Quattro gatti


“Quattro cani per strada e la strada è già piazza e la sera è gia notte…”. Così cantava Francesco De Gregori oltre quarant’anni fa. Tuttavia il cantautore romano non avrebbe mai immaginato che oggi il testo si sarebbe adattato benissimo ai cortei e alle manifestazioni della sinistra italiana. Analizzando esegeticamente le parole della canzone, i quattro cani (ma se vogliamo essere più attinenti al proverbio dandoci anche un’apparenza meno offendente potremmo chiamarli quattro gatti) sono proprio loro, i sinistri personaggi che – ignari della propria ridicola immagine – continuano imperterriti a organizzare cortei, manifestazioni, sfilate, inaugurazioni e altre raccogliticce assemblee di piazza incuranti del fatto che nessuno più gli presti la benché minima attenzione.
La strada è già piazza, ma è una piazza vuota, fatta di scheletrici palchi vuoti, di gente che viene spostata in branco da un punto all’altro per fare false foto della massa plaudente, di consunti striscioni che urlano muti i loro slogan stantii e ammuffiti, di bandiere che non garriscono perché il vento non le gonfia più. Ricadono bagnate sulle loro aste senza nemmeno accorgersi che i loro colori sbiadiscono, scarna immagine e vuoto fantasma della prisca maestà.
E la sera è già notte: una notte buia, fatta di vuoto, di poche facce che si guardano attonite e smarrite (“dov’è il sacro fuoco che ci guidava? Dove sono Gramsci, Nenni, Berlinguer?”), buia come i visi diversamente bianchi che vanamente cercano di affollare piazze semideserte e cortei più simili a processioni di paese.
Ormai è una costante delle manifestazioni rosse: immigrati presi a prestito da qualche supermercato, che per pochi spiccioli si intruppano diligentemente e gridano slogan che nemmeno capiscono, imparati alla bell’e meglio. E marciano anche bene, poverini! Sono molto attenti a recitare la loro parte: non fosse che gli manca la motivazione, sarebbero quasi credibili!
Fateci caso, non c’è corteo del PD, dell’ANPI, delle molte sinistrate frange del variegato ed evaporante mondo della ‘gauche’ italica che non sia affollato da esponenti subsahariani dei movimenti progressisti. Dalle foto impietose pubblicate in rete e sui giornali pare che vengano tutti dotati di fazzoletto rosso d’ordinanza e bandiera tattica, quindi inquadrati nella prima falange dietro lo striscione d’apertura e guidati da un maestro del coro nello scandire slogan e canti che sicuramente già hanno udito nella loro infanzia, tra una palma e un tucul.
Questo miserevole spettacolo sta pian piano espandendosi anche alle manifestazioni collaterali, non esattamente di partito, come ad esempio i cortei dei NO-TAV, i comizî improvvisati di centri sociali e immondizia varia e, ultime in ordine di tempo, le variopinte manifestazioni del gay-pride.
Nella giornata di sabato 11 maggio, in quel di Vercelli si è tenuta proprio una di queste ultime manifestazioni. Non essendo mosso da curiosità alcuna e non avendo a disposizione mutande dell’Italsider, avevo deciso di non passare dal centro, evitando così l’incontro con il mondo arcobaleno. Tuttavia, per uno di quegli strani scherzi del destino, una necessità terapeutica mi ha condotto alla più vicina farmacia di turno, il che ha significato dover passare per piazza Cavour, sede e cuore pulsante della manifestazione. Schiena al muro (perché ingolosire il nemico?) ho scattato un’istantanea dell’evento. La foto allegata all’articolo parla da sé sulla grande partecipazione. Se non bastasse, alcuni variopinti individui hanno cercato di formare un corteo per attraversare le strade del centro. Si noti che il Comune aveva fatto transennare la zona per fermare il traffico in attesa della fiumana colorata. Quando i vigili urbani che presidiavano l’evento si sono resi conto che la folla omolesbotransdiversa era composta solo da una decina di persone (NDR: i dati parlano di un complessivo di circa 1000 persone disseminate lungo il percorso) dietro ad un pulmino Volkswagen degli anni ’70 con musica a palla, è stato comico vederli rimuovere le transenne elevando improperi alla volta di alcune divinità. Per colmare la misura Giove Pluvio non ha voluto benedire la manifestazione, scatenando una grandinata che ha spento le ultime velleità dei partecipanti al defilé.
Orbene, al di là del siparietto comunque significativo, appare chiaro a tutti quelli che erano presenti quando il Signore ha distribuito i cervelli che le manifestazioni pubbliche sono ormai lo specchio di quanto accade alla sinistra: il vuoto delle piazze è la raffigurazione reale del vuoto di idee, di cultura e di ideali che questa brutta copia della vera (ed estinta) sinistra italiana ha finito per diventare.