Coronavirus: il ritorno del prode Nicola


«Passa un giorno, passa l’altro
Mai non torna il nostro Anselmo,
Perché egli era molto scaltro
Andò in guerra e mise l’elmo…»

Così inizia “La partenza del crociato”, una gustosa poesia di Giovanni Visconti Venosta scritta quasi due secoli fa. Il prode Anselmo di cui si narravano le gesta era un crociato dall’intelletto non certo brillante, che parte per la Terrasanta in cerca di gloria e in pochi giorni muore di sete per non essersi accorto che l’elmo con cui beveva era bucato sul fondo.
La comicità del testo sta proprio nell’antifrasi tra le lodi sperticate che il testo dedica all’ingegno e al valore del protagonista, che incute terrore ai nemici, contrapposti alle reali capacità del guerriero milanese, che scambia il mare per un lago, ha la cravatta (di acciaio) sopra l’armatura e muore senza combattere in modo indubbiamente poco onorevole:

«Ma nell’elmo, il crederete?
C’era in fondo un forellin,
E in tre dì morì di sete
Senza accorgersi il tapin.»

La ben nota poesia mi è venuta in mente pensando alle battute che il signor Zingaretti faceva il 3 febbraio scorso, quando in collegamento con l’Aria che tira minimizzava sul coronavirus: “L’influenza stagionale, quella sì che causa decessi…”, o quelle del 27 febbraio quando a Milano sfoggiava il sorriso da Mister Simpatia durante l’Aperitivo Antipanico, salvo poi dichiarare solo nove giorni dopo di essere stato anch’egli contagiato (applausi del pubblico).
Nei giorni scorsi il signor Zingaretti è nuovamente apparso in televisione per annunciare di essere guarito dal coronavirus. Con la stessa simpatia che ispira un Apecar in autostrada, ha dichiarato all’Urbe e all’orbo di aver sconfitto il bestio con due settimane di ritiro spirituale in privato, dove ben altri due tamponi hanno dimostrato che è ormai fuori pericolo, decretando al contempo con questa diagnosi che in pericolo ci siamo ancora tutti noi.
Il fatto di aver trascorso solo due settimane a casa (NDR: in isolamento domiciliare assistito) a curarsi desta già qualche sospetto, dato che le guarigioni vengono di solito dichiarate dopo almeno 3 settimane se non più, ma è possibile che casa sua fosse attrezzata per cure ultraveloci e altrettanto sicure. Almeno, facciamo finta di crederlo.
Certo che pavoneggiarsi precisando di aver potuto fare ben tre tamponi in due settimane, quando medici e infermieri sul campo non riescono manco a farne uno, è una sbruffonata che il signor Zingaretti (lo chiamo così perché dottore proprio non è) si poteva risparmiare.
Beninteso, siamo ben felici che sia guarito, non sia mai che qualcuno ci tacciasse di augurare il male altrui, ma certo che per il segretario del partito più rappresentativo della sinistra italiana il potersi curare a casa con la pronta disponibilità di farmaci antivirali e molteplici tamponi, alla faccia dei poveracci che affollano ospedali al collasso, è decisamente uno schiaffo alla miseria di un popolo che non può certo permettersi le costose cure che lui ha avuto.
E così scopriamo che anche il materia di salute sussistono discriminazioni: mentre dovremmo essere tutti uguali dinanzi alla malattia e alla morte, come insegna la famosa “Livella” di Totò, i VIP (che siano politici, calciatori o nababbi di ogni estrazione) hanno sempre un trattamento di favore, una corsia preferenziale, uno scivolo verso un Paradiso esclusivo.
Non ci stupiamo che nessuno tra i personaggi più ricchi in Italia e non solo sia stato aggredito dal virus: se escludiamo i poveri Carlo Windsor e Alberto Grimaldi, non vi sono stati contagi eccellenti. Né un Briatore, nemmeno un Del Vecchio o un Moratti, figuriamoci un Berlusconi poi. Ma siamo contenti per loro, non dubitate. Siamo solo un po’ stupiti di come la “Livella” microscopica abbia avuto un occhio di riguardo per i piani alti.
Ma forse non è così, forse semplicemente il quotidiano isolamento che un Giorgio Armani o una Mietta Prada sono abituati a tenere sono risultati sufficienti a tener fuori dalla porta anche il malefico bestiulìtt.
Ma i politici, si sa, sono meno isolati: sempre in giro a mostrarsi per non perdere consensi nei sondaggi, in questa eterna campagna elettorale. Ed è stato così anche per il signor Zingaretti, il quale ancora tre mesi fa sbeffeggiava il virologo Burioni quando questi lanciava l’allarme Coronavirus e si faceva fotografare ai navigli (non al Papeete, ma è un dettaglio che solo i populisti possono far notare) durante un aperitivo “antirazzista” assieme al sindaco Sala e ad altri tapinacci che probabilmente se infettatisi sono dovuti sobbarcare la via crucis di una sanità lombarda distrutta da governi dissennati, da Formigoni in qua.
E così il signor Zingaretti ha optato per le cure della sanità in privato, forse per paura di finire nel tritacarne della sanità pubblica laziale, da lui massacrata per anni quando – da governatore – fece macelleria sociale chiudendo sedici ospedali, tra cui proprio quel “Forlanini” vero fiore all’occhiello per la cura di patologie respiratorie. “Me lo chiede l’Europa” era l’immancabile scusa che propalava ai romani sbalorditi.
Adesso riappare, guarito e sorridente ma fastidioso come il catarro, e ci vuole mettere a parte della sua ritrovata felicità. Siamo lieti che si sia ripreso, signor Zingaretti, ma mi creda, saremmo stati ancora più lieti se lei avesse fatto di tutto per non ricomparire e magari per farsi dimenticare.