PsicologicaMente – La sindrome dell’impostore


“Niente è più facile che ingannare se stessi. L’uomo crede vero tutto ciò che desidera.” (Demostene).

Cari lettori,
questa settimana tratterò di un “disturbo”, molto diffuso ma spesso ignorato da chi ne soffre, sto parlando della Sindrome dell’impostore.
Si tratta di una patologia studiata ed approfondita negli anni ’50 grazie alle psicologhe americane Pauline Clance e Suzanne Imes, le quali hanno coniato questo termine al fine di indicare uno status psicologico caratterizzato dal convincimento di non essere meritevoli dei successi raggiunti.
Nello specifico la sindrome dell’impostore nasce dall’idea che i propri buoni risultati, anziché derivare dalle proprie capacità e doti, nascano dal favorevole intervento di combinazioni e situazioni fortunose.
In pratica, “tutto merito della fortuna!”, esclamazione tipica di coloro che, lungi dall’autocelebrarsi, non riescono proprio a vedere il personale merito dei risultati ottenuti.
A tutto questo consegue una lunga lista di sintomi ed ulteriori patologie quali ansia da prestazione, perfezionismo, incertezza, timore del fallimento e paure di varia natura.
Così facendo, in sintesi, si finisce col sentirsi frenati da una perenne zavorra che ci ostacola il vivere quotidiano e ci preclude la maggior parte delle esperienze ed opportunità che ci si presentano.
Ma cerchiamo di indagare i natali di questa patologia.
Alla base certamente non può esserci un’unica causa scatenante, molto deriva dalla personalità e dall’indole, potrebbe, infatti, esserci una più o meno forte propensione all’ansia.
Oppure tutto può avere origine da aspetti comportamentali, ad esempio il confronto con genitori ipercritici o la competizione con un fratello.
Anche la percezione di non sentirsi accettato e parte attiva di una comunità può generare il proliferare di pensieri riduttivi e negativi verso sé stessi.
Salvo pochissimi fortunati, tutti noi abbiamo, almeno una volta, sofferto della Sindrome dell’impostore. Pensiamo alle volte in cui dubitiamo delle nostre competenze e sminuiamo le nostre qualità.
Va detto che sono le donne, in particolare, a sottovalutarsi ed abbattersi molto più degli uomini, è risaputo che esse accettano una sfida, sia essa lavorativa o meno, solo quando si sentono in grado si affrontarla al cento per cento, insomma non sono giocatrici d’azzardo tanto quanto gli uomini.
Consideriamo poi che, anche la digitalizzazione ha aggravato la situazione. Non poter toccare e vedere effettivamente cosa ci riserva il mondo intorno a noi ci porta ad ipotizzare che là fuori ci siano strane creature che, forti di chissà quali strani e soprannaturali poteri, risultino più bravi, più preparati e più fortunati di noi.
A tutto questo aggiungiamo che, ormai, viviamo in una società il cui primario obiettivo è il profitto, e ciò non fa altro che accrescere il senso di inadeguatezza e l’avvilimento di chi si ritrova a credere che il valore di un uomo derivi esclusivamente dai risultati economici e professionali raggiunti.
Molto interessante è indagare come si manifesta la Sindrome dell’impostore.
Nella vita di tutti ci sono momenti caratterizzati da incertezze legate a vari avvenimenti, motivi o persone che incontriamo lungo il nostro percorso, ma si tratta, appunto, di periodi molto circoscritti. Il disturbo di cui oggi parliamo ci porta, viceversa, a rimuginare costantemente sulle carenze, su ogni mancata occasione colta, su ogni paura e ogni errore che crediamo ci attribuiamo.
Più si ritorna sulle proprie ineluttabili colpe, più si perde fiducia in sé stessi, più ci si avvilisce e più ci assale la paura di sbagliare nuovamente, un circolo vizioso che finisce per bloccarci definitivamente.
Ed è in questi casi che iniziamo a costruire la nostra fortezza per decidere di calare il ponte levatoio innanzi ad una sola parola d’ordine: “perfezione”! In altre parole, onde evitare anche il minimo rischio di commettere errori, stabiliamo standard di performance così elevati che, da un lato, ci affaticano moltissimo e, dall’altro, portano come conseguenza quella di indurci alla totale astensione laddove non ci sentiamo in grado di rispettarli.
Ma anche quando, con grande sacrificio ed impegno, si raggiunge il successo, chi soffre della Sindrome dell’impostore, purtroppo, comunque non riesce a rilassarsi perché, appunto, interviene l’incapacità di riconoscere tale risultato come frutto della propria capacità e talento.
Capita spesso, infatti, che chi riceve un premio o un riconoscimento cerchi di nasconderlo piuttosto che celebrarlo, oppure cerchi di sminuirlo con dichiarazioni del tipo: “Poteva riuscirci chiunque”.
Ma, allora, come combattere questa patologia?
In effetti è difficile che la Sindrome dell’Impostore scompaia completamente, ciò che si può fare è imparare a conviverci ed a gestirla nel miglior modo possibile, talvolta sfruttandone anche l’ “effetto spinta” nella sua accezione positiva.
Dobbiamo, in effetti, trasformarci da “impostori” ad “esploratori” della nostra vita.
Il segreto perché questo malessere non ostacoli il nostro vivere quotidiano sta nell’adottare alcuni comportamenti positivi.
Prima di ogni cosa bisogna imparare a prevenire la tentazione di mettere in discussione le nostre competenze e capacità. A volte, difronte a certe situazioni, basta semplicemente adottare un atteggiamento prudente e non limitante. Ricordiamoci di quelle occasioni in cui non credevamo di poter raggiungere certi risultati ma comunque ce l’abbiamo fatta.
Altro consiglio è quello di condividere il proprio stato d’animo con persone positive e propositive, capaci di offrirci delle alternative e/o prospettive utili. Esprimere le proprie preoccupazioni attraverso il confronto certamente aiuta a diminuire la pressione interna ed a scoprire, magari, che anche altri provano le nostre stesse paure.
Ancora, sarebbe molto importante, invece che persistere nel diffidare di sé stessi, aprirsi anche alla possibilità di sbagliare, eliminare tutte le aspettative, non guardare al traguardo da raggiungere ma concentrarsi sul percorso da intraprendere. Percepire eventuali soste o errori come parte indispensabile della strada utile a raggiungere la meta.
Infine bisogna cambiare i propri parametri auto-valutativi e ridefinire gli standard delle proprie prestazioni, così da non osservarci più con lo sguardo di un arcigno e rigido selezionatore ma considerandoci nella nostra umana natura, con le nostre carenze ma anche con tutte le nostre peculiarità.
Tutto ciò può essere foriero di nuove esperienze e del ritrovamento di quella vitalità indispensabile per affrontare ogni giorno che ci aspetta.

Notazioni Bibliografiche:
– “Cogito Ergo Soffro”, G. Nardone, G. De Santis, Ponte alle Grazie;
– “Psico Trappole”, G. Nardone, Ponte alle Grazie.