Il voto e il non voto della protesta


Cronache intricate di settimane cruciali per gli immediati destini nazionali.

Questo è un tuffo nella cronaca di queste settimane, che ci porterà ad un intreccio di fatti e narrazioni, personaggi e destini illustri, in una situazione nazionale complicata, che rischia di diventare una miscela esplosiva.

Si, d’accordo, le elezioni amministrative non sono elezioni politiche, dove il cittadino si appassiona di più, ed ancor più l’ultima tornata è stata preceduta e oscurata da giornate di polemiche su manifestazioni, scontri, violenze e assalti di facinorosi, pure contro sedi istituzionali, ma le convinzioni personali vengono vanificate. Chi maggiormente si disamorerà è la maggior parte delle persone estranee ai partiti, gli ultimi, le periferie cronicamente dimenticate? Ossia chi vede che, come sempre, il dibattito politico non sta vertendo abbastanza su questioni sociali effettive, tra divagazioni tattiche e perenni annunci.

Stridenti mugugni, latrati e lamenti nel centrodestra. Un risultato che definire deludente è forse dire poco, in generale paga dazio nelle grandi città, si consola soltanto con la Regione Calabria e Trieste. Già! La Trieste che, sotto giogo asburgico, insieme a Trento era “città siamese” dell’irredentismo, che non ha smentito il proprio atavico spirito nell’escalation di dimostrazioni scattata il giorno 15 ottobre, inizio dell’obbligo del Green Pass per accedere ai posti di lavoro.

Una patata bollente di cui sono divenuti protagonisti i portuali del capoluogo friulano, a cui si sono subito dopo aggiunti i no vax, sovrapposti i manifestanti no Green Pass da ogni dove, fra ripetuti scontri, lanci di sampietrini e bottiglie talora sedati con getti d’acqua dalla polizia. Un caos ma le forze dell’ordine hanno dimostrato capacità di controllo. C’è chi ha soffiato sul fuoco. Nel clima tuttora pesante, si temono ulteriori ripercussioni: scioperi per bloccare i porti italiani, infiltrazioni che procurino disordini dannosi a tutti e astensioni dei camionisti, che trasportano merci da un capo all’altro dell’Italia per rifornire i supermercati.

È intervenuto, con parole di apprensione, anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel corso di una sua visita a Pisa. Nondimeno il governo pare non recedere, ma solo per dichiarato rispetto verso i vaccinati? Imperterrito, da buon banchiere, a tutto vapore, Draghi procede su economia e Pnrr. Ma può dormire sonni tranquilli pensando a Green Pass, infiltrazioni eversive, effetti delle proteste su economia e ordine pubblico? Forse no, vedremo il motivo.

In tutto il centrosinistra, si può finalmente festeggiare. Si esulta, si arriva a intonare l’inno “Hip hip hurrà” alla grande vittoria di Roma e Torino, ma non solo, visto il sunto dei ballottaggi che hanno interessato 65 comuni, tra cui altri capoluoghi di provincia quali Savona, Varese e Trieste, insieme a Benevento, Caserta, Latina, Cosenza e Isernia. Tutto dopo le importanti affermazioni al primo turno di Napoli, Bologna e Milano. I tripudi non sono però bastati a risparmiare anche alla città meneghina scontri e violenze.

Questo clima di tensione, sviluppatosi per giorni interi, giungendo ad azioni di guerriglia urbana, ha accompagnato il paese alle urne, facendo perdere a tanti la voglia di recarvisi? Ovviamente, i dati relativi all’affluenza sono stati ovunque negativi.

Nella Capitale ha votato soltanto il 40,68% dei cittadini, 8 punti sotto la percentuale del primo turno, nonostante nelle ore precedenti le sigle confederali abbiano organizzato un’imponente manifestazione a San Giovanni, oltre 50mila persone con bandiere e striscioni. Per Landini, leader maximo CGIL, è stata la “festa di tutti”, la reazione dovuta ai fatti del 9 ottobre, per Roma data fatidica di una famigerata manifestazione di No Green Pass a Piazza del Popolo. Più di 10mila manifestanti tranquillamente gremiti in una delle più belle piazze d’Italia, finché una frazione di eversivi non si è riversata nel centro storico, a Villa Borghese, quindi alla sede nazionale della CGIL, devastandola. Lancinanti le immagini televisive: scrivanie, computer, telefoni messi a ferro e fuoco; porte e vetri sfondati; la schermaglia con poliziotti, sotto attacco dei violenti, intenti a limitare i danni.

Il ministro degli Interni, Luciana Lamorgese, a certi livelli non piacciono i femminili, sarà chiamato a rendere conto in Parlamento; la prima volta a muso duro contro un’altra donna, Giorgia Meloni. Dimissioni finalmente al Viminale? E Forza nuova è da sciogliere? Al termine della discussione parlamento, dopo il solito minuetto fascista-antifascista, astensione incrociata sulle mozioni di scioglimento centrosinistra (rivolta appunto a Forza Nuova) e di centrodestra (rivolta ad ogni formazione eversiva in genere).

Ecco la cronaca piuttosto sofferta, benché romanzata, di una delle più critiche fasi della recente storia nazionale, contrassegnata da proteste durate tutta una settimana e, almeno secondo il mainstream, destinate a scemare a urne chiuse. Ufficialmente, molti no Green Pass, migliaia e migliaia, sono ricorsi a tamponi o prime vaccinazioni per tornare al lavoro, una volta resi esausti dalle violenze degli infiltrati. Ma ciò non fa a pugni con altre notizie, anche frammentarie, qua e là carpite, specie sui social media? Ogni giorno in arrivo pullman a Trieste per alimentare il blocco; tamponi in aumento a discapito di prime vaccinazioni con farmacie in tilt; certificati di malattia a livelli esponenziali. Il Green pass fa cilecca tra perduranti disservizi e sommovimenti? Chi avrà ragione?

Attraversiamo, insomma, un periodo pregno quanto meglio possa stimolare la fantasia dei commentatori. Una fantasia che, lo si intuisce, oramai ha tanto bisogno di conferme. Specialmente fra coloro i quali, non molto tempo fa ancora, sostenevano una sostanziale stabilità del sistema politico italiano, per via di una costanza dei rapporti di forza fra i partiti e di un elevato tasso di osservanza dell’appartenenza politica.

Purtroppo, per costoro oggi c’è poco da fare. È stramaledettamene noto, e non c’è peggior sordo di chi non voglia sentire, che da almeno dieci anni gli elettori abbiano iniziato a essere sempre più mobili, a perdere perfino quella fedeltà (leggera) di voto che il sociologo Paolo Natale aveva riscontrato persistere fino agli albori del terzo millennio.

Da allora, su ogni appuntamento elettorale ha pesato una forte carica emotiva, tra scontri interni ai partiti e tra i partiti, tra tensioni mai sopite della crisi economica, e altalenanti ondate di maggiore o minore contestazione. Di conseguenza, le preferenze degli elettori sono mutate con facilità. Sarà perché essi si sono chiesti a che diamine servano ancora i partiti politici? Questo è un mare magnum di informazioni, che si sovrappongono spesso in modo approssimativo, qualche volta disinvolto, un bordello di annosi problemi mai risolti. Comunque sia, vi è stata un’accelerazione vistosa del cambiamento, non solo negli orientamenti degli elettori, ma anche nell’offerta politica.

Il portato di questi continui, e talvolta repentini, mutamenti di scena è stato vissuto con attenuati entusiasmi, in una ridda di notizie e notiziole ovunque sui media. Centrosinistra avanti, indietro e di nuovo avanti. Centrodestra avanti tutta e poi una brusca frenata. Movimento 5 Stelle alle stelle e giù in caduta libera. Non diversamente alle ultime amministrative. E i flussi di voto? Come hanno votato gli elettori tra i due turni? Quelli dei candidati al ballottaggio? Quelli dei candidati sconfitti? E, infine, quale posizione hanno preso gli astenuti? Mettendo a confronto i risultati tra primo e secondo turno, più che nuovi interessanti elementi, i soloni ci hanno propinato le solite manfrine.

Dal centrodestra, ammettono una campagna elettorale iniziata molto in ritardo, per via di alcune tensioni interne all’alleanza e della difficoltà a reperire le persone giuste disposte a candidarsi. Parrebbero poi molte le défaillances di Enrico Michetti a Roma e Luca Bernardo a Milano, entrambi semisconosciuti prima del voto. A complicare il quadro, ancora il summenzionato assalto alla CGIL di Roma e le inchieste milanesi su Fratelli d’Italia, le quali hanno posto dubbi sulle contiguità di Fratelli d’Italia e Lega con alcuni gruppi neofascisti. Ma chi se frega! Dulcis in fundo, appassionatamente insieme, prima di beccarsi nuovamente a causa di un video, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, con le gambe sotto il tavolo a villa Grande ospiti di Silvio Berlusconi, gaudente per esser stato assolto nel Ruby Ter a Siena dall’accusa di corruzione in atti giudiziari. Meglio continuare a lavorare come coalizione, populismo e sovranismo forse in soffitta. No al cambiamento della legge elettorale in senso proporzionale. Si a preparare i prossimi appuntamenti elettorali e politici, con particolare attenzione all’elezione del prossimo presidente della Repubblica.

Il Movimento 5 Stelle, che aveva già preso pochissimi voti al primo turno, e al ballottaggio è stato praticamente ininfluente, con risultati da prefisso telefonico in molte città, nonostante la scoppola, è comunque in movimento. Va precisato che, con poche eccezioni come le elezioni di Roma o di Torino nel 2016, esso ha sempre avuto seri problemi ad affermarsi a livello locale (e anche regionale). Ma non risolverà i suoi patemi spingendo sul radicamento nei territori. Ebbene, spesso si è dibattuto, nel tempo, quale fosse la genesi ideologica dell’elettorato grillino. La sua identità resta quella di un movimento nato protestatario, contro la “casta”, né di destra né di sinistra”, quando ormai paiono sussistere prospettive di sopravvivenza soltanto come forza di governo nell’ambito del centrosinistra? Gli spunti ci sarebbero, dall’impegno, squisitamente grillino, per una politica più rispondente ai cittadini alle istanze ecologiche, più attuali che mai. È tutto da vedere, per il momento passi però il monito: “M5s deve riorganizzarsi” dell’attuale capo politico, Giuseppe Conte, popolarissimo in ogni sondaggio, sebbene personaggio di natura ambiguo, avendo governato dapprima con la Lega e poi con il Pd, senza colpo ferire. Intanto, quando azzimato annuncia i suoi 5 «vice» per la rifondazione del movimento, in tanti lasciano l’assemblea per protesta. Dopodiché dai giornali, un altro terremoto rischia di abbattersi sui pentastellati: sarebbero arrivati in passato finanziamenti dal regime venezuelano di Hugo Chavez? Sì, secondo ‘El Pollo’, all’anagrafe Hugo Carvajal, ex capo dell’intelligence militare del paese sudamericano.

Unico forse a potersi considerare contento Enrico Letta. Di fronte all’insperato successo le correnti interne a lui ostili si calmeranno un po’? Potrà portare avanti il suo progetto di “campo largo”, ossia quell’alleanza di centrosinistra aperta, non solo per battere la destra nelle urne ma per poi governare, anche verso l’M5s? Ma il lavoro comincia adesso e i mal di pancia presto appariranno chiari. Ci si pone l’eterna domanda: gli italiani meritano l’imposizione dell’ennesima formula politica: quale sarà realmente la ricetta di Letta? Non si tratterà soltanto una mossa tattica, attraverso la quale il segretario del Partito Democratico, nonostante gli scarsi numeri parlamentari, sta tentando di arrogarsi il ruolo di grande artefice della prossima ventura partita per il Quirinale? Muovendosi ovviamente dietro le quinte, la Lega attraverso Roberto Calderoli, su input di Matteo Salvini, gli avrebbe lanciato messaggi in tal senso.

Sebbene il voto abbia investito i partiti in maniera molto diversa, in tutta Italia, le tendenze ci mostrano come sia evidente, in questo momento, il ritorno ad un certo bipolarismo, il cui fascino era da tempo andato sbiadendosi. Ne riemerge una natura delusa e sofferente. Potremmo quasi definirlo un “bipolarismo per necessità”, lontano dagli slanci che ne avevano caratterizzato la sua nascita con la Seconda Repubblica. Da un lato, Forza Italia, Lega e FdI, e dall’altro, PD, M5S e varie anime di sinistra, le coalizioni devono rassegnarsi a stare aggregate, vista l’esistenza di un equilibrio instabile su cui poggia l’attuale sistema politico.

Per vincere le elezioni bisogna innanzitutto riuscire a “tenere” il proprio elettorato. Archiviate le elezioni amministrative, così sono partiti ufficialmente i giochi di coalizione per la successione Sergio Mattarella al Quirinale. L’attenzione della politica e del Palazzo è tutta sul nome dell’ex presidente della Banca Centrale Europea: l’unico in grado di tenere unita questa strana e variegata maggioranza e far convergere anche i voti dell’unica opposizione strutturata in Parlamento, Fratelli d’Italia. Tuttavia, molti ipotizzano che il leader Dem, forte dell’ultima tornata elettorale, mediti l’idea di Mario Draghi presidente della Repubblica e di elezioni politiche anticipate, tra aprile e maggio del prossimo anno. Il premier, come suo costume, mai si autoproporrebbe per la successione, se però venisse candidato a furore di popolo non si tirerebbe indietro. Conditio sine qua non per lui, nel frattempo non cadere sulla buccia di banana di Green Pass, infiltrazioni eversive, effetti delle proteste su economia e ordine pubblico. Chi glielo perdonerebbe? Forse non gli basterebbe aver fatto bene, correlato a Bruxelles o dalla stessa pilotato, in economia dove è forte. E qui si chiude il cerchio.