La sfortunata sorella dell’ONU


Accadde proprio cento anni fa. Nell’ambito della Conferenza di pace di Parigi, indetta per riportare la conciliazione nel mondo dopo i massacri della Grande Guerra e ridisegnare la geografia europea, il 28 giugno 1919, i quarantacinque paesi partecipanti decisero, di comune accordo, di creare un imponente organizzazione internazionale che avrebbe dovuto garantire loro la pace, l’indipendenza e l’integrità territoriale, in base al principio di autodeterminazione dei popoli. Le diedero il nome di “Società delle Nazioni”. E successe, strano a dirsi, senza la partecipazione degli Stati Uniti d’America, con un’Italia che rientrava tra i suoi Governi guida.
Poche volte, nel corso dei tempi, la geografia aveva subito un cambiamento tanto radicale: i quattro Imperi che avevano segnato la storia degli ultimi secoli – russo, tedesco, austro-ungarico, ottomano – avevano cessato di esistere, erano scomparsi.
Inizialmente l’idea era stata sostenuta con forza proprio da Woodrow Wilson, il Presidente democratico americano che, spinto da una tenace fede religiosa e da sane idee liberali, voleva creare un concreto e definitivo sistema per sostituire l’arbitrato alla guerra, come unica modalità per risolvere le controversie tra i Popoli. Ma il Congresso USA non ratificò il “Trattato di Versailles”, che ne prevedeva la costituzione, e quindi Washington non entrò a farne parte. Il nuovo organismo, con sede a Ginevra, partì, quel 28 giugno del ‘19, già mutilato. La Società delle Nazioni finì, così, per essere dominata dalle due grandi potenze europee, Francia e Gran Bretagna, che trasformarono il “meccanismo dei mandati” (una sorta di amministrazione fiduciaria creata per preparare gli stati asiatici e africani all’indipendenza) in una colonizzazione di fatto e ingrandirono i propri imperi.
La Società era “governata” da un Consiglio, composto da quattro membri permanenti, Regno Unito, Italia, Francia e Giappone, e quattro temporanei a carica triennale, che deliberava all’unanimità. Vi erano, inoltre, l’Assemblea Generale degli Stati Membri, che decideva a maggioranza, ed il Segretariato Generale, per la gestione ordinaria dell’organizzazione. Non aveva a disposizione una forza militare per imporre le proprie decisioni e si basava quindi solo sulla “moral suasion” e sulle sanzioni economiche imposte a quanti non rispettavano le regole. Era associata al Tribunale Internazionale dell’Aja, che aveva il compito di dirimere le dispute tra gli Stati che ne accettavano la giurisdizione.
La Societrà delle Nazioni riuscì ad assolvere in maniera accettabile il proprio mandato solo fino a quando le grandi potenze si mossero più o meno di concerto per sostenerne le decisioni. Tra i suoi successi vanno ricordati l’accordo tra Svezia e Finlandia sulle isole Aaland, l’arbitrato tra Iraq e Turchia sulla provincia di Mosul, il mandato sulla Saarland (della durata di 15 anni dopo il quale la regione venne restituita alla Germania grazie ad un referendum) e la soluzione delle dispute di confine tra Colombia e Perù. Furono inoltre figli dello spirito ginevrino, il “Trattato di Locarno” del 1925, che garantì le frontiere europee uscite dalla Grande Guerra, ed il “Patto Kellog-Briand” del 1929, che rifiutava il ricorso alla guerra come mezzo per risolvere i conflitti tra nazioni.
Il primo colpo mortale alla Società fu inferto nel 1933, dalla Germania e dal Giappone, che la lasciarono a seguito, rispettivamente, dell’ascesa del nazismo e della conquista della Manciuria a spese della Cina.
Fu poi la volta dell’Italia, che nel 1935 attaccò l’Etiopia, altro stato membro, e la conquistò nonostante le sanzioni decise a Ginevra.
Infine l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche fu espulsa, nel 1939, per il suo attacco alla Finlandia, nella Guerra d’Inverno.
Con lo scoppio del secondo conflitto mondiale, la Società delle Nazioni fu messa praticamente a riposo, sostituita, il 24 ottobre del 1945, dall’ONU, l‘Organizzazione delle Nazioni Unite, che, in un contesto molto differente, ne ereditò i compiti e le agenzie.