Il colonnello che non si è mai arreso


“Sai che c’è?! Non ce ne frega niente dei pescecani e di tanta brutta gente, siamo delfini, è un gioco da bambini.
Sai che c’è?! Non ce ne frega niente, la vita è morire cento volte, siamo delfini e giochiamo con la sorte.
Ehi, Capitano mio, siamo accerchiati da cento barche, arpioni, ami e cento reti, fuggi via, Tu che sei più veloce, mi hanno solo ferito, ma sopravviverò.
Sai che c’è?! Non ce ne frega niente, vivremo sempre, Noi sorrideremo sempre, siamo delfini, è un gioco da bambini, il mare.”
Era il 1993 quando Domenico Modugno, in coppia con il figlio​ Massimo, incise il brano Delfini (Sai che c’è). Sono passati più di 25 anni da quando, prima di andare in missione, l’allora capitano Carlo Calcagni, ascoltava questa canzone. Oggi, per “Il Colonnello” che ha 51 anni, quelle parole hanno assunto un significato diverso, ricco di speranza e di voglia di andare avanti, anche grazie ad una profonda fede. Paracadutista e Pilota Istruttore di elicotteri, ha effettuato tantissime missioni operative, su territorio nazionale ed internazionale, tra cui: Turchia, Albania, la “Riace” in Aspromonte, la “Partenope” in Campania, i “Vespri Siciliani” in Sicilia; fu inviato a Palermo subito dopo la strage del giudice Falcone ed era in volo mentre si consumava la strage del giudice Borsellino in via d’Amelio.
Nel 1996 viene chiamato insieme ad altri 3000 soldati per prendere parte al primo Contingente Italiano in partenza per la missione internazionale di pace in Bosnia Erzegovina, sotto l’egida dell’ONU. Aveva il compito di organizzare ed effettuare tutte le missioni di volo necessarie in tale contesto, tra le quali anche numerose missioni di soccorso, in quella che era, a tutti gli effetti, “zona di guerra”, infatti tutte le missioni di volo che Calcagni ha effettuato nei Balcani, circa 50 ore effettive di volo, sono state registrate nel suo STATO di SERVIZIO, proprio nella parte V^ “riservata” ai VOLI di GUERRA.

“Ho sempre compiuto il mio dovere” – dice – “e non mi sono mai tirato indietro, nemmeno quando ho messo a rischio la mia stessa vita per salvare la vita altrui, ma è assurdo che, in questa mia lunga battaglia, proprio chi rappresenta lo Stato si è defilato. Nonostante sono stato elogiato ed encomiato per aver dato lustro all’Esercito Italiano, durante la missione internazionale di pace in Bosnia-Erzegovina, non mi è stata concessa alcuna medaglia al valore, senza ombra di dubbio guadagnata sul campo!”
Ma qual è la sua storia? Come ha potuto un uomo dal fisico eccezionale diventare ciò che vediamo oggi? Carlo Calcagni nasce il 30 ottobre del 1968 in Germania, da una famiglia di emigrati dal Salento, che lavorano per realizzare il sogno di costruire una casa a Guagnano e poter tornare in Italia, dove però Carlo farà rientro a sei anni, da solo, per iniziare la scuola dell’obbligo prima ed il liceo classico poi, alternando gli studi classici ad una intensa attività sportiva e al pesante lavoro nei campi insieme ai suoi genitori. Poco prima della maturità classica presenta la domanda per il concorso per ufficiali di complemento dell’Esercito Italiano.
È l’inizio di una meravigliosa avventura: servire l’Italia come militare e come atleta, entrare a far parte della FOLGORE, con il basco amaranto segno di fratellanza, per poi diventare pilota, dopo aver conseguto il brevetto di pilota osservatore di elicotteri, prima, ed istruttore di volo, successivamente.
Dice con orgoglio: “La divisa per me rappresenta: l’ONORE, la DIGNITÀ, l’UMILTÀ, la DETERMINAZIONE, il CARATTERE, il RISPETTO, l’AMORE verso il prossimo, il SACRIFICIO, la FORZA, il CORAGGIO, la SPERANZA e, soprattutto, significa aver “scelto” di mettere la propria VITA al SERVIZIO degli ALTRI”.
Carlo ama il suo lavoro, ama volare, tanto da dichiarare spesso che lo avrebbe fatto anche gratuitamente. Non soltanto è un eccellente pilota, tanto da classificarsi primo al termine del lungo e selettivo corso di pilotaggio, con una media di voti finale altissima, ma lui continua a volare sempre più in alto, come dimostra la sua carriera: eccelsa e inarrestabile.​
Ufficiale in servizio permanente, è felice, ha mille sogni, raggiunge brillantemente i suoi obiettivi, riceve elogi ed encomi dai superiori e dai Comandanti che lo hanno avuto alle proprie dipendenze. Ma, secondo il Colonnello, è ancor più importante la stima che, ancora oggi dopo oltre 30 anni, i militari di truppa hanno di lui, perché lo ammirano per la sua azione di comando e l’insegnamento che, quotidianamente, è sempre riuscito a dare con il suo ESEMPIO, lui che non ha lasciato, mai, nessuno indietro.
In Campania prende parte all’operazione​ Partenope, poi in Calabria nell’operazione​ Riace e circa due anni in Sicilia, per i Vespri Siciliani.
Svolge numerose missioni all’estero: Albania, Turchia e poi quella in Bosnia-Erzegovina nel 1996, come unico pilota del primo Contingente italiano, svolgendo attività di ricerca, ricognizione e servizio Medevac (servizio di evacuazione medico sanitaria d’urgenza).
Poi qualcosa ha cambiato bruscamente la rotta della sua vita: ammalatosi, come abbiamo detto, durante la missione in Bosnia, viene riformato il 30 ottobre del 2007 con il 100% di invalidità permanente per le gravissime patologie multiorgano contratte durante la missione internazionale nei Balcani; infermità accertata dalle Commissioni mediche militari competenti, poi verificata dal Comitato di verifica del Ministero dell’Economia e Finanze ed, infine, RICONOSCIUTA con decreto del Ministero della Difesa che lo iscrive, d’ufficio, nel Ruolo d’Onore dell’Esercito Italiano e gli viene conferito il distintivo d’Onore di ferito e di mutilato in servizio; questo gli ha permesso di fare domanda per essere reimpiegato e continuare a indossare quella divisa per cui tanto, troppo, ha dato.
Ma la malattia non si ferma ed il suo fisico subisce colpi tremendi. La condizione di salute peggiora e gli vengono diagnosticate malattie terribili, tanto che gli stessi medici non nutrono molte speranze sul suo futuro. Tra le malattie sofferte basterebbe nominare soltanto la MCS, sensibilità chimica multipla, per terrorizzare chi conosce questa rara sindrome multisistemica di intolleranza totale ambientale alle sostanze chimiche, difficilmente riconoscibile a causa di sintomi differenti nei malati e che possono colpire ogni organo.
Una patologia che non è ancora riconosciuta tra le malattie rare dal Sistema Sanitario Nazionale, studiata in pochi centri specializzati in Italia, motivo per cui Carlo è autorizzato dalla ASL di appartenenza ad effettuare specifici ricoveri in Inghilterra, presso il Breakspear Medical, Centro di Altissima Specializzazione, dove l’equipe medica della dottoressa Monro si prende cura di lui dal 2010.
L’esposizione continua alla sostanza ”trigger” scatenante, causa nei pazienti sintomi di tipo allergico come la dermatite da contatto, nausea, difficoltà respiratorie, ipersensibilità agli odori, con effetti irreversibili nell’organismo​ che possono sfociare in malattie autoimmuni, ictus, parkinson e cancro. È dunque una patologia che incide fortemente sulla qualità della vita del paziente per l’impossibilità di trovare un ambiente adeguato nella quotidianità, portando quindi anche a sindromi depressive, sfociate, in molti casi, nel suicidio.
Ma Carlo Calcagni non è Uomo da arrendersi per così poco.
“Ho iniziato a star male nel 2002 e poi, dopo aver effettuato accertamenti, controlli e varie biopsie, al midollo, al fegato ed ai polmoni, è stata riscontrata una massiccia presenza di metalli pesanti, anche agglomerati di vari isotopi di metalli pesanti che in natura non esistono e che, attraverso le vie respiratorie, raggiungono tutti gli organi interni.”
Cosa incredibile è sapere, oggi, che gli americani avevano avvisato ed informato tutti gli alleati di questa nota pericolosità, poiché c’erano già delle certezze riguardo i danni per la salute provocati da questi elementi. Ed è proprio durante il suo impiego in Bosnia che subisce l’intossicazione da metalli pesanti ed inizia il suo personale calvario, con una contaminazione che
ha devastato tutti gli organi interni e persino modificato il suo DNA.
Oggi Carlo Calcagni non è più “la macchina zero difetti” quello che molti suoi colleghi definivano ‘una macchina da guerra’: “Sono passato dal salvare gli altri a dover salvare me stesso” – continua Calcagni – “Ho dovuto mettere da parte ciò che amavo ed amo ancora, il mio lavoro, che considero una vocazione, una vera e propria missione. Tutto quello che affronto e sopporto, Devofarlo perché è necessario per restare vivo. Nessuno verrà a salvarmi, ma devo fare affidamento a me stesso. Per questo ho imparato a convivere con la morte, restando vivo. La vita è semplice per le persone semplici. Per questa ragione dobbiamo superare ogni paura ed essere più ottimisti. Lamentarci di meno e creare più opportunità. I problemi non vengono eliminati, ma possiamo affrontarli con maggiore determinazione e coraggio. Solo così la vita sarà più gentile e generosa con noi. Nel corso degli anni, a partire dalle prime diagnosi che hanno interessato il sistema endocrino, i reni, il fegato, i polmoni, il midollo osseo, per il quale sono in attesa di trapianto allogenico dal 2010 (nonostante sia stato attivato il registro internazionale dei donatori di midollo, nessuno ad oggi è risultato compatibile al 100%) e ne sono susseguite altre, che hanno interessato molti altri organi ed apparati. Probabilmente una delle prime patologie a fare la sua comparsa, sebbene sia stata poi diagnosticata da diversi specialisti qualche anno più tardi, è stata una grave malattia neurologica, cronica, degenerativa e irreversibile, con parkinsonismo. Ma, nonostante tutto, non mi sono lamentato, MAI, per tutto quello che non ho più, ma ho cercato sempre di valorizzare quello che ancora mi rimane!”
Per lui, dolori e sofferenza, 24 ore su 24.
Ogni giorno, dopo aver dormito attaccato al ventilatore polmonare, deve obbligatoriamente:
– fare 7 iniezioni appena si alza;
– assumere circa 300 compresse, tra colazione, pranzo e cena;
– fare 4/5 ore di flebo;
– un’ora di sauna con raggi infrarossi;
– ossigenoterapia;
– lettino ad infrarossi;
– plasmaferesi;
– 60-90 minuti di allenamento sulla bike, che per lui è la “terapia” meno pesante.
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(NDR: La seconda parte sarà pubblicata nel prossimo numero)