La donna che corre


“Probabilmente erano persone decenti. Erano solo state travolte dalla bufera che aveva investito il mondo». Sono le parole di James Bond che, nel libro di Ian Fleming, “Casino Royale” (il primo sulle avventure di 007), così descrivevano Vesper Lynd, la donna di cui si sarebbe innamorato e che lo avrebbe poi tradito e coloro che aveva eliminato durante la Seconda Guerra Mondiale, arrivando, in questo modo, a guadagnarsi l’accesso alla sezione “Doppio Zero”, quella che comportava la “licenza di uccidere” i nemici di Sua Maestà Britannica.
In effetti una guerra come quella mondiale, non è solo composta da movimenti di flotte navali, da combattimenti terrestri, incursioni aeree, montagne di rifornimenti e fabbriche che li producono e da ricchezze inimmaginabili, create e, con facilità, distrutte. Una guerra rappresenta lo sconvolgimento della vita per milioni di uomini e donne, per l’appunto “travolti dalla bufera” e condotti dove mai avrebbero pensato di trovarsi e a fare cose che mai avrebbero immaginato di fare.
Uomini, ad esempio, come il coreano Yang Youngjong, con le cui vicende Antony Beeevor apre la sua “Storia della Seconda Guerra Mondiale”. Catturato dagli Alleati in Normandia nel giugno 1944, costretto con la forza a militare nell’esercito giapponese, caduto nelle mani dall’Armata Rossa, venne, da questa, reclutato. Poi, prigioniero dei tedeschi ed arruolato nella Wehrmacht, fu spedito in Francia per combattere gli americani, emigrando, dopo la pace, negli Stati Uniti.
Donne come Violette Morris, la cui storia, che quasi sicuramente nessuno conosce, è stata narrata dallo storico inglese James Holland nel suo libro “Normandy ‘44”, sullo storico sbarco. Una donna che negli anni Venti, del secolo scorso, fu un’atleta di fama mondiale in numerose discipline sportive. Anticonformista, bisessuale, fieramente femminista, era solita citare, con molto orgoglio, un suo motto: “Ogni cosa che un uomo può fare, Violette Morris la può fare meglio”. Durante la guerra, forse, finì col fare la spia per i tedeschi e, ancora forse, assistette, con sadico piacere, alle torture inflitte dalla Gestapo ai partigiani e alle partigiane francesi, che lei stessa aveva fatto catturare. Venne ammazzata, assieme ai suoi due bambini, lungo una strada normanna, il 26 aprile del 1944, in un’imboscata tesale da un commando di “maquisard” (i partigiani francesi che combattevano contro i nazisti).
Su di lei, proprio agli inizi di quest’anno, è uscito un romanzo dal titolo “Femme qui court” (La donna che corre), scritto dal narratore francese Gerard De Cortanze. L’autore, secondo una recensione apparsa nel mese di febbraio sul quotidiano israeliano “Haaretz”, ha affermato che, nelle ricerche da lui fatte per la stesura del volume, non è mai comparsa alcuna prova reale di legami con la Gestapo.
Violette, anche nella morte, resta una figura controversa come lo fu in vita. Nata nel 1893, sesta figlia del barone francese Pierre Jacques Morris e di Élizabeth Sakakini, esponente di un’antica famiglia arabo-palestinese, durante il primo conflitto mondiale si arruolò volontaria e prestò servizio al fronte, prima sulla Somme e poi a Verdun, come autista di ambulanze e staffetta, dando prova di grande valore. Alta e robusta, dotata di una forza non comune, al termine delle ostilità si applicò, con tenace fermezza, nello sport. Il lancio del peso e del disco, il calcio (militò anche nell’Olympique di Parigi), il nuoto, la pallanuoto, il ciclismo, la boxe e la lotta greco-romana furono le tantissime discipline nelle quali si cimentò. Vinse circa cinquanta titoli internazionali, tra cui due medaglie d’oro ed una d’argento nell’atletica, ai Giochi mondiali femminili, nel 1921 e nel 1922.
Affascinata dai motori, si dedicò a gare automobilistiche e motociclistiche, nonchè alle acrobazie aeree. Per poter entrare meglio negli abitacoli delle automobili da corsa, si sottopose ad una mastectomia riduttiva, quasi totale.
Sposatasi nel 1914 e divorziata nel 1923, ebbe due figli. La sua esistenza fu condotta all’insegna dell’anticonformismo. Accanita fumatrice e bestemmiatrice impenitente, amava vestirsi spesso da uomo. Per queste sue caratteristiche “particolari”, eccessivamente scandalose e che poco si addicevano ai costumi femminili di quei tempi, fu radiata da tutte le associazioni sportive francesi. A nulla valsero i numerosi appelli alla giustizia ordinaria per ottenere un reintegro.
Fu anche protagonista della vita culturale e mondana parigina tra le due guerre. Amante della soubrette di colore franco-americana Josephine Baker e dell’attrice Yvonne de Bray, fu grande amica dell’attore Jean Marais e del poeta e regista Jean Cocteau. Non si sa bene il motivo per cui fu affascinata dalla figura di Adolf Hitler e dal credo nazista. Da qualche sua dichiarazione, rilasciata in più di una intervista, si nota che il colpo di fulmine, in effetti, ci fu. Forse paragonò la trionfale accoglienza che ricevette a Berlino durante le Olimpiadi del 1936, cui era stata invitata personalmente dal Führer, con il bigottismo e la meschinità che aveva sperimentato, sulla propria pelle, in patria. Fatto sta che fu accusata, anche dalla stampa locale, di aver organizzato una rete spionistica a favore dei tedeschi, considerata determinante nella sconfitta francese del 1940; di aver continuato a lavorare con le forze di occupazione contro il movimento di resistenza; di essersi dedicata al mercato nero, trafficando in carburante, sotto la copertura offerta dal negozio di autoricambi di cui era diventata proprietaria.
Tuttavia, secondo fonti storiche, non esiste alcun documento che colleghi, in modo esplicito, la Morris con i crucchi e in particolare con il “Sichereitdienst”, il servizio di sicurezza delle SS. Ma erano tempi cupi in Francia. Petainisti, gollisti, comunisti e nazisti si combattevano senza esclusione di colpi; bastava ben poco per essere tacciati di collaborazionismo e, come tali, giustiziati nei modi spicci, tipici della guerriglia.
Processata in segreto dai “maquisards” , fu condannata a morte in contumacia su richiesta di Pierre Koenig, il Generale che Charles de Gaulle aveva messo a capo di alcune formazioni della Resistenza. La sua automobile, una Citroën Traction Avant, fu manomessa in modo che si bloccasse lungo una strada campestre della Normandia. Infatti, una volta rimasta in panne, un gruppo di uomini della formazione Maquis Surcouf, guidata da Robert Leblanc (che in seguito avrebbe avuto un ruolo di primo piano nella campagna di sabotaggi dopo lo sbarco alleato) sbucò dalla vegetazione e crivellò di colpi la vettura, uccidendo Violette, i suoi due figli ed una coppia di amici che la accompagnavano. La Citroën divenne preda di guerra e fu usata, come trofeo, dai maquisard.
Il cadavere della Morris, martorizzato dai proiettili, fu portato in un obitorio, dove giacque per mesi, senza che nessuno lo riconoscesse o lo reclamasse, per essere poi seppellito in una fossa comune di una località sconosciuta.