Nuove menzogne, vecchi mentitori


Lo scorso giovedì si è tenuto sul campo neutro della città turca di Antalya, il primo (e speriamo non ultimo) colloquio tra i due massimi esponenti delle diplomazie russa e ucraina, Sergei Lavrov e Dmytro Kuleba.

Si è trattato, ci avremmo scommesso il casinò di Campione contro uno sputo, di un nulla di fatto. Nonostante la popolazione ucraina continui a morire, le diplomazie procedono a rilento nel loro lavoro di dialogo, smussamento degli spigoli, ricucitura degli strappi e limatura dei termini. È sempre stato così, ce lo dobbiamo aspettare anche in questa maledetta guerra che sta facendo molte più vittime di quanto si sarebbe pensato. Lo stesso Putin che sperava in una guerra lampo sta forse iniziando a rendersi conto che la presa di Kiev – e di tutta l’Ucraina – richiederà un tributo di sangue molto elevato. Saranno anche i militari russi a pagarlo, come si sta già accorgendo chi legge le cifre della guerra. Migliaia di soldati morti che non torneranno in patria e alle cui famiglie prima o poi il nuovo despota post-sovietico dovrà rendere conto.
Ma tutto ciò, cinicamente, fa parte di quel palinsesto di orrori che ogni guerra a modo suo ci pone davanti agli occhi.
Avendo potuto veder personalmente la situazione dei profughi che sfuggono attraverso il confine polacco (ma in Ungheria, Romania o Moldavia la situazione è identica) mi chiedo cosa proverebbe un diplomatico se sapesse che la propria famiglia si trova da giorni sotto la neve e la pioggia, senza viveri o coperte, con la sola speranza di raggiungere un rifugio sicuro.
Invece i colloqui tra le parti sembrano sempre avvenire su di un altro pianeta, o almeno in un eden miracoloso, non sfiorato dal male degli uomini.
A Mariupol mercoledì scorso i russi hanno bombardato l’ospedale pediatrico. È il secondo dopo quello di Chernigov, il che desta il sospetto che questo tipo di bersaglio sia voluto (Putin novello Erode? Vuole evitare di combattere con la prossima generazione di ucraini?). Il fato è di per sé terribile, ma ciò che più angustia chi scrive, e credo, spero anzi, anche chi legge, è la spregiudicata protervia di un miliardario gerarca di quella grande potenza assurta ormai al ruolo di madre degli stati canaglia, il quale asserisce, con la nonchalance di una cicala sul ramo, che l’ospedale era vuoto, che era stato sgombrato da due settimane e che non ci sono state vittime.
Ci chiediamo, ammettendo per un attimo che ciò sia vero, perché un esercito dovrebbe sprecare missili e bombe su di un edificio vuoto, senza alcuna valenza militare, né tattica né strategica.
Purtroppo per Lavrov le fotografie e i filmati parlano, anzi, gridano lo strazio di quelle madri che hanno perso i figli sotto il bombardamento.
Siamo alle solite: la vecchia Unione Sovietica era solita negare l’evidenza e la sua propaganda ha più volte nel corso degli anni superato il confine del ridicolo. A quanto pare che è cresciuto sotto quel regime non ha perso il vizio. Nemmeno i politici più navigati riescono a stare al passo con la nomenklatura russa nel raccontare le balle più clamorose.
Ma non riusciamo, questa volta, a ridere. Quei morticini sono lì, e ci rammentano quanto distanti siano ancora le idee dei due contendenti.
Non voglio dilungarmi con frasi ‘strappacore’. Il dolore, vissuto in parte anche in prima persona, è già grande così come immagino lo sia in chi legge, salvo i soliti imbecilli che sbraitano di genocidi perpetrati dagli ucraini nel Donbass. Addirittura qualcuno ha accusato Zelenskji di aver assassinato mezzo milione di ebrei, dimenticando forse che anch’egli appartiene a quella religione.
Purtroppo la madre dei somari è sempre incinta e non sprecheremo più parole di biasimo per questa gentaglia, augurando loro solo un bel viaggio a Kiev nei prossimi giorni.