NO Green Pass: Trieste chiama, Roma risponde


«Essere liberi è cosa da nulla: divenirlo è cosa celeste». (Johann Gottlieb Fichte).
Le vicende del movimento No Green Pass, tra dissociazione ed irriducibilismo.

Ormai è un movimento nazionale con tanto di leader, da Trieste a Roma, con Puzzer e Montesano. Le ragioni storiche e sociali per cui piazza nevralgica della protesta è diventata Trieste, bella e colta, la città più cosmopolita d’Italia. Laddove si respira il glorioso passato asburgico de “la piccola Vienna sul mare” e negli incroci di lingue, popoli e religioni che ancora caratterizzano un’anima insieme mitteleuropea e mediterranea.

Dissociazione, nel senso durkheimiano di ”anomia” (assenza o mancanza di norme), ed irriducibilismo, ossia fenomeno protestatario ideologicamente “allergico” a ogni forma di compromesso, sono le ombre che lambiscono la scena delle attuali vicende del movimento No Green Pass, il quale però difficilmente si trasformerà in elemento di rivoluzione e di trasformazione positiva della nostra società.

E’ tuttavia interessante concentrare l’attenzione su alcuni fattori che, forse non casualmente, stanno caratterizzando eventi largamente ripresi in questi giorni dalle cronache.

Sono migliaia le persone in piazza, in corteo autorizzati o meno, a scandire slogan diventati oramai simbolo delle proteste no pass. Numerose le manifestazioni al nord, da Aosta a Trento, Vicenza, Padova, Bologna. Ogni giorno ma specialmente il sabato. Tanti sono stati i sabati consecutivi.

Grande fermento, sabato 23 ottobre 2021. Pomeriggio di manifestazioni in tutta Italia contro l’obbligo del green pass. Da Trieste, dove sono anche i portuali genovesi, a Milano dove sfilano al grido di “Trieste chiama, Milano risponde”. Fino a Roma, dove la piazza, già in precedenza agitata da personaggi illustri, quali l’avvocato Carlo Taormina o il vice questore Nunzia Alessandra Schilirò, al Circo Massimo viene arringata da un attore, Enrico Montesano. Che invoca la resistenza, che denuncia il capitalismo della sorveglianza.

Montesano si trasforma in un esponente di punta del movimento no vax. Immagina a breve una nuova forza politica che rappresenti i “resistenti” alla dittatura sanitaria e chiama “fratelli” chi protesta a Trieste. Trieste chiama, Roma risponde. La battaglia si vince in tutte le piazze d’Italia. L’importante è dare un segnale democratico.

A Trieste c’è aria di lotta sociale, in tanti guardano al capoluogo giuliano. Al grido dello slogan “Battaglia di libertà, pronti a restare a oltranza”, i portuali diventano la falange dei cortei contro il lasciapassare anti Covid. Trasformano Trieste in capitale della rivolta. I no pass italiani faranno come i gilet gialli francesi? No, almeno a Trieste, secondo quanto dichiara Stefano Puzzer, portavoce dei portuali ribelli. Il Coordinamento 15 ottobre è un’organizzazione non politica, ma spontanea ,che cesserà una volta accolte le richieste avanzate. In un intervista a ‘Mezz’ora in più’ su Rai 3, riferisce di non aver nessuna voglia di fare politica, vuole soltanto che i suoi diritti siano rispettati. E’ un facchino e vuol tornare a fare il facchino.

Strano uomo, Puzzer, non ha brama di mettersi in mostra. A Trieste il “bubez” (garzone dal tedesco der Bube), cioè più o meno quello che lui fa di mestiere, è, come ovunque, una figura non certo di grande prestigio. A Trieste tutti sono capi, o perlomeno tutti vorrebbero esserlo o si credono tali. Tanti capi, quindi, e molta litigiosità. Questa è una ragione per cui in città non si muove foglia. Anarchico per natura, il triestino rifiuta le istituzioni e non accetta le imposizioni: si tratta di anarchia filosofica senza alcuno spunto politico, e questo dà credito alle affermazioni di Puzzer. In realtà, se analizziamo la questione a fondo, scopriamo una consapevolezza viscerale di essere dominato e non dominatore, in un mondo di lupi a lui estraneo e non congeniale. Il rifiuto di questa condizione porta al paradosso sopra esposto.

Conosciuti i tratti salienti del carattere della gente triestina, viene quindi da chiedersi se essi siano stati determinati a rendere la loro città il luogo ideale per diventare il centro nevralgico di una contestazione a livello nazionale. Presumo di si, considerando inoltre che ogni forma protesta ha maggiori possibilità di sorgere e svilupparsi laddove esista un contesto territoriale storicamente agitato.

La risposta è dunque nella storia, influenzata dalla dominazione asburgica, nella posizione geografica, verso i Balcani, che fa di Trieste una città particolare, splendida e inquieta, dallo spiccato carattere mitteleuropeo. Situata nell’estremo nord-orientale dell’Italia, in Friuli Venezia Giulia, essa è stata, per secoli, luogo di frontiera il cui segno si rivela in eleganti capolavori, storici, artistici e architettonici.

Lo sguardo va dunque rivolto all’indietro nel tempo, a Trieste simbolo, insieme a Trento, dell’irredentismo, di terre o popolazioni non ancora riunite alla madrepatria e soggette al dominio straniero; per antonomasia, di quelle terre italiane rimaste sotto l’Austria dopo la terza guerra d’indipendenza (1866).

Dopo un secolo tumultuoso, percorso ad esempio dai moti del 1821 e del 1831, dalla deportazione politica in America da parte del governo asburgico dei patrioti italiani del Risorgimento attraverso il porto di Trieste nel 1836, fino alle contestazioni in occasione censimento del 1910 inerenti la “lingua d’uso”, giunge nel 1915 la prima guerra mondiale. Ma nessuna pace, al suo termine quando la città viene occupata dalle truppe del Regno d’Italia il 3 novembre 1918, e con il trattato italo-jugoslavo di Rapallo del 1920, che nei territori limitrofi pone, sotto la sovranità italiana, una popolazione di circa 500.000 slavi. Questi ultimi sono quindi oggetto di una politica di italianizzazione forzata, condotta dal fascismo agendo con misure fortemente repressive.

A seguito delle alterne vicende della seconda guerra mondiale, nei giorni precedenti la capitolazione germanica, le forze partigiane jugoslave occupano ampie porzioni di territorio italiano e, quando si parla di foibe, sul confine orientale la storia sembra cominciare a Trieste nell’aprile 1945. Solo dopo delicate trattative con gli alleati, nel giugno del 1945, le forze titine si ritirano, sulla base di una spartizione provvisoria dei territori. Viene assegnata al controllo degli Alleati la cosiddetta Zona A, comprendente Trieste, una parte del Carso, Gorizia e una fascia di territorio compreso tra il vecchio confine del 1915 e gli altipiani sulla sinistra dell’Isonzo. Sotto l’amministrazione jugoslava resta invece la Zona B, che include la parte orientale della provincia di Gorizia, l’Istria (con la sola eccezione di Pola) e Fiume.

Tra l’aprile e il luglio del 1946, la conferenza di Parigi per la definizione dei trattati di pace discute le tesi italiana e jugoslava. Si raggiunge una soluzione di compromesso con il Territorio Libero di Trieste (TLT), ufficialmente costituito il 16 settembre 1947, che dovrebbe essere sovrinteso un governatore designato dall’ONU. Non essendovi, però, di fatto un accordo tra le potenze per l’attribuzione di questa carica, vengono ancora mantenute le preesistenti amministrazioni della Zona A e della Zona B.

Nel periodo compreso fra il 1945 e il 1954, vede Zona A segnata da moti giovanili che contestano il Governo Militare Alleato. A raccogliere il testimone dalla generazione di poco precedente, che si è caricata sulle spalle l’onere non indifferente di restituire Trieste alla democrazia, che si è sacrificata prima nella Resistenza e nell’insurrezione armata del 30 aprile 1945, e poi fronteggiando almeno fino al 1948 gli antagonisti comunisti filo jugoslavi, sono gli studenti medi e universitari triestini.

Nel corso di quasi nove lunghi anni si rendono attori e protagonisti di grandi manifestazioni di italianità, che culminano negli scontri cruenti del marzo 1952 e nei tragici incidenti del novembre 1953, durante un autunno intriso di speranza ma colorato di sangue. Il Governo Militare Alleato dovrebbe concludersi, il ritorno dell’Italia a Trieste sembra imminente, ma fra il 4 e il 6 novembre del 1953, la piazza si anima e una apparentemente situazione di gestibile dissidio sfocia in scontro aperto. Perdono la vita sei persone. Numerosi i feriti, diversi gli arrestati. Soltanto nell’ottobre del 1954, in seguito ad accordi diretti tra Jugoslavia e Italia, gli Alleati passano a Roma l’amministrazione di Trieste.

La questione viene definitivamente risolta con il trattato italo-jugoslavo di Osimo (AN) nel novembre del 1975, allorquando altri ragazzi ribelli di Trieste si fronteggiano negli schieramenti di destra e sinistra. In particolare, il viale XX Settembre e le vie adiacenti sono di esclusivo appannaggio delle formazioni di destra estrema. Casa loro. Lì per i tutti gli anni Settanta hanno le loro sedi i militanti di Avanguardia nazionale e del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del Movimento sociale. Da lì partono in gruppi per diffondere volantini all’esterno delle scuole e per far valere la loro presenza nei cortei e nelle manifestazioni.

Altrettanto avviene sul fronte opposto, dando origine a sussulti che covano sotto la cenere nei decenni successivi. Ancora la notte tra il 15 e il 16 settembre 2001, una bomba esplode a Trieste e ritorna il terrorismo. Il documento di rivendicazione è firmato dai Nuclei territoriali antimperialisti e rilancia la lotta armata contro Stato, governo e sindacati.

E la storia continua ai nostri giorni.