Banchieri e bancari


Quand’è che la banca fa davvero la banca, cioè, come diceva Guido Carli, assolve alla funzione non solo economica ma anche sociale? Sicuramente quando fa arrivare il denaro dei risparmiatori là dove può produrre lavoro e quindi ricchezza. Ma non solo, anche quando aiuta le aziende a espandersi o a salvarsi da una crisi, e non quando si mette semplicemente a posto con le regole, spesso assurde, del Meccanismo unificato di vigilanza, creato all’interno della BCE, ma entità autonoma e autogestita. Perché in tal caso la banca finisce per fare sempre meno la banca.
Sono sempre più rari i casi in cui i banchieri rimangono banchieri e non diventano bancari, in buona misura per le regole insensate della Vigilanza.
All’inizio del 2014 è successo una sorta di Miracolo a Milano. E l’aspetto più clamoroso è che i banchieri sono riusciti a fare anche gli imprenditori, mentre l’imprenditore aveva dichiarato (furbescamente) forfait.
Stiamo parlando del caso Sorgenia, la società per la produzione dell’energia elettrica che la famiglia De Benedetti aveva deciso di abbandonare al suo destino con un fardello di oltre 1,5 miliardi di debiti verso le principali banche italiane. Ne abbiamo già scritto un paio di settimane or sono, ma vediamo oggi gli aspetti più significativi di questa vicenda tutta italiana.
La mattina del forfait dei De Benedetti, non solo dei figli ma anche del vecchio ingegner Carlo Pigliatutto, gli amministratori delegati delle banche creditrici si videro recapitare l’invito a incontrarsi; l’invito partiva da Banca Intesa, prima banca italiana, e quindi dall’amministratore delegato Carlo Messina, assieme a Gaetano Miccichè, allora AD di Banca Imi e capo del corporate banking di Intesa Sanpaolo. Fu un incontro informale con la costituzione ancora più informale di una sorta di comitato per la salvezza di Sorgenia. Il primo incontro si svolse presso la sede milanese di Montepaschi, la banca più esposta con Sorgenia (circa 600 milioni). Parteciparono, quindi, lo stesso ad di Mps, Fabrizio Viola, Pier Francesco Saviotti per Banco Popolare, Giuseppe Castagna per Bpm, ora fuse in Banco Bpm, Federico Ghizzoni per Unicredit e Victor Massiah per Ubi. La Créme de la créme, insomma.Di fronte alla fuga dei De Benedetti, fu deciso che non aveva senso far saltare una società innovativa nel campo dell’energia e per questo si decise di ricercare un nuovo amministratore delegato attraverso l’agenzia di Maurizia Villa, head hunter specializzata. L’incarico di incontrare i candidati fu affidato a Miccichè e Saviotti, che fecero le interviste nella vecchia sede della Comit. Con il placet di tutti furono scelti come amministratore delegato Gianfilippo Mancini, laurea alla Columbia University, e come presidente Chicco Testa, già presidente dell’Enel, noto anche come il tombeur de femmes della gauche italica ma sicuramente competente. Nota a margine, Mancini dal 1992 al 1997 aveva lavorato in Olivetti, cioè negli ultimi anni in cui a capo dell’azienda di Ivrea c’era Carlo De Benedetti, che lasciò un anno dopo di Mancini.
In meno di cinque anni (la nomina di Mancini e Testa è del marzo 2015) la società è arrivata a circa 2 miliardi di fatturato, con utile significativo al punto che da qualche tempo era iniziata la gara per aggiudicarsela. Alla fine, il 24 dicembre, è stata venduta dalle banche al fondo F2i associato con gli spagnoli di Asterion.
Con la vendita di Nuova holding Sorgenia, le banche hanno recuperato tutti i crediti che aveva concesso specialmente ai tempi dei De Benedetti e anche i 450 milioni di capitale di cui erano diventati titolari.
Un’operazione da manuale e da banche che fanno le banche e banchieri che non fanno i bancari.
Una tale operazione è stata possibile proprio grazie a Guido Carli, che quando fu ministro del Tesoro modificò la legge bancaria del ’36 che impediva alle banche di prendere partecipazioni in società industriali e commerciali. Il ragionamento di Carli era stato il seguente: quale sarà il modello di banca che prevarrà in Europa? Ovviamente la Banca universale, cioè il modello storico della Germania, dove gli istituti di credito possono aver partecipazioni. Una mossa coerente con una visione europeista ma che ora mal si addice alle regole insulse imposte dal Meccanismo unificato di vigilanza.
Tuttavia, le banche italiane sono state e sono molto più sagge di quelle tedesche e da quando Carli ha reso possibile anche in Italia la Banca universale, hanno usato lo strumento della partecipazione azionaria con parsimonia.
Il caso Sorgenia dimostra che quando c’è accordo e competenza fra le banche creditrici, oltre che metodo, si possono evitare moltiplicazioni di Npl (non performing loans, ossia i crediti deteriorati, difficili se non impossibili da incassare) e di perdite clamorose nei bilanci delle banche, distruggendo ricchezza.
Il virus degli Npl, cioè dei crediti che non performano e ora, ancora peggio, degli Utp (Unlikely to pay), cioè dei crediti che potrebbero generare insolvenze, è una corsa verso il vuoto. Dice uno straordinario e onesto banchiere: «La sera, quando vado a letto, mi capita spesso di sentirmi la coscienza rimordere: pur di liberarcene, vendiamo gli Npl a soggetti che useranno metodi non ortodossi per incassarli. E mi domando: ma chi ha più informazioni su quei debitori della nostra stessa banca? Perché non troviamo il modo di essere noi a ottenere il più possibile? Magari strada facendo le società debitrici si salvano anche». Bravissimo; se poi il discorso viene spinto fino agli Utp, si capisce che chi a Bruxelles o a Francoforte crea questi mostri non vuole bene né alle banche né tanto meno alle imprese.
La logica è la stessa della legge italiana che doveva entrare in vigore nel luglio prossimo e che per fortuna è stata rinviata. Questa legge Rordorf è il parto di un ottimo magistrato ma che non ha il senso della realtà e non conosce il circuito perverso generato dal sospetto. Questa legge, infatti, vorrebbe imporre alle pmi, cioè al tessuto economico reale dell’Italia, di sottoporsi ad annuali check-up. Se un’azienda, minimo, avesse qualche problema, di fatto verrebbe esclusa dal sistema del credito con il risultato facilmente immaginabile di una ecatombe. Già le banche sono minacciate di non fare credito a certe aziende, figuriamoci se queste aziende, che pure danno lavoro e producono, venissero bollate da rating negativi resi pubblici, mentre il miracolo di Sorgenia, nonostante il giudizio di irreparabilità dell’imprenditore-fondatore, dimostra che quando le banche fanno le banche non si perdono posti di lavoro, non si distrugge ricchezza, anzi se ne crea, e i bilanci delle stesse banche non subiscono salassi.