavano terminando di arredare in vista delle nozze. “Fortunatamente siamo vivi, e potremo raccontarlo ai nostri figli” dice lei in un sussurro.

Non c’è odio nei confronti dei soldati che le hanno quasi strappato la vita. “Sono ragazzi spaventati, non è colpa loro, ma di chi li comanda”, ci dice.

Le chiediamo cosa ha visto all’ospedale, se è vero che c’erano anche soldati regolari ucraini all’interno.

L’interno del reparto di ostetricia

“C’era sempre una camionetta parcheggiata fuori dall’ingresso delle ambulanze. I soldati temevano l’infiltrazione di spetsnaz, guastatori addestrati dell’esercito invasore. Quando hanno iniziato a bombardare, le pazienti e i bambini erano quasi tutti negli scantinati, ma purtroppo alcuni di loro non erano ancora stati trasportati. I medici hanno subito preparato tutte le barelle disponibili e molti vigili del fuoco hanno aiutato a sgomberare i reparti più colpiti.”

Ci racconta poi della sua fuga: “Abbiamo accompagnato due donne e cinque bambini a un’ambulanza che le avrebbe portate all’ospedale generale, poi un infermiera mi ha preso per mano e mi ha fatto attraversare la strada. Ci siamo nascoste in un palazzo e ho potuto chiamare Pasha col cellulare. Per fortuna le linee non erano interrotte. Siamo corsi a casa e abbiamo preso poche cose, anche l’oro che avevamo e che abbiamo poi venduto ai pescatori per comprare i biglietti dell’aereo”.

La precipitosa fuga di Marianna Podgurskaya

Le diciamo che la stampa russa ha dichiarato che il complesso ospedaliero era in realtà un rifugio di militari ucraini. Alcune immagini dell’evacuazione dell’ospedale sono state usate infatti dai media e dai funzionari russi per affermare che il bombardamento fosse “una messa in scena” con “attori come protagonisti”. Nei giorni scorsi il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov aveva anche detto che l’ospedale era usato come base dal battaglione Azov e che al suo interno non ci fossero pazienti.

Vediamo gli occhi della giovane gonfiarsi di rabbia, mentre il fidanzato sbotta: “Al massimo c’erano quattro o cinque militari in tutto l’ospedale! Avete visto anche voi le foto dei feriti. Cosa credono quei… che ammazziamo la nostra gente per fare propaganda?”

In effetti è una buona domanda.